Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8828 del 05/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 05/04/2017, (ud. 24/01/2017, dep.05/04/2017),  n. 8828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29509/2015 proposto da:

T.D. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

V.LE GIUSEPPE MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

ALBERTO PENNISI, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ANDREA INGIULLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA C.F.

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, e per P.B.,

C.P.G., D.V.A., B.D., tutti

rappresentati e difesi ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 44,

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 226/2015 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 08/09/2015 R.G.N. 5/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito l’Avvocato PAOLO GIAMMAROLI per delega verbale VINCENZO ALBERTO

PENNISI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Trieste, con sentenza n. 226/2015, dichiarava inammissibile il ricorso per revocazione proposto ex art. 395 c.p.c., n. 4, da T.D. avverso la sentenza n. 406/2013 della medesima Corte. Questa aveva rigettato l’impugnazione del T. avverso la sentenza del Tribunale di Udine n. 244/2012, a sua volta reiettiva delle pretese avanzate dal dipendente, che aveva impugnato il recesso operato dal MIUR per mancato superamento del periodo di prova. Il T. aveva altresì prospettato l’illiceità di alcuni comportamenti tenuti dai dirigenti cui era stato subordinato nelle sedi di Trieste e di Udine ed aveva chiesto la reintegra posso di lavoro e il risarcimento dei danni subiti.

2. A sostegno del ricorso per revocazione, il ricorrente aveva lamentato, con riferimento al comportamento dai lui tenuto nello svolgimento della prestazione lavorativa, che la Corte era incorsa in un’errata percezione della realtà fattuale, non valutando i documenti allegati e le prove formatesi nel processo, dai quali si poteva evincere in maniera certa ed inequivocabile l’impegno profuso e il comportamento corretto e disponibile da lui tenuto, sebbene in un ambiente di lavoro ostile e ostruzionistico. Il giudice non aveva “letto le carte” o le aveva “interpretate male”, in maniera da travisare i fatti ed arrivare a conclusioni errate; la sentenza era iniziata per errore di fatto su circostanze risultanti modo inequivoco da documenti e dagli atti del processo “evidentemente non visti dal giudicante”. Ulteriore profilo di revocazione per travisamento dei fatti atteneva alla attendibilità dei testi e alle risultanze testimoniali.

3. La Corte di appello di Trieste, con sentenza n. 226/15, respingeva il ricorso per revocazione osservando che, per consolidata giurisprudenza, l’errore di fatto suscettibile di rilievo in sede di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, non attiene ad un preteso inesatto apprezzamento e valutazione delle prove e delle allegazioni delle parti, quanto invece alla falsa percezione di ciò che emerge dagli atti del giudizio e che deve essere incontroverso tra le parti; l’errore deve avere carattere di assoluta immediatezza e di semplice concreta rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive e di particolari indagini ermeneutiche. Inoltre, l’errore, per essere rilevante, deve essere caduto sul fatto decisivo e non può consistere in un preteso inesatto apprezzamento delle risultanze processuali e in una incompleta valutazione degli atti e documenti di causa. Tali presupposti non sussistevano nella specie, poichè le censure mosse dal T. investivano l’attività valutativa del giudice, sindacabile solo in sede di legittimità.

4. Per la cassazione di tale sentenza il T. propone ricorso affidato a due motivi. Resistono con controricorso il MIUR e i dirigenti evocati giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia carenza di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. La sentenza impugnata era scarsamente motivata, avendo fatto mero richiamo a precedenti giurisprudenziali. Questi possono servire a supportare la tesi con un ragionamento giuridico, ma non possono sostituire la tipica funzione giudiziale è quella di applicare la regola generale ed astratta al caso di specie, oggetto del giudizio.

2. Con il secondo motivo si denuncia error in procedendo, ravvisabile nell’erronea interpretazione e portata applicativa dell’art. 395 c.p.c., n. 4″. L’errore di fatto denunciato come motivo di revocazione ordinaria atteneva all’omessa valutazione delle prove documentali, ossia di atti allegati al ricorso che, se visti, avrebbero portato a un diverso convincimento. L’omessa valutazione di prove documentali integra un vizio di natura revocatoria ove l’errore di percezione o la svista materiale abbia indotto il giudice a supporre un fatto la cui verità è esclusa sulla base di atti o documenti allegati al ricorso, ovvero a considerare non esistente un fatto accertato in maniera indiscutibile alla stregua di atti e documenti di causa. Il giudice di appello era pervenuto così al convincimento erroneo che il ricorrente non avesse espletato le attività lavorative affidategli nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro. Poichè dalla sentenza impugnata è dato evincere che la decisione venne assunta a prescindere dai documenti allegati al ricorso, si verte in un’ipotesi di errore revocatorio.

