Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8827 del 13/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/05/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 13/05/2020), n.8827

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14426-2018 proposto da:

K.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMO GILARDONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

contro

PROCURA GENERALE presso la CORTE DI CASSAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 995/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO

ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con sentenza depositata il 22 febbraio 2018, la Corte d’Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da K.M., proveniente dal Senegal, avverso l’ordinanza del 4 novembre 2016 del Tribunale di Milano, che, confermando il provvedimento della Commissione Territoriale, gli aveva negato sia il diritto alla protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria), sia pure il diritto alla protezione per motivi umanitari.

2.- A supporto della decisione adottata, la Corte territoriale ha posto, in specie, la formulazione di un giudizio di non attendibilità delle dichiarazioni del richiedente, il quale aveva raccontato di essere fuggito dal suo Paese a seguito di un’incursione di ribelli nel proprio villaggio, in cui il padre era rimasto ucciso.

In ragione di questa valutazione la Corte d’Appello ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle figure di protezione internazionale. In particolare, ha affermato che non si veniva a ravvisare nessun rischio in capo all’appellante di subire un “danno grave” ai sensi della norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Quanto al tema della protezione umanitaria, la decisione ha rilevato che il ricorrente non aveva allegato elementi idonei a dimostrare l’esistenza di una situazione di vulnerabilità e gravità.

3.- Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso K.M., sviluppando due motivi di cassazione.

Il Ministero ha resistito, depositando controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Il ricorso censura la sentenza della Corte d’Appello di Milano: (i) col primo motivo, per violazione della normativa processuale in tema di impugnazioni, segnalando l’ammissibilità e tempestività del ricorso in ragione dell’applicabilità alla fattispecie del termine previsto dalla norma dell’art. 327 c.p.c.; (ii) col secondo motivo, per violazione della normativa di legge sul diritto alla protezione internazionale.

5.- Il primo motivo di ricorso è inammissibile per carenza di interesse.

E’ noto, infatti, che “in tema di tempestività del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di protezione internazionale, a seguito dell’abrogazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 14, deve applicarsi il termine ordinario di cui all’art. 327 c.p.c. e non già il termine di trenta giorni di cui all’art. 702 quater c.p.c.” (Cass., 22 settembre 2015, n. 18704).

6.- Il secondo motivo rimprovera alla Corte d’Appello di essersi limitata ad escludere, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ovvero di quella umanitaria, il pericolo di “danno grave” in caso di rientro nel Paese d’origine, senza alcuna considerazione della situazione oggettiva ivi presente.

7.- Il motivo merita di essere accolto.

8.- Secondo l’orientamento di questa Corte, nei giudizi di protezione internazionale il giudice deve svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo del giudice civile ordinario e libero da preclusioni e da impedimenti processuali, oltre che fondato “sulla possibilità di assumere informazioni e acquisire tutta la documentazione necessaria” (Cass., Sezioni Unite 17 novembre 2008, n. 27310).

Coerentemente, il giudice ha il potere-dovere di “accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese straniero d’origine dell’istante si verifichino fenomeni” tali da giustificare l’applicazione della protezione internazionale (Cass., 31 gennaio 2019, n. 3016).

Come ha rilevato, per altro verso, la pronuncia di Cass., 28 giugno 2018, n. 17069, tale dovere viene adempiuto dal giudice di merito “mediante le informazioni attingibili presso la Commissione nazionale per il diritto d’asilo o da altre fonti” volte a verificare “se e in quali limiti”, nei luoghi indicati dal ricorrente, “si registrino fenomeni di violenza indiscriminata”. L’integrazione istruttoria ufficiosa deve quindi avvenire mediante l’apprezzamento di tutte le informazioni di cui si dispone, “al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e attualità del timore di danno grave dedotto” (Cass., 25 luglio 2018, n. 19716); sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte (Cass., 22 maggio 2019, n. 13897; Cass., 26 aprile 2019, n. 11312).

L’assolvimento del dovere di cooperazione comporta, dunque, l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate, non risalenti rispetto al tempo della decisione; e quindi, pure la relativa indicazione nell’ambito del tessuto motivazionale (Cass., 12 dicembre 2018, n. 28990).

Inoltre, è da escludere “l’eventuale rilevanza di precondizioni ulteriori per l’attivazione del detto dovere di cooperazione istruttoria, quale quella rappresentata dalla ritenuta credibilità del racconto fatto dal ricorrente o anche la constatata specificità del medesimo” (Cass., 19 aprile 2019, n. 11096; Cass., 24 maggio 2019, n. 14283).

Da quanto detto deriva, come già accennato, la necessità di riportare – nell’ambito della motivazione – le fonti di informazioni utilizzate, in quanto le stesse stanno, per l’appunto, “a fondamento e giustificazione del convincimento che nel concreto viene espresso dal giudice” (cfr. la già richiamata Cass., 19 aprile 2019, n. 11096).

9.- Nel caso qui in giudizio, la sentenza della Corte territoriale non ha indicato le fonti da cui trarre la valutazione circa la situazione politica, sociale e civile del Paese d’origine del richiedente.

Con la conseguenza che la sentenza, oltre ad essere affetta da una motivazione solo apparente, viene pure a violare il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

10.- La sentenza impugnata va dunque cassata e la controversia rinviata alla Corte di Appello di Milano che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte d’Appello di Milano, che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020

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