Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8836 del 10/04/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 10/04/2018, (ud. 15/02/2018, dep.10/04/2018),  n. 8836

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che:

L.R.C. e D.C. ricorrono, affidandosi ad un motivo e con atto notificato a mezzo p.e.c. il 06/02/2017, per la cassazione della sentenza n. 956 del 04/07/2016 della Corte di appello di Catania, con cui è stato rigettato il loro appello avverso la sentenza del Tribunale di Siracusa, di cessazione della materia del contendere sia sulla domanda di condanna al rilascio di un immobile detenuto sine titulo nei loro confronti azionata da O.V., sia sulla loro riconvenzionale di conformazione giudiziale, L. n. 431 del 1998, art. 13, ex comma 5, del rapporto di locazione ad uso abitativo dedotto come intercorso con controparte;

l’intimata non espleta attività difensiva in questa sede;

è formulata proposta di definizione – per manifesta infondatezza – in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

considerato che:

il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata;

i ricorrenti lamentano “violazione e falsa applicazione della norma di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 5” e “travisamento dei fatti dedotti”, deducendo: avere malamente escluso la corte etnea che essi avessero mai affermato di avere subito un’imposizione del contratto in non consentita forma meramente verbale, per avere anzi essi espressamente riferito di un’illegittima pretesa della controparte in tal senso “pena la mancata esecuzione del rapporto”, con conseguente erroneità del rigetto dell’appello prospettata come basata su quel presupposto;

tale motivo non è manifestamente infondato, ma – così senz’altro potendo comunque definirsi in questa sede camerale il ricorso, rientrando anche tale alternativa nella fattispecie dell’art. 375 c.p.c. – inammissibile, perchè non censura la ratio espressamente posta a base della decisione dalla qui gravata sentenza;

invero, la corte territoriale esclude l’operatività della norma invocata sotto il determinante profilo dell’insussistenza di una condotta rilevante della locatrice “all’atto iniziale della costituzione del rapporto”, mentre gli stessi conduttori devono ritenersi avere allegato soltanto (v. terza – non numerata – facciata della gravata sentenza, ultimo capoverso) che, dopo essere stata appunto la locatrice ad aver voluto la forma verbale, solo “a contratto in corso” era stata invano da loro chiesta la “ripetizione in forma scritta dell’accordo”: e gli stessi ricorrenti, riportando in ricorso il solo passaggio dell’atto di citazione in primo grado (non trascrivendo invece quello di appello, solo sommariamente riassunto e quindi tanto da rendere non esattamente conoscibile, in questa sede, il suo contenuto) su cui si baserebbe la prospettazione dell’illegittima condotta di controparte, finiscono col dare atto che in quella sede si erano doluti di una pretesa di controparte di non dare esecuzione ad un rapporto che era già stato pattuito, utilizzando espressioni univoche in tal senso per l’impiego di un participio passato – come l’espressione “convenuta” in “di attuare la convenuta locazione” – e di un termine tecnico che la pattuizione già intercorsa presuppone, quale “esecuzione” nell’espressione “pena la mancata esecuzione del rapporto”;

e non è affatto contestata, se non altro in modo adeguato e perfino ove non possa ritenersi condivisa, la ratio decidendi in diritto sulla necessità di riferire la condotta della locatrice al momento genetico del contratto: del resto ben potendo sostenersi che effettivamente la conformazione del contratto prevista dalla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 5 presuppone la coartazione o coercizione della volontà del conduttore appunto al momento della formazione del consenso, mentre l’accordo tra le parti sulla violazione della prescrizione sulla forma scritta (registrabile) dà luogo esclusivamente alla nullità del contratto;

il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, per non avervi svolto attività difensiva l’intimata;

infine, si deve pure dare atto – senza possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso da loro proposto, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2018

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