Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8841 del 10/04/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 8841 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: IANNIELLO ANTONIO

ORDINANZA

sul ricorso 13325-2011 proposto da:
PADUANELLO

RAFFAELLA

PDNRFL64E59B357V,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR
presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato MENICHELLA GIUSEPPE giusta procura
speciale in calce al ricorso;
– ricorrente contro
2013
1939

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
80078750587, in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso
l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato

Data pubblicazione: 10/04/2013

e difeso dagli avvocati CORETTI ANTONIETTA, TRIOLO
VINCENZO, STUMPO VINCENZO, DE ROSE EMANUELE giusta
procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1873/2010 della CORTE

12/05/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera
di consiglio del 24/01/2013 dal Consigliere
Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;
udito l’Avvocato De Rose Emanuele difensore del
controricorrente che si riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. COSTANTINO
FUCCI che si riporta alla relazione.

D’APPELLO di BARI del 29/03/2010, depositata il

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
La causa è stata chiamata alla adunanza in camera di consiglio del 24
gennaio-21 febbraio 2013 ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente
relazione redatta a norma dell’art. 380-bis c.p.c.:
“1 – Con ricorso notificato il 9-10 maggio 2011, Raffaella Paduanello,
operaia agricola a tempo determinato, chiede la cassazione della sentenza de-

positata il 12 maggio 2010, con la quale la Corte d’appello di Bari ha respinto
la sua domanda del 2005, di ricalcolo della indennità di disoccupazione in relazione alle giornate di lavoro dell’anno 1999, erroneamente liquidata sulla
base del salario medio convenzionale rilevato nell’anno 1995 non più incrementato negli anni successivi, anziché alla stregua della retribuzione minima
stabilita dalla contrattazione collettiva integrativa della provincia di Bari ai
sensi del D. Lgs. n. 146 del 1997, art. 4.
Il rigetto della domanda era stato motivato dalla Corte territoriale ai
sensi dell’art. 47 D.P.R. 30.4.1970 n. 639 e successive modificazioni e integrazioni, col rilievo della intervenuta decadenza annuale del diritto azionato,
decorrente dalla data dell’originaria domanda amministrativa, da proporre ai
sensi dell’art. 7, 4 0 comma del D.L. 9.10.1989 n. 338, convertito con modificazioni nella L. 7.12.1989 n. 389, entro il 31 marzo dell’anno successivo a
quello di riferimento del sussidio di disoccupazione.
In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto d’ufficio l’applicabilità,
anche alla ipotesi relativa ad una domanda all’Ente previdenziale di riliquidazione della indennità di disoccupazione nel settore del lavoro agricolo, del
termine annuale di decadenza di cui all’art. 47 D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639
come autenticamente interpretato dall’art. 6 del D.L. 29 marzo 1991 n. 103,
convertito nella legge 10 giugno 1991 n. 166, quindi parzialmente modificato
dall’art. 4 del D.L. 19 settembre 1992 n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992 n. 438 (prima della integrazione recentemente operata con l’art.
38, commi secondo, lett. d) e quarto del D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito,
i

con modificazioni, nella legge n. 111/2011) e, partendo dalla data della domanda amministrativa di prestazione, ha valutato come esaurito il procedimento amministrativo al massimo trecento giorni dopo (cfr. in proposito, Cass.
S.U. n. 12718/09), data da cui sarebbe pertanto iniziato a decorrere il termine
di decadenza di un anno, quindi ritenuto ampiamente scaduto alla data della
proposizione della presente azione in giudizio.

