Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8837 del 18/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/04/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 18/04/2011), n.8837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Po n. 25/b, presso

l’avv. PESSI Roberto, che la rappresenta e difende giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.A., elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia n.

195, presso lo studio dell’avv. Vacirca Sergio, che la rappresenta e

difende unitamente all’avv. Claudio Lalli, giusta delega a margine

del contoricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23/2006 della Corte d’appello di Firenze,

depositata in data 12.1.06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

9.12.10 dal Consigliere Dott. Giovanni Mammone;

uditi gli avvocati Mario Miceli per delega Pessi e Sergio Galleano

per delega Vacirca;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso il rigetto del ricorso

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con ricorso al giudice del lavoro di Livorno, L.A. esponeva di essere stata assunta con contratto di lavoro a tempo determinato da Poste Italiane s.p.a. per il periodo (OMISSIS) “per esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi rimprendendo un più funzionale ricollocazione del personale sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17/18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”.

Ritenendo illegittima l’apposizione del termine, detta dipendente chiedeva che venisse dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, oltre il risarcimento del danno.

2.- Rigettata la domanda e proposto appello da L., la Corte di appello di Firenze con sentenza depositata il 12.1.06 accoglieva l’impugnazione e dichiarava l’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 3.6.02, condannando Poste Italiane a corrispondere a titolo di risarcimento le retribuzioni omesse a decorrere dal ricorso introduttivo.

La Corte di appello riteneva che, in violazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, comma 2, le ragioni effettive per le quali era stato apposto il termine non fossero state specificate, mancando la descrizione delle concrete esigenze datoriali che avevano suggerito la stipula di un contratto a termine, nonchè ogni riferimento al nesso esistente tra dette esigenze e l’assunzione.

3.- Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione Poste Italiane. Si difende con controricorso L..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.- I motivi dedotti da Poste Italiane possono essere sintetizzati come segue.

4.1.- Con il primo motivo è dedotta violazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 e dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè carenza di motivazione.

Premesso che la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato contenuta nel D.Lgs. n. 368 del 2001, attuativo della direttiva 1999/70/CE, ha superato il rigoroso sistema di predeterminazione delle causali legittimanti l’apposizione del termine ed ha fatto venir meno il carattere eccezionale di tale tipo di assunzione, la ricorrente lamenta che il giudice non abbia immotivatamente preso in considerazione la causale del contratto, nel quale erano enunziate per iscritto le esigenze specifiche prese poste a suo fondamento. Ove avesse considerato che l’assunzione del lavoratore, era stata motivata con l’esigenza di dare attuazione ad una serie di accordi sindacali sulla mobilità introaziendale e che erano venute meno non solo la rigida tipizzazione della L. n. 230 del 1962, ma anche il sistema di predeterminazione contrattuale previsto dalla L. n. 56 del 1987, il giudice avrebbe dovuto ritenere soddisfatta l’esigenza di specificazione richiesta dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2.

Il riscontro oggettivo di tale specificazione, inoltre, avrebbe potuto essere compiutamente realizzato mediante l’espletamento dei mezzi istruttori offerti dal datore di lavoro.

4.2.- Con il secondo motivo è dedotta omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, contestandosi la sentenza impugnata in punto di risarcimento del danno, atteso che il giudice – rigettando le istanze istruttorie proposte in proposito dal Poste Italiane ex artt. 210 e 421 c.p.c. – avrebbe omesso di accertare se il lavoratore avesse svolto attività lavorativa alle dipendenze di terzi, realizzando un aliunde perceptum che avrebbe procurato la riduzione dell’importo del risarcimento.

5.- Entrambi i motivi sono infondati.

5.1.- Deve premettersi che il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, recante l’attuazione della direttiva 1999/70 CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES, costituisce la nuova fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. 18 aprile 1962, n. 230 e della successiva legislazione integrativa.

Il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo obbligo comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368, il quale nel testo originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1 prevede che “è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” (comma 1) e che “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1” (comma 2).

Contestualmente al recepimento dell’accordo-quadro il D.Lgs. n. 368 ha disposto dalla data della propria entrata in vigore (24.10.01) l’abrogazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, della L. 25 marzo 1983, n. 79, art. 8 bis della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1).

Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, peraltro già ripensato dalla successiva normazione della L. n. 79 del 1983 e della L. n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte “di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal già rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di “specificare” in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate.

L’onere di “specificazione” nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta all’imprenditore di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate. Tale onere ha lo scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducigli alle esigenze riconosciute dalla legge, imponendo la riconoscibilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto. D’altro canto il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà in cui il contratto viene ad essere calato (v. Cass. 1.02.10 n. 2279).

5.2.- Sostiene Poste Italiane che tale specificazione risulterebbe direttamente dal contratto di lavoro, in ragione del riferimento agli accordi sulla mobilità introaziendale specificamente indicati nell’atto scritto.

Tale affermazione è priva di ogni riscontro fattuale, atteso che dal ricorso non risulta che il contenuto degli accordi sindacali in questione sia mai stato esplicitato in corso di causa. Lo stesso ricorso, inoltre, neppure in termini sintetici e in violazione dell’onere di autosufficienza, dà conto del contenuto di alcuno degli accordi in questione, di modo che non può effettuarsi alcuna valutazione circa la rilevanza degli stessi ai fini della specificazione delle ragioni effettive dell’assunzione.

Tale carenza rende il primo motivo inammissibile.

5.3.- Anche il secondo motivo è inammissibile, sebbene per motivi diversi.

Il giudice di merito ha rigettato l’istanza di Poste Italiane di esercizio dei poteri officiosi in punto di accertamento della circostanza che V. avesse svolto attività lavorativa alle dipendenze di terzi sulla base della fondamentale ragione che l’istanza di parte datoriale era priva di ogni concreta allegazione ed era formulata in termini di assoluta genericità, in modo da rendere incongruo il ricorso ai poteri officiosi di cui all’art. 421 c.p.c..

Tale motivazione è contestata in sede di legittimità in termini altrettanto generici, limitandosi l’illustrazione della ricorrente alla semplice evidenziazione dell’ovvio principio che il giudice possiede poteri istruttori officiosi che possono essere attivati ad istanza di parte. Non viene invece contestata l’affermazione che l’eccezione era stata formulata in termini di assoluta genericità ed in mancanza di allegazione di fatti concreti; neppure viene precisato quale fosse stato il contenuto dell’eccezione al riguardo formulata nel giudizio di merito.

Tale secondo mezzo di impugnazione deve, dunque, essere ritenuto inidoneo a contrastare la decisione e, pertanto, va anch’esso considerato inammissibile.

5.4.- L’inesistenza di un valido morivo di censura in punto di risarcimento del danno rende estranea al presente giudizio la questione dell’applicabilità alla controversia della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, pure trattata dalle parti nelle rispettive memorie.

6.- L’inammissibilità dei due mezzi di impugnazione comporta il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 25,00 per esborsi ed in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari, oltre spese accessorie, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2011

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