Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8827 del 30/04/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 8827 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 23709-2009 proposto da:
BOCCA

GIOVANNA

BCCGNN42A53H334S,

CRESTA

ELIO

CRSLEI33M13CO27Q, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA F. DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato
STEFANO MASTROLILLI, che li rappresenta e difende
unitamente all’avvocato CARLO TRAVERSO;
– ricorrenti –

2015

contro

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GOTTA CARLA,

GOTTA SILVANA C.F.GTTSVN48E49CO27G

QUEST’ULTIMA NON IN PROPRIO MA QUALE EREDE DI GOTTA
ANDREA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

Data pubblicazione: 30/04/2015

ANTONIO MORDINI 14, presso lo studio dell’avvocato
ANTONINO V.E. SPINOSO, che li rappresenta e difende
unitamente all’avvocato MASSIMO GRATTAROLA;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 1154/2008 della CORTE

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/02/2015 dal Consigliere Dott. CESARE
ANTONIO PROTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
l’inammissibilità, in subordine, il rigetto del
ricorso.

D’APPELLO di TORINO, depositata il 08/08/2008;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 28/10/2000 Andrea e Pietro Gotta
convenivano in giudizio Elio Cresta e Giovanna Bocca e
chiedevano che fossero condannati a demolire un muretto
costruito dai convenuti e che modificava lo stato dei

tre metri il sedime di una strada di raccordo che
attraversava la proprietà dei convenuti e sulla quale
si era consolidata da tempo immemorabile una servitù di
passaggio con macchine agricole e automezzi pesanti,
resa meno agevole dalla costruzione.
Nel corso del giudizio di primo grado, dopo il decesso
di Pietro Gotta si costituiva l’erede Carla Gotta.
I convenuti negavano che la costruzione avesse ridotto
l’ampiezza della servitù.
Con sentenza del 3/1/2006 il Tribunale rigettava la
domanda attorea che era invece accolta, a seguito di
appello degli attori,dalla Corte di Appello di Torino
con sentenza in data 8/8/2008.
La Corte di Appello rilevava:
– che, essendo certa la servitù, si trattava di
determinare se il suo esercizio fosse limitato alla
strada che passa attraverso la metà aperta del
cancello;

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luoghi in quanto riduceva da circa 3 metri e 70 a soli

- che era raggiunta la prova del restringimento del
percorso oggetto di servitù in conseguenza della
realizzazione del muretto;

che

infatti

in

tal

senso

deponevano

le

caratteristiche del cancello largo come la strada e

che trovavano conferma nelle testimonianze dei testi
Storace (che riferiva che a seconda delle occasioni il
cancello era del tutto aperto o per metà chiuso) Gotta
(che trovava il cancello aperto quando passava per
occuparsi della vigna, anche con un trattore)e Anselmi;
– che i testi di parte appellata non inficiavano le
dichiarazioni dei tre testi dalle quali si poteva
desumere che il cancello venisse integralmente aperto
per consentire il passaggio di mezzi più ingombranti;

che l’utilizzazione saltuaria

dell’intera sede

stradale non era contraddetta dai fiori e dall’erba che
riuscivano a crescere a ridosso della parte chiusa del
cancello, né dai tavolini, dalle sedie da giardino e
dai vasi di piante che in certi periodi dell’anno
venivano sistemati davanti alla casa di Gotta, né dalle
tre o quattro piastrelle infisse in terra, elevate da
terra per pochi centimetri;

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ancora apribile anche per la metà normalmente chiusa e

-

che pertanto il muretto costituiva innovazione

diretta a diminuire la possibilità di esercizio della
servitù.
Elio Cresta e Giovanna Bocca hanno proposto ricorso per
cassazione affidato a due motivi, il primo indicato con

