Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8821 del 30/04/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 8821 Anno 2015
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MAZZACANE VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 7501-2007 proposto da:
CAPORALE FRANCESCO SAVERIO,

SANNINO ANTONIETTA,

CAPORALE MARIA GIUSEPPINA, elettivamente domiciliati
in ROMA, P.ZZA CAVOUR presso la Corte di Cassazione
rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE DE
VINCENTIS;
– ricorrenti –

2015

contro

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CERUZZO ANTONIO MARIO, elettivamente domiciliato in
ROMA,

V.LE DEI PARIOLI

76,

dell’avvocato ANGELA MENSITIERE,

presso lo studio
rappresentato e

Data pubblicazione: 30/04/2015

difeso dall’avvocato FELICE LEONASI;
– controri corrente nonchè contro

CERUZZO MARIA ANTONIA;
– intimati –

POTENZA, depositata il 20/01/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/02/2015 dal Consigliere Dott. VINCENZO
MAZZACANE;
udito l’Avvocato DE VINCENTIS Giuseppe, difensore dei
ricorrenti che si riporta agli atti depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 1/2006 della CORTE D’APPELLO di

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 19-8-1988 Antonietta Sannino, in proprio e quale rappresentante
dei figli minori Maria Giuseppina Caporale e Francesco Saverio Caporale, conveniva in giudizio
dinanzi al Tribunale di Lagonegro Maria Antonia Ceruzzo chiedendo dichiararsi il suo diritto di

Ceruzzo al rilascio dell’immobile ed al risarcimento dei danni.

L’attrice deduceva che il cespite era stato di proprietà di Maria Palagano, deceduta il 9-2-1919, cui
era subentrato il marito Vincenzo Caporale, deceduto 1’11-5-1967, che aveva lasciato erede Nicola
Rosario Caporale, marito dell’esponente, deceduto il 18-6-1972, cui erano succeduti la Sannino ed
i suoi figli; aggiungeva che l’immobile era occupato da anni da Maria Antonia Ceruzzo, che era
subentrata arbitrariamente alla sorella Maria Ceruzzo, la quale a sua volta l’aveva ricevuto in
comodato in data 1-1-1960 dall’ECA di Viggianello, cui l’immobile era stato concesso in uso proprio
da Vincenzo Caporale.

Si costituiva in giudizio la convenuta eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva in
quanto proprietario dell’immobile in questione era suo nipote Antonio Mario Ceruzzo, che lo
aveva ricevuto in donazione dalla madre Maria Ceruzzo con atto per notaio Guarino del 5-5-1983.

Con ordinanza del 21-3-1989 il giudice istruttore autorizzava l’attrice alla chiamata in causa del
Ceruzzo che, peraltro, interveniva volontariamente in giudizio con atto del 28-4-1989 rivendicando
la proprietà dell’immobile per cui è causa, e chiedendo in via riconvenzionale il riconoscimento
giudiziale in proprio favore di tale diritto.

Il Tribunale adito con sentenza del 18-2-1998 rigettava sia la domanda attrice che quella
dell’interventore.

1

proprietà in ordine all’appartamento sito in Viggianello, via San Francesco n. 2, e condannarsi la

Proposto gravame da parte della Sannino in proprio e quale legale rappresentante dei suddetti figli
minori cui resisteva Antonio Mario Ceruzzo, nella contumacia di Maria Antonia Ceruzzo, la Corte di
Appello di Potenza con 20-1-2006 ha dichiarato inammissibile l’impugnazione introdotta dalla
Sannino quale legale rappresentante dei figli ed ha rigettato l’appello proposto da quest’ultima in

La Corte territoriale ha anzitutto ritenuto inammissibile l’appello proposto dalla Sannino quale
legale rappresentante dei figli Maria Giuseppina Caporale e Francesco Saverio Caporale, essendo
costoro entrambi maggiorenni all’atto della proposizione del gravame, e non potendo quindi
essere rappresentati dalla madre quale esercente la potestà; neppure poteva invocarsi il principio
della ultrattività della rappresentanza processuale, operante soltanto nell’ambito della stessa fase
processuale; inoltre la Sannino aveva rilasciato per la proposizione dell’appello una nuova procura
a difensore diverso da quello nominato nel primo grado di giudizio.

Il giudice di appello, poi, premesso che la Sannino aveva proposto un’azione di revindica, con il
conseguente rigoroso onere probatorio a suo carico, ha escluso la sussistenza della prova del
diritto invocato; al riguardo ha rilevato che l’appellante non aveva prodotto alcun titolo dei suoi
danti causa, affidandosi unicamente ai dati catastali che, avendo soltanto un mero valore
indiziario, erano inidonei a dimostrare l’acquisto e la titolarità del diritto; peraltro dai dati catastali
non risultava Maria Palagano, mentre dagli stessi era emerso che la Sannino era soltanto
usufruttuaria, e che i due figli di costei erano intestatari dell’immobile per cui è causa per la quota
di 1/6 ciascuno.