2 – Con l’unico motivo di ricorso, la parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 47 D.P.R. n. 639/70, dell’art. 6 D.L. n. 103/91
convertito nella L. n. 166/91 e dell’art. 4 D.L. n. 384/92, convertito nella L. n.
438/92.
L’ente intimato resiste con rituale controricorso.
3 – Il relatore propone di ritenere il ricorso manifestamente fondato.
3.1 – Va premesso che l’originario testo dell’art. 47 del D.P.R. 30 aprile
1970 n. 639 stabiliva quanto segue.
“Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione
dinanzi all’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 459 e ss. cod. proc. civ.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di dieci anni
dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso pronunziata
dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della decisione medesima, se trattasi di controversie in
materia di trattamenti pensionistici.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di cinque anni
dalle date di cui al precedente comma se trattasi di controversie in materia di
prestazioni a carico dell’assicurazione contro la tubercolosi e
dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria”.

Come è noto, i termini stabiliti dall’articolo di legge citato erano stati
ritenuti dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. S.U. 21 giugno 1990 n.
6245) di decadenza, di tipo peraltro procedimentale, vale a dire finalizzata unicamente a delimitare l’efficacia temporale della condizione di procedibilità
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della domanda giudiziaria, rappresentata dall’attivazione e dall’esaurimento
del procedimento amministrativo.
Col successivo art. 6 del D.L. 29 marzo 1991 n. 103, convertito con
modificazioni nella legge 1° giugno 1991 n. 166, ritenuto da Corte Cost., con
la sent. n. 246 del 1992, di interpretazione autentica dell’art. 47 D.P.R.
n.639170, venne poi stabilito:

“1 — I termini previsti dall’art. 47, commi secondo e terzo del D.P.R. 30
aprile 1970 n. 639 sono posti a pena di decadenza per l’esercizio del diritto
alla prestazione previdenziale. la decadenza determina l’estinzione del diritto
ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l ‘inammissibilità della relativa domanda giudiziale. In caso di mancata proposizione del ricorso amministrativo, i termini decorrono dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei.
2 — Le disposizioni di cui al comma precedente hanno efficacia retroattiva, ma non si applicano ai processi che sono in corso alla data di entrata in
vigore del presente decreto”.

Con l’art. 4 del D.L. 19 settembre 1992 n. 384, i commi secondo e terzo
del citato art. 47 sono stati successivamente sostituiti dai seguenti:
“Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici, l’azione
giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre
anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai
competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito
per la pronunzia della predetta decisione ovvero dalla data di scadenza dei
termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione.
Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui
all’art. 24 della legge 9 marzo 1989 n. 88, l’azione giudiziaria può essere
proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al
precedente comma”.

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L’ultimo comma dell’art. 4 ha poi stabilito che le disposizioni indicate
“non si applicano ai procedimenti istaurati anteriormente alla data di entrata
in vigore del presente decreto ancora in corso alla medesima data”.

Infine, recentemente, l’art. 38, primo comma, lett. d) del D.L. 6 luglio
2011 n. 98, convertito in legge n. 111 del medesimo anno, ha aggiunto al citato art. 47 un ultimo comma, del seguente tenore: “Le decadenze previste dai

commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento
di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”, pre-

cisando al quarto comma che “Le disposizioni di cui al comma 1, lett. c) e d) si
applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

3.2 – Questo essendo il quadro di riferimento normativo, la giurisprudenza consolidata, pur tra frequenti contrasti, di questa Corte (da ultimo, sulla
base di Cass. S.U. 29 maggio 2009 n. 12720 – che ribadisce le tesi della precedente Cass. S.U. 18 luglio 1996 n. 6491-, cfr., ad es., Cass. 20 gennaio 2010 n.
948 e 26 gennaio 2010 n. 1580) era, per quanto qui interessa e fino alla citata
recente novella del 2011, nel senso della inapplicabilità della decadenza alle
domande di adeguamento di prestazioni previdenziali già riconosciute e liquidate solo parzialmente dall’ente previdenziale.
Infatti le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 12720 del 29
maggio 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza insorto nell’ambito
della sezione lavoro, avevano affermato che “La decadenza di cui al D.P.R. 30
aprile 1970, n. 639, art. 47 – come interpretato dal D.L. 29 marzo 1991, n.
103, art. 6, convertito, con modifìcazioni, nella L. 1 giugno 1991, n. 166 – non
può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione già ri4

conosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in
cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei
quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale”.

