Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8824 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 31/03/2021), n.8824

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18798-2019 proposto da:

M.P.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FABRIZIO

PUTIGNANO;

– ricorrente –

contro

ADER, – AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, (OMISSIS), in persona del

Presidente pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

contro

G.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1204/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 13/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2020 dal Presidente Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Equitalia ETR S.p.a., premesso di essere creditrice di M.P.A. in forza di numerose cartelle esattoriali, per la somma complessiva di Euro 32.207.734,44, convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Brindisi, i coniugi M.P.A. e G.M. per sentire dichiarare l’inefficacia, nei suoi confronti, della compravendita dagli stessi stipulata per rogito del notaio C.A.A., con cui il M. aveva alienato alla G. la propria quota – pari alla metà – di un complesso immobiliare di terreni e fabbricati siti in agro di Carovigno contrade (OMISSIS).

Si costituì in giudizio G.M., chiedendo il rigetto della domanda attorea e la condanna di M.P.A., al risarcimento dei danni in suo favore, in caso di accoglimento della domanda proposta da parte attrice.

Si costituì in giudizio anche il M., contestando il fondamento della domanda attorea e di quella avanzata dalla convenuta nei suoi confronti.

Il Tribunale di Brindisi accolse la domanda ex art. 2901 c.c. di Equitalia ETR S.p.a. e, per l’effetto, dichiarò l’inefficacia nei confronti dell’attrice del contratto di compravendita in parola; rigettò la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla G. nei confronti del M.; condannò i convenuti alle spese di lite in favore di parte attrice e compensò dette spese tra il M. e la G..

Avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi G.M. propose appello in unico motivo, chiedendone l’integrale riforma.

Si costituì il M., aderendo alle ragioni dell’appellante.

Si costituì anche la società appellata, eccependo l’inammissibilità dell’appello e chiedendo l’integrale conferma della sentenza di primo grado.

La Corte di appello di Lecce, con sentenza n. 1204/2018, rigettò integralmente l’impugnazione, confermando la sentenza di primo grado, e condannò l’appellante al pagamento, in favore di Equitalia ETR S.p.a., delle spese di quel grado, spese che compensò tra la G. e il M..

Avverso detta sentenza M.P.A. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi.

Ha resistito con controricorso ADER – Agenzia delle Entrate Riscossione.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede G.M..

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte di appello violato gli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 2729 c.c..

Sostiene il M. che la Corte territoriale sarebbe incorsa in “grave travisamento della prova nella valutazione degli elementi indiziari posti alla base della decisione” e, conseguentemente, avrebbe malamente ricostruito il fatto. In particolare, il ricorrente contesta l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata – e basata sull’indicazione contenuta nell’atto di vendita della residenza anagrafica – secondo cui i coniugi M. e G., al momento della stipulazione della vendita, fossero conviventi, ciò sebbene il M. avesse trasferito altrove la propria residenza, come risulterebbe dal ricorso per la separazione presentato dai coniugi stessi.

1.1. Il motivo è inammissibile, sia per difetto di specificità, perchè non riporta il tenore letterale, almeno per la parte che qui rileva, degli atti cui fa riferimento, sia perchè volto, in sostanza, a contestare la valutazione delle risultanze istruttorie condotta dal giudice del merito e dallo stesso adeguatamente motivata, anche con riferimento a quegli elementi probatori di cui il ricorrente lamenta l’omessa valutazione (v. sentenza impugnata p. 10-12).

La Corte territoriale ha, infatti, tenuto conto del rapporto di coniugio tra il M. e la G. e della loro convivenza quali elementi presuntivi a prova dell’esistenza della scientia damni in capo a quest’ultima. Sul punto, ha aderito alla valutazione delle prove operata dal Giudice di prime cure e ha ritenuto di non attribuire rilievo al ricorso per separazione personale, depositato solo cinque giorni prima della stipula del contratto di compravendita innanzi al notaio, in cui il M. e la G. avevano dichiarato di essere ancora coniugati e di avere la stessa residenza.

In ogni caso, la Corte ha valutato numerosi altri elementi indiziari e probatori a sostegno della sussistenza del requisito della scientia damni in capo alla G. (risultanze dell’interrogatorio formale reso dalla medesima, modalità di pagamento del prezzo della compravendita ritenute “dubbie”, notevole sperequazione tra il prezzo indicato nell’atto e il valore del bene come accertato dalla c.t.u.).

La censura in esame, quindi, in sostanza, come già evidenziato, investe l’esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, il cui cattivo esercizio non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., ord., 26/09/2018, n. 23153; Cass. 10/06/2016, n. 11892).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte territoriale illegittimamente presupposto la lesività di ogni atto di trasferimento di un bene in cui vi sia sproporzione tra il valore dello stesso ed il credito e denuncia, altresì, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto tenere conto – ai fini della scientia damni e del consilium fraudis – del fatto che il trasferimento del complesso immobiliare alla G. sia avvenuto in adempimento degli obblighi da lui assunti per effetto dell’accordo di separazione, sicchè l’azione revocatoria proposta troverebbe dunque un ostacolo nella presenza di un motivo oggettivo idoneo a giustificare l’atto impugnato, e cioè l’adempimento dell’obbligazione di mantenimento, già quantificata nell’accordo di separazione in ragione del periodo di riferimento e del numero dei figli.

Inoltre, l’accordo di separazione si atteggerebbe a fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte di merito.