La sentenza impugnata, poi, premesso che, secondo l’assunto dell’appellante, il bene in oggetto
sarebbe stato gestito dall’ECA di Viggianello, e che per concessione di tale Ente sarebbe stato
utilizzato dai Ceruzzo, ha rilevato come dato certo che i Ceruzzo avevano avuto la disponibilità
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proprio.

dell’appartamento da moltissimi anni, e che la casa era ancora utilizzata da Maria Antonia
Ceruzzo; peraltro nulla era risultato sulla concessione del cespite in comodato gratuito all’ECA che
sarebbe stata attuata da Vincenzo Caporale nel 1961, sempre secondo le deduzioni
dell’appellante, con la conseguenza che non poteva ritenersi che Vincenzo Caporale ed i suoi

quest’ultima che, quali comodatari, non potevano che averne la detenzione; e d’altra parte la
prova per testi sul punto era del tutto deficitaria; era quindi irrilevante invocare da parte della
Sannino l’attestato del 18-10-1987 del Sindaco di Viggianello, dato che si sarebbe dovuto verificare
l’esistenza del rapporto giuridico dedotto, e non l’inesistenza di un eventuale trasferimento di
proprietà.

La Corte territoriale, inoltre, sulla base della normativa di riferimento, costituita dall’art. 25 del
D.P.R. 24-7-1977 n. 616 e dell’art. 1 della Legge Regionale della Basilicata 24-7-1978 n. 30, ha
osservato che nel dedotto rapporto di comodato corrente tra i proprietari del cespite e l’ECA
avrebbe dovuto subentrare il Comune, ma che, se tale rapporto e tale subingresso non risultavano
agli atti del Comune, appariva arduo ritenere che il suddetto bene fosse stato concesso in
comodato e che, come tale, fosse stato sempre posseduto dai proprietari; né valeva invocare il
possesso direttamente esercitato da Vincenzo Caporale, avendone i testi parlato in modo vago e
riferendosi alla utilizzazione del bene come ambulatorio medico per un limitato periodo di tempo;
inoltre l’intestazione del bene a Vincenzo Caporale in ragione di 1/3 derivava, come emerso dalla
copia della scheda relativa alla partita catastale n. 214, dall’atto di divisione del notaio De Monte
del 4-6-1963 che, per la sua natura dichiarativa, non costituiva certo un titolo di acquisto della
proprietà.

Per la cassazione di tale sentenza Antonietta Sannino, Maria Giuseppina Caporale e Francesco
.

Saverio Caporale hanno proposto un ricorso basato su di un unico articolato motivo seguito
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aventi causa avessero esercitato il possesso del bene attraverso l’ECA ed i concessionari di

successivamente da una memoria cui Antonio Mario Ceruzzo ha resistito con controricorso; Maria
Antonia Ceruzzo non ha svolto attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente si rileva che i ricorrenti Maria Giuseppina Caporale e Francesco Saverio Caporale,

quale legale rappresentante dei figli per la ragione che costoro erano entrambi maggiorenni
all’atto della proposizione dell’impugnazione, hanno dichiarato che con il loro ricorso essi hanno
voluto ratificare e sanare la condotta difensiva posta in essere dalla madre Antonietta Sannino nei
precedenti gradi di giudizio.

Il ricorso proposto da Maria Giuseppina Caporale e da Francesco Saverio Caporale deve essere
dichiarato inammissibile.

La Corte territoriale ha rilevato l’inammissibilità dell’appello proposto dalla Sannino quale
esercente la potestà sui suddetti figli, avendo costoro raggiunto la maggiore età all’atto della
proposizione dell’appello stesso; ha poi escluso l’applicabilità del principio della ultrattività della
rappresentanza processuale, operante soltanto nell’ambito della stessa fase processuale; d’altra
parte la Sannino aveva rilasciato una nuova procura ad avvocato diverso da quello nominato in
primo grado, cosicché non era in questione la ultrattività della procura originaria, ma il difetto del
mandato procuratizio da parte dei figli maggiorenni.

Orbene è vero che il difetto di legittimazione processuale è sanato con effetto “ex tunc” dalla
costituzione nel successivo grado di giudizio del soggetto legittimato, il quale manifesti, anche con
il suo semplice comportamento, la volontà di ratificare la precedente condotta difensiva; tuttavia
tale principio non trova applicazione quando sia intervenuta una pronuncia di inammissibilità della

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premesso che la sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla Sannino

impugnazione, in quanto in tal caso la semplice volontà di ratifica non è sufficiente a rimuovere gli
effetti della pronuncia medesima, occorrendo a tal fine che la stessa sia impugnata per vizi suoi
propri che la rendano illegittima (Cass. 11-8-1995 n. 8828; Cass. 16-2-2001 n. 2333); nella specie,
invece, la richiamata decisione del giudice di appello non è stata impugnata dai suddetti ricorrenti.

denunciando violazione degli artt. 948 e 2967 c.c. nonché vizio di motivazione, censura la sentenza
impugnata per aver confermato il rigetto della propria domanda per non aver offerto la prova del
diritto rivendicato, ossia la cosiddetta “probatio diabolica”.