Recentemente, peraltro, la questione era stata nuovamente rimessa da un

collegio della sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria depositata il 18
gennaio 2011, n. 1071, alle sezioni unite di questa Corte, sulla base del rilievo
che l’interpretazione prevalente non apparirebbe giustificata dal tenore letterale e dalla considerazione delle finalità della norma, la quale riguarderebbe viceversa ogni tipo di azione in materia di prestazioni previdenziali.
Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di rimessione alle sezioni unite della Corte e la data dell’udienza avanti a queste ultime, la citata novella di
cui all’art. 38, primo comma, lett. d) del recente D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito in legge n. 111/’11, è stata quindi disposta la restituzione degli atti alla
sezione lavoro, sulla base della considerazione della necessità di valutare la
persistenza del proposito di investire della questione le sezioni unite, alla luce
della valutazione della eventuale incidenza delle norme di legge citate sulla interpretazione del l’art. 47, vigente prima di essa.
3.3 – Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova disciplina, esprimendo il proposito del legislatore di modificare in materia, con una limitata efficacia retroattiva, la regola preesistente, quale consolidatasi per effetto
delle recente pronuncia delle sezioni unite del 2009, conferma indirettamente
la corrispondenza di quest’ultima all’originario contenuto dell’art. 47, nel testo
vigente fino alla novella del 2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle sezioni unite della
Corte e l’indiretta conferma della sua correttezza proveniente dallo stesso legislatore convincono in definitiva il collegio della inapplicabilità dell’art. 47 del
D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, prima delle integrazioni apportate dell’art. 38
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del D.L. n. 98 del 2011, al caso di richiesta di riliquidazione di prestazioni
previdenziali solo parzialmente riconosciute e liquidate dall’ente previdenziale.
Non essendosi la Corte territoriale attenuta a tale regola, il ricorso andrebbe accolto.
Concludendo, si chiede pertanto che il Presidente della sezione voglia

fissare la data dell’adunanza in camera di consiglio.”
Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in camera di consiglio.
Il Collegio, condividendo le considerazioni del relatore, ritiene peraltro
di integrale, in ordine alle conseguenze da trarne sul piano del presente giudizio, valutando che esse suggeriscano, piuttosto che la correzione della motivazione ai sensi dell’ult. co. dell’art. 384 c.p.c., la cassazione della sentenza che
tale decadenza ha erroneamente applicato e la decisione nel merito ai sensi
dell’art. 384 co. 2° c.p.c.
A tal fine nulla osta a che si rilevi d’ufficio la questione — rimasta sullo
sfondo, ma non trattata dall’impugnata sentenza — relativa all’inserimento o
meno della quota di TFR nella base di computo dell’indennità di disoccupazione agricola, da escludere già alla stregua delle giurisprudenza di questa
Corte (cfr., per tutte la sentenza n. 212 del 2011) e comunque a norma dell’art.
18, comma 18° del D.L. n. 98 del 2011, convertito nella legge n. 111 dello
stesso anno, che ha specificato che “L ‘art. 4 del D. Lgs. 16 aprile 1997 n. 146
e l’art. 1, comma 5° del D.L. 10 gennaio 2006 n. 2, convertito con modificazioni dalla legge 11 marzo 2006 n. 81, si interpretano nel senso che la retribuzione utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in favore degli operai
agricoli a tempo determinato non è comprensiva della voce del trattamento di
fine rapporto comunque denominato dalla contrattazione collettiva”..
6

Infatti, la Corte territoriale ha dichiarato la decadenza in virtù
dell’applicazione del criterio della ragione più liquida, senza esaminare la
spettanza del diritto oggetto di lite, sicché si è in presenza non già di giudicato
implicito sull’esistenza del diritto oggetto di pretesa, ma di cd. assorbimento
improprio, che non importa onere di impugnazione da parte del soggetto vittorioso in appello.

