Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8842 del 30/04/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 8842 Anno 2015
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: MERCOLINO GUIDO

ha pronunciato la seguente

OGGETTO:

SENTENZA

pubblico

sul ricorso proposto da
CALANDRINI RODOLFO, domiciliato in Roma, alla piazza Cavour, presso la
CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, unitamente agli
avv. SILVESTRO LACIAPRIMA e GIUSEPPE LANCIAPRIMA, dai quali è
rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso
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RICORRENTE

contro
A.T.E.R. – AZIENDA TERRITORIALE PER L’EDILIZIA RESIDENZIALE DI
TERAMO, in persona del legale rappresentante p.t., domiciliata in Roma, alla
piazza Cavour, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, unitamente all’avv. PIETRO FLAIANI, dal quale è rappresentata e difesa
in virtù di procura speciale in calce al controricorso
CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE

91
2°15
NRG 9252-07 e 13342-07 Calandrini-ATER Teramo e Com Giulianova – Pag. I

Data pubblicazione: 30/04/2015

appai’

e
COMUNE DI GIULIANOVA, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in Roma, al Lungotevere Flaminio n. 76, presso l’avv. FEDERICA FALCO-

in virtù di procura speciale a margine del controricorso

0041 4930641 ‘CONTRORICORRENTE

avverso la sentenza della Corte di Appello di L’Aquila n. 103/06, pubblicata il 13
febbraio 2006.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29 gennaio
2015 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Lucio CAPASSO, il quale ha concluso per la riunione dei ricorsi, con il il rigetto del ricorso principale e la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Rodolfo Calandrini, appaltatore dei lavori di costruzione di un fabbricato in Giulianova (TE), convenne in giudizio l’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Teramo, per sentirlo condannare, in qualità di committente,
al risarcimento dei danni cagionati dal ritardo nella consegna dei lavori.
Premesso di essersi aggiudicato l’appalto a seguito di gara svoltasi il 19 novembre 1989 e di aver sottoscritto il relativo contratto il 10 marzo 1990, espose
che la consegna dei lavori, fissata per il 20 marzo 1990, non aveva potuto aver
luogo, in quanto il Comune di Giulianova aveva comunicato la sopravvenuta indisponibilità dell’area prescelta; non essendosi successivamente provveduto all’acquisizione di un’altra area, con atto del 2 gennaio 1991 egli aveva dichiarato di vo-

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NI, unitamente all’avv. VINCENZO MAURINI, dal quale è rappresentato e difeso

ler recedere, chiedendo di essere rimborsato delle spese sostenute e risarcito dei
danni subìti.
Costituitosi in giudizio, l’Iacp chiamò in causa il Comune, nei confronti del

1.1. — Con sentenza del 18 gennaio 2002, il Tribunale di Teramo accolse
parzialmente la domanda, condannando l’Iacp al pagamento della somma di Euro
6.996,32, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, e rigettando la domanda proposta dall’Istituto nei confronti del Comune.
2. — L’impugnazione proposta dal Calandrini è stata rigettata dalla Corte
d’Appello di L’Aquila, che con sentenza del 13 febbraio 2006 ha rigettato anche il
gravame incidentale proposto dall’A.T.E.R. – Azienda Territoriale per l’Edilizia
Residenziale Pubblica di Teramo, succeduta all’Iacp ai sensi della legge della Regione Abruzzo 21 luglio 1999, n. 44.
A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto che la fattispecie fosse
stata correttamente ricondotta all’art. 10 del d.P.R.16 luglio 1962, n. 1063, che limita il rimborso alle spese di cui all’art. 9 del medesimo d.P.R. ed alle altre spese
sostenute dall’appaltatore, non potendo trovare accoglimento, in caso di recesso di
quest’ultimo, l’art. 41, che si riferisce alla diversa ipotesi di scioglimento del contratto per recesso unilaterale dell’Amministrazione committente.
Premesso inoltre che l’iter amministrativo per la realizzazione dell’intervento
programmato può essere avviato soltanto a seguito della comunicazione della disponibilità dell’area interessata, la Corte ha escluso che la responsabilità per il ritardo fosse ascrivibile al Comune, osservando che l’Iacp aveva agito incautamente, avendo indetto la gara d’appalto nonostante la consapevolezza dell’indisponibilità dell’area: pur riconoscendo, infatti, che l’Istituto poteva essere stato indotto in