III invece che II.
Carla Gotta e Silvana Gotta, quest’ultima quale erede
di Andrea Gotta hanno resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono il vizio
di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
in ordine a quanto fosse estesa la servitù all’atto
della sua costituzione e sostengono:

che la Corte di Appello avrebbe immotivatamente

ritenuta usucapita la

servitù su tutta l’area

rivendicata dai Gotta e non avrebbe motivato in ordine
alla

prova

dell’esercizio

ultraventennale

della

servitù;
– che sarebbe irrilevante il fatto che il teste Gotta
avesse talvolta trovato il cancello aperto per intero;

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i

il numero rimano I e il secondo con il numero romano

- che gli attori avevano l’onere di provare il diritto
di passaggio su tutta la maggior superficie, pari ad
oltre sei metri;
– che i testi di controparte nulla avevano riferito
sulla durata ultraventennale del passaggio;

mietitrebbia, unico mezzo per il quale si renderebbe
necessario un passaggio di oltre tre metri;
– che dalle foto si evinceva quale fosse il tracciato
percorso dai veicoli, corrispondente alla larghezza
dell’anta sempre aperta;

che i manufatti a forma di rombo impedivano i

passaggio e che da inizio a primavera a fine autunno i
Gotta posizionavano tavolini, sedie e vasi di limone
sulla loro proprietà immediatamente retrostante alla
metà del cancello rimasta chiusa;
– che non si comprendeva per quale motivo erano stati
ritenuti inattendibili i propri testi.
1.1 Il motivo deve essere dichiarato inammissibile per
mancanza del momento di sintesi prescritto dall’art.
366 bis c.p.c. ora abrogato, ma applicabile ratione
temporis
Il ricorrente trascura che, nel vigore dell’art.366-bis
c.p.c., il motivo di ricorso per omessa, insufficiente

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– che nulla avevano riferito circa il passaggio con una

o contraddittoria motivazione, proposto ai sensi
dell’art.360, comma l, n.5, c.p.c., doveva essere
accompagnato da un momento di sintesi idoneo a
circoscriverne puntualmente i limiti, in maniera da non
ingenerare incertezze in sede di formulazione del

motivo, cioè, doveva contenere a pena
d’inammissibilità un’indicazione riassuntiva e
sintetica, che costituisse un “quid pluris” rispetto
all’illustrazione del motivo e che consentisse al
giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del
ricorso (Cass. Sez. U. 24/2/2008 n. 2653; Cass.
20/05/2010 n. 12339 in motivazione).
La giurisprudenza di questa Corte ha altresì precisato
che è inammissibile il motivo di ricorso per omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non
sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando
la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi,
anche quando l’indicazione del fatto decisivo
controverso sia rilevabile dal complesso della
formulata censura, attesa la “ratio” che sottende la
disposizione indicata, associata alle esigenze
deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale
deve essere posta in condizione di comprendere, dalla

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ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; il

lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso
dal giudice di merito (Cass. 18/11/2011 n. 24255).
Nulla di tutto ciò è leggibile nel caso di specie.
Orbene,

la

generica

affermazione

(che

è

stata

evidenziata in grassetto) secondo la quale

ritenuta l’usucapione ultraventennale della servitù e
sul le tre testimonianze addotte siano in grado di
comprovare l’usucapione non attinge la motivazione
secondo la quale le parti sono concordi nell’affermare
che la servitù esiste e viene esercitata da tempo
immemorabile, mentre l’unico contrasto riguarda le
modalità di esercizio, sostenendosi, da parte di Cresta
e Bocca, che il passaggio viene esercitato solo sulla
strada che passa attraverso la metà del cancello
aperto.
In ordine a questa sola circostanza, rilevano dunque le
prove testimoniali che sono state utilizzate dalla
Corte di Appello la quale ha osservato che le stesse
erano confermative delle caratteristiche del cancello,
ancora apribile anche per la metà che risulta
normalmente chiusa; in tal senso è stata valorizzata
anche la testimonianza dell’Arditi (v. pag. 6 della
sentenza impugnata) il quale ha confermato che il