Com’è noto, il criterio della ragione più liquida non segue l’ordine logico-giuridico delle questioni, ma quello per così dire “economico” del risparmio di energie processuali, cioè dell’uso della ratio decidendi già pronta e di
per sé sufficiente (sulla tecnica dell’assorbimento cd. improprio in virtù
dell’uso del criterio della ragione più liquida cfr., ex aliis, Cass. n. 17219/12;
Cass. n. 7663/12; Cass. n. 11356/06; Cass., 30/3/2001, n. 4773; anche la dottrina è concorde sull’ammissibilità dell’applicazione della ragione più liquida
e sul fatto che essa non importa formazione di giudicato implicito sulle questioni non esaminate e che non ne costituiscano indispensabile presupposto logico-giuridico).
Ancora nel senso dell’ampiezza dei poteri di rilievo d’ufficio da parte
del giudice, cfr., di recente, Cass. S.U. 4.9.12 n. 14828, secondo cui il giudice
può rilevare d’ufficio ogni forma di nullità del contratto (sempre che emerga
ex actis e che si tratti di nullità non soggetta a regime speciale, come le nullità

di protezione, il cui rilievo è espressamente rimesso alla volontà della parte
protetta), pur quando le parti in causa stiano discutendo della risoluzione del
contratto medesimo.
A maggior ragione, dunque, nelle controversie sull’inclusione della quota di TFR nella base di computo del trattamento di disoccupazione agricola si
può rilevare d’ufficio l’inesistenza del diritto, anche perché la giurisprudenza
di questa S.C. è ampia e costante nell’affermare che nel giudizio di legittimità
è preclusa la proposizione di nuove questioni di diritto solo quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di
7

fatto, mentre deve ritenersi consentito dedurre o rilevare per la prima volta in
tale sede questioni di diritto che lascino immutati i termini, in fatto, della controversia così come accertati e considerati dal giudice del merito (v., ex aliis,
Cass. n. 20005/05; Cass. n. 9812/02; Cass. n. 3881/2000; Cass. n. 13256/99;
Cass. 6356/96).
Va, poi, aggiunto che la decisione nel merito (come quella ex art. 384

co. 2° c.p.c.) è sempre una decisione sul rapporto e quest’ultima, a sua volta,
non può andare disgiunta dal potere di rilevare d’ufficio le questioni di diritto
o le mere norme necessarie a risolvere la controversia.
Da ultimo, nel rilevare d’ufficio l’inesistenza del diritto non si ravvisano
problemi di mancato rispetto del contraddittorio o di cd. sentenza della terza
via perché, trattandosi di questione di puro diritto, trova applicazione
l’insegnamento di Cass. S.U. 30.9.2009 n. 20935 e di Cass. 23.8.11 n. 17495,
secondo cui il divieto di sentenza cd. della terza via (ed il conseguente obbligo
di provocare il contraddittorio mediante il meccanismo di cui al co. 3° dell’art.
384 c.p.c.) sussiste solo quando, decidendo nel merito, il giudice rilevi una
questione di fatto o mista di fatto e di diritto, mentre nel caso presente
l’inesistenza del diritto all’inclusione della quota di TFR è questione esclusivamente giuridica.
In conclusione, il ricorso va accolto, non ritenendosi applicabile nel caso di specie la decadenza di cui all’art. 47 d.P.R. n. 639/70, con conseguente
cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari, per quanto detto,
ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con rigetto
della domanda di inclusione della quota di TFR nel trattamento di disoccupazione agricola.
La problematicità della materia del contendere e l’esito complessivo
della lite consigliano di compensare per intero fra le parti le spese dell’intero
giudizio.
P. Q. M.
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La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo
nel merito, rigetta la domanda di inclusione della quota di TFR nel trattamento
di disoccupazione agricola. Compensa per intero le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2013
Il Presidente

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