Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8834 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 31/03/2021), n.8834

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31673-2018 proposto da:

B.D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

GIUSEPPE MAZZINI 146, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

PERTICARO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (OMISSIS), in persona del

Presidente del Consiglio di Ministri pro tempore, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2349/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSETTI

MARCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2014 l’odierno ricorrente convenne dinanzi al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero delle finanze, allegando di essere laureato in medicina e di avere conseguito il diploma di specializzazione nell’anno 1984, senza tuttavia percepire alcun compenso durante il periodo di frequentazione della scuola di specializzazione.

Dedusse che il diritto ad una adeguata remunerazione per coloro che avessero frequentato le scuole di specializzazione posi lauream in medicina era stato sancito dall’ordinamento comunitario e che lo Stato italiano non aveva dato tempestiva attuazione alle direttive comunitarie attributive del suddetto diritto.

Chiese pertanto la condanna degli enti convenuti al risarcimento del danno patito in conseguenza della tardiva attuazione delle suddette direttive comunitarie.

2. Con sentenza 7393/17 il Tribunale rigettò la domanda ritenendola prescritta, e condannò l’attore alle spese.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza 10.4.2018 n. 2349, accolse il gravame del soccombente limitatamene alla regolazione delle spese di lite.

Sulla domanda principale la Corte d’appello condivise invece la decisione del Tribunale, secondo cui il dies a quo per il decorso della prescrizione del diritto al risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie in materia di scuole di specializzazione è rappresentato dall’entrata in vigore della L. n. 370 del 1999.

3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da B.D.A., con ricorso fondato su un solo motivo, illustrato da memoria.

Hanno resistito la Presidenza del Consiglio e il Ministero delle Finanze, con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Deduce il ricorrente che la Corte d’appello ha errato nel far coincidere l’exordium praescriptionis con l’entrata in vigore della L. n. 370 del 1999; che quella legge era stata emanata al solo fine di regolare la posizione tra quelli, tra i medici specializzandi, che erano stati parte in taluni giudizi promossi dinanzi al giudice amministrativo; che dal momento che le direttive 72/363 e 72/362 non erano mai state attuate nell’ordinamento italiano, mai poteva essere iniziato a decorrere il termine di prescrizione del credito risarcitorio; che in ogni caso il giudice di merito non aveva compiuto alcuno sforzo per interpretare il diritto nazionale in conformità del diritto comunitario.

1.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui “il diritto al risarcimento del danno da tardiva od incompleta trasposizione nell’ordinamento interno – realizzata solo con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 – delle direttive n. 75 / 362/ CEE e n. 82/ 76/ CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari, si prescrive (…) nel termine decennale decorrente dalla data di entrata in vigore (27 ottobre 1999) della L. 19 ottobre 1999, n. 370, il cui art. 11 ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore di quanti, tra costoro, risultavano beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo (così Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6606 del 20/03/2014, Rv. 630184 – 01; nello stesso senso, ex multis, Sez. L, Ordinanza n. 18961 del 11/09/2020; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 14112 del 07/07/2020; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13281 del 1/07/2020; Sez. 3 -, Ordinanza n. 13758 del 31/05/2018, Rv. 649044 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 23199 del 15/11/2016, Rv. 642976 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16104 del 26/06/2013, Rv. 626903 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 17868 del 31/08/2011, Rv. 619357 – 01).

1.2. Il principio appena ricordato non solo non collide, ma anzi è puntualmente conforme all’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia nella sentenza Emmott (CGUE, sentenza 19.5.2011, in causa C-452/09), nella quale si è affermato che:

(a) lo Stato inadempiente nell’attuazione di una direttiva comunitaria, se convenuto in giudizio da chi domandi il risarcimento del danno causato dalla tardiva attuazione di quella direttiva, ben può opporre all’attore l’eccezione di prescrizione, se non fu lo Stato con il suo comportamento a causare la tardività del ricorso:

(b) l’accertamento da parte della Corte di giustizia della violazione del diritto dell’Unione Europea è ininfluente sul dies a quo del termine di prescrizione, allorchè detta violazione è fuori di dubbio (come già ritenuto da questa Corte: Sez. 3, Sentenza n. 17868 del 31/08/2011, Rv. 619357 – 01).

E nella vicenda oggi in esame l’inadempimento dello Stato all’obbligo di remunerare la frequentazione delle scuole di specializzazione non era nè dubitabile, nè incerto.

Come noto la (allora) Comunità Europea nel 1975 volle dettare norme uniformi per “agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di medico”, e lo fece con due direttive coeve: la direttiva 75/362/CEE e la direttiva 75/363/CEE, ambedue del 16.6.1975.

La prima sancì l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere l’efficacia giuridica dei diplomi rilasciati dagli altri Stati membri per l’esercizio della professione di medico; la seconda dettò i requisiti minimi necessari affinchè il suddetto riconoscimento potesse avvenire, tra i quali la durata minima del corso di laurea e la frequentazione a tempo pieno di una “formazione specializzata”.

L’una e l’altra di tali direttive vennero modificate qualche anno dopo dalla Direttiva 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982.

L’art. 13 di tale ultima direttiva aggiunse alla Direttiva 75/363/CEE un “Allegato”, contenente le “caratteristiche della formazione a tempo pieno (…) dei medici specialisti”.

L’art. 1, comma 3, ultimo periodo, di tale allegato sancì il principio per cui la formazione professionale “forma oggetto di una adeguata remunerazione”.

La direttiva 82/76/CEE venne approvata dal Consiglio il 26.1.1982; venne notificata agli Stati membri (e quindi entrò in vigore) il 29.1.1982, e venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L43 del 15.2.1982; l’art. 16 della medesima direttiva imponeva agli Stati membri di conformarvisi “entro e non oltre il 31 dicembre 1982”.

Pertanto:

(a) l’ordinamento comunitario attribuì ai medici specializzandi il diritto alla retribuzione in modo chiaro ed inequivoco a far data dal 29.1.1982;

(b) altrettanto chiara ed inequivoca era la previsione secondo cui gli Stati membri avevano tempo sino al 31.12.1982 dello stesso anno per dare attuazione al precetto comunitario;

(c) che lo Stato italiano non avesse rispettato tale obbligo era questione non dubitabile, non discutibile, non opinabile, e risultante per di più ictu oculi.

2. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

L’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto processuale del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento, se dovuto, a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna B.D.A. alla rifusione in favore di Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero delle Finanze, in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 5.200, oltre spese prenotate a debito;

(-) dà atto che sussistono i presupposti processuali previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, se dovuto, da parte di B.D.A. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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