La ricorrente assume anzitutto che la Corte territoriale non ha considerato che nella fattispecie
tale onere probatorio era attenuato in conseguenza del fatto che il convenuto, nel costituirsi in
giudizio, aveva proposto una domanda riconvenzionale tendente a far accertare il suo diritto di
proprietà sull’immobile per cui è causa derivante da un acquisto a titolo originario, in quanto i
principi in tema di prova nel giudizio di revindica devono essere adeguati anche in relazione alla
linea difensiva adottata dal convenuto.

La ricorrente quindi deduce che il Ceruzzo non aveva impugnato il rigetto da parte del giudice di
primo grado della propria domanda riconvenzionale, e non aveva contestato il diritto di proprietà
sull’immobile in questione da parte dei danti causa della Sannino, con la conseguenza che i
documenti prodotti (dati catastali, accettazione da parte della Sannino in data 14-3-1973 con
beneficio di inventario dell’eredità relitta dal marito Rosario Nicola Caporale, inventario dei beni
redatti dal notaio) avrebbero dovuto essere posti a fondamento della domanda attrice quali
elementi indiziari e presuntivi dell’appartenenza del diritto di proprietà alla Sannino ovvero ai suoi
figli, eredi legittimi di Nicola Rosario Caporale, che a sua volta aveva ricevuto i beni ereditari per
successione testamentaria da Vincenzo Caporale.
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Venendo quindi all’esame del ricorso, si osserva che la Sannino con l’unico motivo formulato,

La Sannino poi sostiene che la prova testimoniale espletata aveva dimostrato anche il possesso
sull’immobile per cui è causa da parte di Vincenzo Caporale, dante causa di Nicola Rosario
Caporale; in proposito erano rilevanti le deposizioni dei testi Cesare Pretola e Rita De Filpo.

Infine la ricorrente afferma che, anche se il giudice di appello erroneamente non ha ritenuto

figli, avrebbe dovuto comunque dichiarare raggiunta la prova dell’appartenenza in comproprietà
di una quota pari ad 1/3 dell’immobile stesso in testa alla parte attrice, come comprovato dalla
documentazione depositata dalla Sannino.

Il motivo è infondato.

Deve premettersi che il motivo non è autosufficiente nella parte in cui si invoca l’attenuazione del
rigore dell’onere probatorio inerente all’azione di rivendica con riferimento alla domanda
riconvenzionale del Ceruzzo di rivendica della proprietà dell’immobile per cui è causa, considerato
che la mancata trascrizione del contenuto di tale domanda (fatta eccezione per le conclusioni di
cui alla comparsa di intervento volontario del 28-4-1989 riportate a pag. 16 del ricorso) preclude la
verifica delle asserite non contestazioni in ordine sia al titolo derivativo posto a fondamento della
domanda attrice, sia all’appartenenza di tale diritto ai precedenti danti causa di parte attrice.

Deve comunque rilevarsi che la sentenza impugnata ha rilevato che dai dati catastali la Sannino
risultava solo usufruttuaria dell’immobile in questione, ed i figli intestatari per la quota di 1/6
ciascuno, cosicché, mentre l’inammissibilità del ricorso proposto da questi ultimi dispensa
dall’esaminare la fondatezza del loro assunto in ordine alla sussistenza del diritto da essi
rivendicato sul suddetto bene, la rivendica del diritto di proprietà sull’immobile da parte della
Sannino risulta contraddetta dalla stessa documentazione prodotta da costei.

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acquisita la prova della completa proprietà dell’immobile in favore della Sannino ovvero dei suoi

Il giudice di appello ha del resto affermato che non era stato provato né che Vincenzo Caporale
avesse acquistato per la quota di 1/3 il bene in forza dell’atto dichiarativo di divisione del 4-6-1963
(atto comunque neppure prodotto perché potesse almeno presumersi un precedente acquisto),
né che lo stesso Vincenzo Caporale ed i suoi aventi causa avessero esercitato il possesso

asseritamente stipulato nel 1961; neppure era stato provato il possesso del bene da parte di
Vincenzo Caporale alla luce delle dichiarazioni dei testi escussi.

In definitiva, quindi, avendo la Corte territoriale indicato puntualmente le fonti del proprio
convincimento, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica
motivazione, come tale immune dai profili di censura sollevati dalla ricorrente; né, per quanto
finora esposto, appare fondata la denunciata violazione degli artt. 948 e 2697 c.c.

Il ricorso della San nino deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte
Dichiara inammissibile il ricorso proposto da Maria Giuseppina Caporale e da Francesco Saverio
Caporale, rigetta il ricorso proposto dalla Sannino, e condanna i ricorrenti in solido al pagamento
di euro 200,00 per esborsi e di euro 2.500,00 per compensi.

Così deciso in Roma il 17-2-2015

Il Consigliere estensore

Il PresidTte

dell’immobile attraverso l’ECA ed i concessionari di detto Ente in base ad un comodato

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