3. Il primo motivo di ricorso è infondato.

3.1. La sentenza può ben essere motivata per relationem con rinvio ai precedenti di legittimità pertinenti, la cui applicazione al caso concreto consente di regolare la fattispecie dedotta in giudizio.

3.2. Quando la motivazione richiama un orientamento giurisprudenziale consolidato – tra l’altro riportando le massime in cui esso si è espresso – la motivazione deve ritenersi correttamente espressa da tale richiamo, che rinvia – in evidente ossequio al principio di economia processuale (che oggi trova legittimazione formale nel principio della ragionevole durata del processo, il quale giustifica ampiamente che non si debbano ripetere le argomentazioni di un orientamento giurisprudenziale consolidato, ove condivise dal giudicante e non combattute dal litigante con argomenti nuovi) – appunto alla motivazione risultante dai provvedimenti richiamati, di modo che il dovere costituzionale di motivazione risulta adempiuto per relationem, per essere detta motivazione espressa in provvedimenti il cui contenuto è conoscibile (Cass. nn. 7943 del 2007, 13708 del 2015, n. 11508 del 2016).

3.3. Nè la sentenza impugnata risulta errata per difettosa sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta. Difatti, dopo avere richiamato la regula iuris applicabile alla fattispecie, per cui l’attività valutativa esula dall’alveo della falsa percezione dei fatti, ha rilevato che nella specie il ricorrente aveva incentrato le censure mosse alla sentenza di appello sull’inesatto apprezzamento delle risultanze processuali e su una incompleta valutazione degli atti e dei documenti di causa, e dunque si verteva in attività valutativa che esula dell’alveo della revocazione per errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4.

4. Anche il secondo motivo è infondato.

4.1. A prescindere dalla rubrica del motivo, che allude a vizi processuali, laddove l’errore percettivo ha natura diversa, deve rilevarsi che l’ipotesi riconducibile all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato. Non è idoneo ad integrare errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, l’ipotizzato travisamento di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l’interpretazione dei contenuti espositivi dei rispettivi atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale di revocazione (cfr. Cass. S.U. n. 13181 del 2013).

4.2. Nella specie, si deduce che la Corte di appello di Trieste, nel giudizio di merito, non aveva tenuto in debita considerazione, omettendo di esaminarli e di darne conto nella sentenza, alcuni elementi di prova prodotti dal T. nel giudizio di merito. E’ palese che non solo non si verte in un’ipotesi di errore percettivo, ma in un presunto errore tipicamente valutativo, estraneo come tale al mezzo di impugnazione proposto. La denuncia espressa con il ricorso per revocazione allude al fatto che la Corte di merito non avrebbe dato la giusta rilevanza ad alcune fonti di prova, omettendo del tutto di considerarle. Il mancato apprezzamento di alcune fonti di prova non costituisce vizio revocatorio, ma esercizio del potere valutativo che compete al giudice di merito, eventualmente denunciabile come errore di giudizio in sede di ricorso per cassazione nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

4.3. Difatti, l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 16056 del 2016, 17097 del 2010).

4.4. La Corte di appello con la sentenza ora impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi, ritenendo che il vizio con il quale si imputava alla sentenza di merito un’erronea valutazione delle prove raccolte era, di per sè, incompatibile con l’errore di fatto, essendo ascrivibile non già ad un errore di percezione, ma ad un preteso errore di giudizio (v. pure Cass. n. 22080 del 2013) e che l’errore revocatorio non è ravvisabile nei casi in cui il giudice abbia omesso di esaminare le prove documentali invocate dalle parti od abbia proceduto ad un’erronea o incompleta valutazione delle risultanze probatorie, incorrendo cosi in un errore di giudizio denunziabile con ricorso per cassazione (v. pure Cass. 1902 del 1973).

5. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

6. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2017

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