2.1. Il motivo è infondato sotto il profilo dell’omesso esame, posto che la Corte di appello ha tenuto conto dell’esistenza degli accordi di separazione (“anche a voler ritenere che l’atto di vendita del 22/06/2004 sia stato posto in esecuzione degli accordi di separazione e che il prezzo della vendita sia comprensivo anche del valore complessivo del mantenimento pari a Euro 150.000,00, si evidenzia che non sfugge al rimedio della revocatoria neppure il trasferimento operato in esito a separazione personale omologata dei coniugi”, v. pagina 12 della sentenza impugnata), sebbene ne abbia esclusa la rilevanza.

Altrettanto vale per il diverso profilo della violazione di legge. La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che in tema di azione revocatoria ordinaria, quando l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonchè, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato (Cass., ord., 18/06/2019, n. 16221; Cass. 30/12/2014, n. 27546).

Quindi, il fatto che l’atto sia stato compiuto in adempimento degli accordi di separazione è stato preso in considerazione dalla Corte territoriale, la quale ne ha, tuttavia, motivatamente escluso la rilevanza, anche tenendo conto del fatto che l’omologa dei detti accordi da parte del Tribunale è cronologicamente successiva di vari mesi al momento della stipulazione della compravendita in parola.

Alla luce della complessiva valutazione operata dalla Corte di merito, non può essere in alcun modo condivisa la tesi del ricorrente secondo cui quella Corte avrebbe “supposto, con riferimento alla lesività dell’atto, che ogni trasferimento sia tale ove vi sia sproporzione tra il valore del bene trasferito e il credito per il quale si procede”.

3. Con il terzo motivo il M. censura la sentenza impugnata per aver la Corte di merito ritenuto essersi formato il giudicato interno sulle affermazioni fatte dalla G. in sede di interrogatorio formale, pur avendo riconosciuto che l’appello “si sostanziava in una critica alla valutazione effettuata dal Giudice alle risultanze della istruttoria”.

Il ricorrente sostiene, da un lato, che la statuizione non sarebbe passata in giudicato perchè sarebbe stata oggetto di gravame, e, dall’altro, che “le dichiarazioni stesse (rese dalla convenuta), costituenti comunque elemento della istruttoria contestata, sono state intese dal Giudice di primo grado come confermative degli altri elementi desunti in via presuntiva”.

3.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

In primo luogo, il ricorrente non riferisce quali specifiche contestazioni abbia mosso nell’atto d’appello circa il significato da attribuire alla dichiarazione resla in sede di interrogatorio formale dalla G.; per tale ragione il motivo difetta della specificità necessaria ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

In ogni caso, la doglianza è manifestamente infondata, atteso che il giudice di merito si è fondato sulla valutazione di più elementi istruttori al fine di suffragare la ricostruzione della vicenda.

In particolare, nel caso di specie, oltre alle risultanze dell’interrogatorio formale, che la Corte territoriale ha sostanzialmente valutato nei sensi già espressi dal Tribunale (v. sentenza impugnata p. 10), al di là di quanto affermato in relazione al giudicato (v p. 11 stessa sentenza), la medesima Corte ha valutato ulteriori e numerose circostanze di fatto da cui ha desunto la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie (ed in particolare eventus damni, scientia damni), evidenziando che il debitore non ha assolto l’onere probatorio, posto a suo carico, di possedere altri beni per far fronte al pagamento del debito vantato dalla creditrice.

4. Con il quarto motivo, rubricato “Nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione di norma di diritto, in particolare dell’art. 116 c.p.c., in relazione agli art. 2733 c.c. e 2744 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, il ricorrente contesta l’interpretazione che la Corte territoriale ha fornito della dichiarazione resa dalla G. in sede d’interrogatorio formale.

In particolare, ad avviso del ricorrente, la G. non avrebbe mai affermato di essere a conoscenza di una importante posizione debitoria del M. nei confronti dei Equitalia; al più avrebbe fatto riferimento ad un unico debito, risalente a molti anni prima della compravendita impugnata e garantito da ipoteca iscritta sugli stessi beni oggetto di tale atto (e per tale ragione, secondo il ricorrente sarebbe irrilevante ai fini del giudizio).

L’interpretazione errata delle dichiarazioni della G., insieme con gli altri elementi indiziari (anch’essi inesistenti ad avviso del ricorrente) avrebbe condotto la Corte territoriale a ritenere sussistenti nel caso di specie tutti gli elementi costitutivi della revocatoria.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto tende a una rivalutazione delle risultanze istruttorie, valutazione istituzionalmente demandata al giudice del merito e non censurabile in questa sede, se motivata, come nella specie.

Pur a voler ritenere che il ricorrente intenda, in particolare, negare la valenza confessoria delle dichiarazioni rese dalla G., la censura anche così interpretata è inammissibile, in quanto l’interpretazione data dal giudice del merito, in ordine alle dichiarazioni rese da una parte in sede di interrogatorio formale, al fine di stabilire se le medesime costituiscano o no confessione, ai sensi dell’art. 2730 c.c., risolvendosi in un apprezzamento di fatto, diretto alla valutazione di un mezzo di prova, non è soggetta al sindacato di legittimità, se immune da errori logici e giuridici (Cass. 10/05/1976, n. 1646).

Inoltre, è bene ricordare che la confessione giudiziale ha valore di prova legale, il cui apprezzamento è sottratto alla valutazione del giudice del merito.

Infine, a quanto precede va aggiunto che il ricorrente non ha in alcun modo precisato, nell’illustrazione del mezzo in scrutinio, in che termini sarebbero state violate le disposizioni indicate in rubrica e cioè l’art. 2733 e l’art. 2744 c.c., il che aggiunge un ulteriore profilo di inammissibilità al motivo in esame.

5. Il ricorso va, pertanto, complessivamente rigettato.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti dell’intimata, non avendo la stessa svolto attività difensiva in questa sede.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 28.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore import; a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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