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quale propose domanda di rivalsa.

errore dall’avvenuto rilascio della concessione edilizia e dalla comunicazione della
disponibilità dell’area da parte del Comune, ha rilevato che la predetta consapevolezza emergeva da una lettera del 24 gennaio 1990, con cui l’Iacp aveva reso nota

tamente a disposizione l’area per la consegna dei lavori.
3. — Avverso la predetta sentenza il Calandrini ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. Hanno resistito con controricorsi il Comune
di Giulianova e l’ATER, quest’ultima proponendo ricorso incidentale, anch’esso
affidato ad un solo motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. — Preliminarmente, va disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione del ricorso incidentale al ricorso principale, trattandosi d’impugnazioni iscritte a ruolo separatamente, ma aventi ad oggetto la medesima sentenza.
2. — Con l’unico, complesso motivo del ricorso principale, il Calandrini denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., degli artt.
1218, 1223, 1453 e 1455 cod. civ. e dell’art. 10, ottavo comma, del d.P.R. n. 1063
del 1962, nonché l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel ricondurre la fattispecie all’art. 10 cit.,
la Corte di merito non ha considerato che egli aveva fatto valere l’inadempimento
dell’Istituto, il quale giustificava, oltre alla pronuncia di risoluzione del contratto,
la condanna dell’Istituto al risarcimento dei danni. Afferma comunque che l’esercizio della facoltà di recesso dal contratto di appalto non comporta il venir meno
del diritto al risarcimento, dal momento che l’art. 10 cit. non esclude l’applicabilità
della disciplina generale dell’inadempimento, ma si limita a subordinare la proposizione della domanda alla presentazione dell’istanza di recesso, la quale ne rap-

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al Comune l’avvenuta aggiudicazione dell’appalto, chiedendo di mettere immedia-

presenta dunque una condicio sine qua non. Precisa infine di non aver mai inteso
sostenere l’applicabilità dell’art. 41 del d.P.R. n. 1063 del 1962 e dell’art. 345 della
legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, riguardanti esclusivamente crediti derivanti

sposizioni quali termini di riferimento ai fini della liquidazione del danno subìto.
2.1. — Il motivo è infondato.
La natura processuale del vizio lamentato in via principale consente di procedere all’esame diretto dell’atto di citazione in primo grado, dal quale si evince che
la domanda proposta dal Calandrino, avente ad oggetto la condanna dell’Iacp al
rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione dell’appalto ed al risarcimento dei
danni, traeva origine dalla mancata consegna dei lavori da parte del committente,
a seguito della quale l’attore aveva proposto istanza di recesso dal contratto, ai
sensi dell’art. 10, ottavo comma, del d.P.R. n. 1063 del 1962. Tale disposizione,
com’è noto, detta una disciplina speciale, avente portata derogatoria rispetto a
quella prevista per i comuni appalti di diritto privato, che, pur non escludendo la
configurabilità del ritardo nella consegna come inadempimento di un obbligo posto a carico dell’Amministrazione committente, vi ricollega effetti diversi da quelli
previsti dal codice civile, attribuendo all’appaltatore, in luogo del diritto di chiedere la risoluzione del contratto, la facoltà di provocare lo scioglimento del rapporto
mediante la proposizione dell’istanza di recesso, e limitando, in caso di accoglimento dell’istanza, il risarcimento del danno al rimborso delle spese indicate dallo
art. 9, vale a dire quelle sostenute per la stipulazione del contratto ed il pagamento
delle relative imposte, nonché delle spese sostenute per l’esecuzione dell’appalto,
in misura non superiore a determinate percentuali dell’importo netto dei lavori
(cfr. Cass., Sez. I, 5 marzo 2008, n. 5951; 11 novembre 2004, n. 21484; 14 aprile

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da atto legittimo dell’Amministrazione, ma di essersi limitato a richiamare tali di-