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sussisterebbe carenza di motivazione sul perché si sia

cancello era sempre rimasto apribile.
Pertanto,

la

Corte

di

Appello

ha

tratto

il

convincimento che il passaggio non veniva esercitato
solo sul tratto lasciato aperto dalla metà del cancello
perché il cancello era apribile ed è stato provato che

rimaneva chiuso per una metà.
Neppure attinge la ratio decidendi l’argomento secondo
il quale avrebbe dovuto essere provato che per venti
anni il passaggio era esercitato sull’intera larghezza
del percorso in quanto non inficia l’argomento secondo
il quale il cancello a seconda delle occasioni era ora
aperto ora chiuso e che l’eventuale successivo uso
minore della servitù è irrilevante perché ai sensi
dell’art. 1075 c.c. la servitù si conserva per intero
anche se esercitata in modo da trarre un’utilità
minore.
Inoltre è del tutto “fuori tema” l’argomento secondo il
quale i Gotta avrebbero dovuto provare l’esercizio del
diritto di passaggio su tutta la maggiore superficie di
oltre sei metri, in quanto essi hanno richiesto di
conservare il passaggio per una larghezza pari a non
meno di tre metri e 70 essendo stato ridotto il loro
passaggio, in conseguenza della costruzione del

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1U

a seconda delle occasioni era aperto per intero o

muretto, a 3 metri.
Infine la Corte di Appello ha plausibilmente motivato
(pag. 6 della sentenza)in ordine all’irrilevanza dei
fiori e dell’erba che crescevano a ridosso della parte
chiusa del cancello o dai tavolini, sedie e vasi di

sistemati davanti alla casa dei Gotta.
Nessuno di questi argomenti

che sorreggono la

motivazione ha formato oggetto dello specifico e
conclusivo momento di sintesi richiesto dall’art. 366
bis c.p.c.
2. Con il secondo motivo (numerato con il numero romano
III) i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 112
c.p.c. e sostengono che gli attori avevano richiesto
l’abbattimento del muretto in cemento per ripristinare
l’originaria servitù di passo con esercizio per la
larghezza non inferiore a metri 3,70, mentre la Corte
di Appello ha ordinato l’abbattimento dell’intero
muretto e non della sola parte necessaria a
ripristinare il passaggio.
I ricorrenti, formulando il quesito di diritto chiedono
se il Giudice possa disporre l’abbattimento completo
del muto anche per lo spazio che eccede i metri 3,70 se
la parte ha chiesto l’abbattimento del muro in maniera

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piante che in certi periodi dell’anno venivano

da ripristinare l’originaria servitù di passaggio con
esercizio per una larghezza no inferiore a metri 3,70,
anche per lo spazio che eccede i metri 3,70.
2.1 n motivo, in quanto formulato come vizio di
ultrapetizione, è infondato perché gli attori avevano

l’originaria servitù di passaggio con esercizio non
inferiore a metri 3,70; la Corte di Appello ha rilevato
che il muretto costituiva un’innovazione che ostacolava
l’esercizio della servitù e ne ha disposto
l’abbattimento senza incorrere nel vizio denunciato in
quanto gli attori non avevano indicato una misura
precisa, ma si erano limitati a chiederne
l’abbattimento per ripristinare l’originaria servitù
con esercizio per larghezza non inferiore a metri 3,70;
il decisum deve essere pertanto interpretato come
accoglimento della domanda e nei limiti della stessa
secondo le risultanze processuali.
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate
come in dispositivo, seguono la soccombenza dei
ricorrenti.
P.Q.M.

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chiesto l’abbattimento del muretto per ripristinare

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti
Cresta Elio e Bocca Giovanna in solido a pagare ai
controricorrenti Gotta Andrea e Gotta Carla le spese di
questo giudizio di cassazione che liquida in euro
2.500,00 per compensi oltre euro 200,00 per esborsi,

accessori di legge.
Così deciso in Roma, addì 26/2/2015.

oltre 15% sul compenso per spese forfetarie, oltre

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