Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8837 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 31/03/2021), n.8837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31648-2019 proposto da:

G.C., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA SCARDIA;

– ricorrente –

contro

S.R., C.P., domiciliati in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato GIANLUCA CIARDO;

– controricorrenti –

contro

P.A.;

– intimato –

Avverso la sentenza n. 103/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 13/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI

MARCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 13/3/2019, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta da S.R. e C.P., ha pronunciato la risoluzione del contratto di locazione ad uso diverso da quello di abitazione concluso tra i ricorrenti (in qualità di locatori) e G.C. (in qualità di conduttore), con la condanna di quest’ultimo, unitamente a P.A. (cessionario del contratto di locazione, in qualità di nuovo conduttore), al pagamento delle somme dovute e non corrisposte ai locatori;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato – fermo il carattere incontestato dell’inadempimento del conduttore originario e di quello ad esso sostituitosi a seguito di cessione del contratto – come il G. non avesse mai dimostrato l’avvenuta sua liberazione da parte dei locatori, avendo peraltro proposto, sul punto, l’ammissione di fonti di prova del tutto prive di rilevanza;

avverso la sentenza d’appello, G.C. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

C.P. e S.R. resistono con controricorso; P.A. non ha svolto difese in questa sede;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, e dell’art. 24 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di esaminare e di ammettere i mezzi di prova proposti da esso ricorrente nel corso del giudizio;

il motivo è inammissibile;

al riguardo, osserva il Collegio come, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., n. 6 (valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche per quelli previsti dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498);

siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte;

è appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631); con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317);

nella violazione di tali principi deve ritenersi incorso l’odierno ricorrente con il motivo d’impugnazione in esame, atteso che lo stesso, nel dolersi che la corte d’appello avrebbe omesso di esaminare e di ammettere i mezzi di prova proposti da esso ricorrente nel corso del giudizio, ha tuttavia trascurato di produrre, nella sua interezza, la documentazione processuale indispensabile al fine di rendere conto dell’effettiva proposizione, nel corso del giudizio, di un’istanza di ammissione di mezzi di prova effettivamente rilevanti e sicuramente decisivi ai fini del giudizio, in contrasto con quanto in senso contrario asserito dal giudice d’appello, con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto (vedi Cass. 4/10/2017, n. 23194);

varrà peraltro escludere la fondatezza in ogni caso della censura in esame, avendo la corte territoriale dettato un’adeguata motivazione a fondamento della mancata ammissione dei mezzi di prova invocati dall’odierno ricorrente; motivazione nella specie rimasta incensurata;

con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale dettato, a fondamento della decisione assunta, una motivazione totalmente illogica, meramente apparente, come tale inidonea a rendere conto del percorso logico seguito dal giudice a quo ai fini del rigetto dell’appello;

il motivo è manifestamente infondato;

osserva al riguardo il Collegio come, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum;

infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poichè intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;

in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01);

ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo la corte d’appello espressamente dedotto i termini dell’attestazione dell’inadempimento dei conduttori, e la mancata dimostrazione, da parte del G., dell’avvenuta sua liberazione ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 36, sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logico-giuridica;

l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

dev’essere, da ultimo, sottolineata l’erroneità dell’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, trattandosi, nel caso di specie, dell’impugnazione di una sentenza di appello fondata sulle stesse ragioni di fatto poste a base della sentenza di primo grado (cfr. l’art. 348-ter c.p.c.);

sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;

dev’essere, infine, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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