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,

2004, n. 7069). Non merita pertanto censura la sentenza impugnata nella parte in
cui, preso atto della natura del rapporto dedotto in giudizio, ha inquadrato la fattispecie nella disciplina speciale dettata per gli appalti pubblici, anziché in quella

accogliendola nei limiti consentiti dalla predetta normativa. Il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, sancito dall’art. 112 cod. proc. civ., implica infatti soltanto il divieto di alterare gli elementi obiettivi dell’azione, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa (c.d. causa petendi) o adottando un provvedimento diverso da quello richiesto (c.d. petitum immediato), o ancora attribuendo
o negando un bene della vita diverso da quello conteso (c.d. petitum mediato), ma
non esclude la possibilità di rendere la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base ad
una qualificazione giuridica, ed in genere all’applicazione di una norma, diverse
da quelle invocate dall’istante, spettando al giudice, in ossequio al principio jura
novit curia, il potere-dovere d’inquadrare nell’esatta disciplina giuridica i fatti e gli
atti che formano oggetto della contestazione (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez.
lav., 22 agosto 2013, n. 19424; 24 marzo 2011, n. 6757; Cass., Sez. III, 3 agosto
2012,n. 13945).
2.2. — Quanto poi al merito della pretesa azionata, la menzionata ricostruzione della disciplina dettata dall’art. 10, ottavo comma, del d.P.R. n. 1063 del
1962 consente di escludere la fondatezza della tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui la predetta disposizione non incide sulla disciplina generale dell’appalto,
che pone a carico del committente la responsabilità per la mancata o ritardata consegna dei lavori, ma si limita a subordinare la risarcibilità del danno subito dallo
appaltatore all’avvenuta proposizione dell’istanza di recesso. Se è vero, infatti, che

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dell’appalto privato, riconducendo alla stessa la domanda proposta dall’attore, ed

la consegna tempestiva dei lavori da parte dell’Amministrazione costituisce, al pari di quella effettuata dal committente privato, espressione del dovere di cooperare
all’esecuzione della prestazione, la cui natura contrattuale non viene meno per il

d’integrazione del contratto ai sensi dell’art. 1374 cod. civ., è anche vero, però, che
la norma in esame regola in modo tendenzialmente completo i diritti dell’appaltatore, da un lato sottraendogli la facoltà di scelta tra la richiesta dell’adempimento e
la risoluzione, in funzione dell’interesse pubblico alla sollecita esecuzione del contratto, dall’altro circoscrivendo con precisione gli effetti economici dello scioglimento del rapporto, in modo da consentire all’appaltatore di avanzare l’istanza di
recesso sulla base di una piena cognizione delle sue conseguenze, ed all’Amministrazione di valutare anticipatamente gli effetti del ritardo e l’opportunità di mantenere in vita il rapporto, ovvero di adottare una diversa determinazione in vista
dell’eventuale superamento degli originari limiti di spesa (cfr. Cass., Sez. I, 14 aprile 2004, n. 7069, cit.). Correttamente, in tale contesto, la sentenza impugnata ha
ritenuto inappropriato il riferimento del ricorrente all’art. 41 del d.P.R. n. 1063 del
1962, il quale, nel determinare le modalità di calcolo della percentuale delle opere
non eseguite, dovuta all’appaltatore in aggiunta all’importo dei lavori eseguiti ed al
valore dei materiali utili esistenti in cantiere, si riferisce esclusivamente all’ipotesi
in cui lo scioglimento del contratto abbia avuto luogo ai sensi dell’art. 345 della
legge n. 2248 del 1865, all. F, ovverosia per volontà della Amministrazione, e non
è quindi applicabile al caso di mancata o ritardata consegna dei lavori, in cui la
legge disciplina specificamente gli effetti economici del recesso.
3. — Con l’unico motivo del ricorso incidentale, l’ATER denuncia l’erronea e
insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo

