Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8839 del 18/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/04/2011, (ud. 22/12/2010, dep. 18/04/2011), n.8839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

BANCA CARIME S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA SCALA 12,

presso lo studio dell’avvocato MIRANTE MICHELE, rappresentata e

difesa dall’avvocato FUSARO MAURO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

T.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIA A. RASELLA

155, presso lo studio dell’avvocato CUSUMANO DARIO, rappresentato e

difeso dagli avvocati ROCHIRA COSIMO, LOCHI ANNA RITA, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 24 3 0/2007 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 10/12/2007 r.g.n. 3571/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2010 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

udito il P.M, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per: improcedibilità o in

subordine rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La Corte d’Appello di Lecce, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, ha riconosciuto il diritto di T.F., dipendente della Cassa di risparmio di Puglia successivamente transitato alle dipendenze di Caripuglia S.p.A. e poi di Banca Carime S.p.A., il diritto alla qualifica di funzionario dal (OMISSIS), a seguito della reggenza dell’agenzia di (OMISSIS).

La Corte di merito ha fatto riferimento all’art. 41 c.c.n.l. – 1994, in base al quale il lavoratore può essere temporaneamente adibito anche a mansioni inerenti ad un posto superiore, e, quando si tratti di posto vacante, salvi i casi di assenza con diritto alla conservazione del posto, superati i tre mesi di adibizione acquisisce il diritto alla promozione nel grado minimo pertinente a detto posto.

In proposito la Corte ha disatteso l’interpretazione della Banca, secondo la quale tale norma sarebbe applicabile ai soli passaggi all’interno della medesima categoria, osservando che tale lettura contrasterebbe con l’art. 2103 c.c..

La Corte ha poi accertato che nel periodo di riferimento il T. aveva esercitato mansioni superiori per 91 giorni ed ha ritenuto che l’invio presso l’agenzia di Gallipoli di un funzionario, nella persona della dottoressa G., non precludeva la maturazione del diritto del T. alla promozione, trattandosi, sulla base di una serie di elementi, evidenziati nella sentenza, di una presenza meramente formale rivolta ad impedire la maturazione del diritto da parte dell’interessato, senza però concreta sottrazione a quest’ultimo delle effettive funzioni direttive, visto che la G. non era stata munita dalla Banca dei codici personali di accesso necessari per lo svolgimento dei compiti direttivi.

La Corte ha poi dichiarato inammissibile perchè tardiva la produzione documentale della banca, concernente la data di efficacia del licenziamento del precedente direttore della filiale, sostituito dal T..

Infine, il giudice di merito ha considerato ininfluente la questione del cosiddetto blocco dei gradi minimi, disposto dalla contrattazione collettiva aziendale, trattandosi non di progressione all’interno della medesima categoria ma di accesso a quella superiore ed ha aggiunto che, in ogni caso, tale contrattazione non potrebbe prevalere sull’art. 2103 c.c..

Di questa sentenza Banca Carime s.p.a chiede la cassazione sulla base di tre motivi di ricorso. L’intimato resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso, unitamente ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento a fatto controverso decisivo per il giudizio, è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., centotrè, nonchè dell’art. 41 CCNL del 19 dicembre 1994 per “Quadri, impiegati, subalterni ed ausiliari delle casse di risparmio” nonchè degli articoli 3 e 4 del CCNL del 16 giugno 1995 per il personale direttivo (dirigenti e funzionali) delle Casse di risparmio s.p.a..

Con il secondo motivo di ricorso, unitamente a vizio di motivazione con riferimento a fatto controverso e decisivo per il giudizio, è denunciata violazione degli artt. 1362, 1363 e segg. c.c. con riferimento agli accordi sindacali del 29 novembre 1996, intervenuto tra Caripuglia s.p.a e le OO.SS, e del 20 dicembre 1997, intervenuto tra Caripuglia s.p.a. Caricai s.p.a e Carisal s.p.a., da un lato, e le OO.SS dall’altro.

Con il terzo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., e dell’art. 41 del CCNL del personale impiegatizio del 1994, anche con riferimento gli artt. 116 e 437 c.p.c., anche per errata e non corretta valutazione delle risultanze istruttorie.

Il ricorso è improcedibile.

Tutti i motivi nei quali esso è articolato fanno riferimento a fonti collettive. Nel primo e nel terzo motivo vi è esplicito riferimento a contratti collettivi nazionali. Il secondo motivo, non a caso trattato dal ricorrente unitamente al primo, pur richiamando nell’epigrafe fonti collettive integrative, sviluppa in realtà argomentazioni che evidenziano costantemente il collegamento di queste ultime a quelle nazionali e la coerenza dei due impianti contrattuali. La stessa questione dell’esatto computo del periodo utile alla maturazione del diritto alla qualifica superiore, da parte dell’attuale controricorrente, posta in particolare nel terzo motivo di ricorso, si fonda essenzialmente sulla previsione contrattuale e non invece in modo del tutto autonomo sull’art. 2103 c.c.. In definitiva nessuna della censure proposte può esser valutata senza riferimento ai testi della contrattazione collettiva nazionale invocata.

Le Sezioni Unite di questa Corte, in sede di composizione del contrasto giurisprudenziale manifestatosi sull’argomento, hanno stabilito il seguente principio di diritto: “L’art. 369 cod. proc. civ.,, comma 2, n. 4, nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420 bis cod. proc. civ.,, comma 2, la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale. Ove, poi, la Corte ritenga di porre a fondamento della sua decisione una disposizione dell’accordo o contratto collettivo nazionale depositato dal ricorrente diversa da quelle indicate dalla parte, procedendo d’ufficio ad una interpretazione complessiva ex art. 1363 cod. civ. non riconducibile a quanto già dibattuto, trova applicazione, a garanzia dell’effettività del contraddittorio, l’art. 384 cod. proc. civ., comma 3, (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 12), per cui la Corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al P.M. e alle parti un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a sessanta dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla questione”. (Cass. Sez. Un. 20075/2010).

Il ricorso non è conforme all’art. 369 c.p.c., n. 4, come interpretato dalla cit. sentenza, e deve pertanto essere dichiarato improcedibile.

La parte ricorrente deve esser condannata alle spese.

P.Q.M.

Dichiara improcedibile il ricorso, condanna la parte ricorrente alle spese in Euro 33,00 oltre ad Euro 3000 per onorari, nonchè IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2011

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