Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8835 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 31/03/2021), n.8835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31691-2018 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. PALUMBO

12, presso lo studio dell’avvocato FABIO MONETA, rappresentato e

difeso dall’avvocato MAURIZIO RICCI;

– ricorrente –

Contro

COMUNE DI AVELLINO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 74, presso lo studio

dell’avvocato RAFFAELE PORPORA, rappresentato e difeso dagli

avvocati BERARDINA MANGANIELLO, GIOVANNI SANTUCCI DE MAGISTRIS,

AMERIGO BASCETTA;

– controricorrente –

contro

R.R., S.I.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3758/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSETTI

MARCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il 7 ottobre 1988 il cancello scorrevole posto all’ingresso d’una scuola elementare di proprietà del Comune di Avellino, fuoriuscendo dai binari, si abbattè su R.M., di anni dieci, provocandogli lesioni personali.

In seguito a tali fatti la vittima ed i suoi genitori introdussero due successivi giudizi:

-) il primo, iniziato in data imprecisata e concluso con la sentenza 1433/02 della Corte d’appello di Napoli, avente ad oggetto il solo an debeatur, all’esito del quale venne affermata la responsabilità dell’amministrazione comunale;

-) il secondo, iniziato nel 2004 e concluso con sentenza 18 settembre 2017 n. 3758 della Corte d’appello di Napoli, avente ad oggetto la quantificazione del danno.

2. Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello di Napoli, con la sentenza da ultimo ricordata, accogliendo il gravame proposto dal Comune di Avellino, ritenne che:

-) erroneamente il Tribunale aveva ritenuto dimostrata l’esistenza di uno stato depressivo della vittima, in quanto quel giudizio venne fondato su una insufficiente documentazione medica;

-) erroneamente il Tribunale aveva calcolato gli interessi compensativi di mora senza tener conto degli acconti già pagati dal Comune prima della liquidazione definitiva del danno.

3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da R.M. con ricorso fondato su un solo motivo.

Ha resistito con controricorso il Comune di Avellino.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2059 c.c. e dell’art. 116 c.p.c..

Deduce che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere non idoneo, ai fini della dimostrazione dell’esistenza d’una malattia psichica e della sua derivazione dal sinistro, il certificato rilasciato dal Dipartimento di salute mentale della Asl di Avellino del 27 maggio 2004.

Sostiene, in particolare, il ricorrente, che “la Corte (d’appello) ha valutato le risultanze probatorie della certificazione della ASL di Avellino non secondo i criteri del prudente apprezzamento e con ragionevole discrezionalità, ma sul presupposto che il predetto certificato medico, rilasciato a distanza di molti anni dal sinistro, non esponeva alcun utile elemento dal quale desumere un collegamento causale dello stato depressivo con il sinistro”.

1.1. Il motivo è inammissibile perchè censura la valutazione delle prove.

Lo stabilire, infatti, se una persona abbia o non abbia una malattia psichica, e se questa malattia sia o non sia derivata da un fatto illecito; così come lo stabilire se un certificato medico dimostri o non dimostri l’eziologia d’uno stato depressivo, costituiscono altrettanti accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito e non sindacabili in questa sede.

Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

2. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

L’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto processuale, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento, se dovuto, a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna R.M. alla rifusione in favore di Comune di Avellino delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 4.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014 n. 55 ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti processuali previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 3, comma 1quater, per il versamento, se dovuto, da parte di R.M. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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