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solo fatto di essere previsto dalla legge, configurandosi quest’ultima come fonte

che, nell’affermare la responsabilità dell’Iacp per aver indetto la gara nella consapevolezza dell’indisponibilità dell’area, la sentenza impugnata non ha adeguatamente valutato la dichiarazione resa il 14 dicembre 1987, con cui il Sindaco aveva

anni all’espletamento della gara, confermava che l’Istituto non era consapevole
dell’indisponibilità dell’area, per la cui acquisizione non occorrevano particolari
formalità, e giustificava anche il tenore della lettera del 24 gennaio 1990, inviata
al Comune a seguito dell’aggiudicazione dei lavori.
3.1. — E’ inammissibile, al riguardo, l’eccezione sollevata dalla difesa del
Comune, secondo cui la questione concernente l’esclusione della sua responsabilità per il ritardo nella consegna dei lavori non poteva costituire oggetto di riesame
da parte del Giudice di secondo grado, per difetto di specificità del gravame incidentale proposto dall’ATER, che comportava la formazione del giudicato interno
in ordine all’insussistenza dei presupposti per l’avvio del procedimento amministrativo finalizzato alla realizzazione dell’intervento edilizio.
Qualora, come nella specie, la sentenza d’appello abbia, sia pure implicitamente, risolto in senso sfavorevole alla parte vittoriosa una questione preliminare
o pregiudiziale, la proposizione del ricorso per cassazione ad opera dell’avversario
impone a detta parte, ove intenda sottoporre la medesima questione all’esame di
questa Corte, l’onere di proporre ricorso incidentale: nel giudizio di legittimità non
trova infatti applicazione la disciplina dettata per il giudizio d’appello dall’art. 346
cod. proc. civ., con la conseguenza che l’onere dell’impugnazione gravante sull’intimato dev’essere riferito non soltanto alla soccombenza pratica, ma anche a quella
teorica, e non può quindi essere assolto con la mera riproposizione della questione
nel controricorso (cfr. Cass., Sez. I, 28 marzo 2006, n. 6992; Cass., Sez. lav., 19

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messo l’area a disposizione dell’Istituto. Tale dichiarazione, anteriore di quasi due

agosto 2004, n. 16284; 8 gennaio 2003, n. 100).
3.2. — Il motivo è peraltro inammissibile.
Nel ricondurre la mancata consegna dei lavori all’incauto comportamento del-

temente acquisito la disponibilità dell’area, la Corte distrettuale non ha affatto trascurato la nota indicata dalla controricorrente, avendola presa specificamente in
esame, ma avendo ritenuto che la falsa rappresentazione della realtà eventualmente indotta dalla dichiarazione in essa contenuta dovesse considerarsi superata, alla
luce della successiva nota del 14 gennaio 1990, con cui l’Iacp, nel rendere nota al
Comune l’avvenuta pubblicazione del bando di gara, gli aveva chiesto di mettere
immediatamente a disposizione l’area, in tal modo dimostrando di essere consapevole dell’indisponibilità della stessa. Nel censurare tale conclusione, l’ATER si limita ad insistere sul rapporto tra i due documenti, senza essere in grado d’indicare
le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito nella sentenza impugnata, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, una rivisitazione del predetto apprezzamento, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il potere di riesaminare
la vicenda processuale, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica e la
coerenza logico-formale della motivazione addotta dal giudice di merito, cui competono, in via esclusiva, l’individuazione delle fonti del proprio convincimento ed
il controllo della loro attendibilità e concludenza, nonché la scelta, tra le complessive risultanze processuali, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
veridicità dei fatti ad esse sottesi (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 4 novembre 2013,
n. 24679; Cass., Sez. V, 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass., Sez. lav., 19 marzo
2009, n. 6694).

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l’Iacp, che aveva consapevolmente indetto la gara d’appalto senza aver preceden-

4. — Il ricorso principale va pertanto rigettato, mentre quello incidentale va
dichiarato inammissibile.
La reciproca soccombenza tra il Calandrini e l’ATER giustifica la dichiara-

Comune, avuto riguardo all’oggettiva situazione d’incertezza determinatasi nei
rapporti tra le parti.

P .Q .M .
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2015, nella camera di consiglio della
Prima Sezione Civile

zione dell’integrale compensazione delle spese processuali, che va estesa anche al

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