Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8820 del 30/04/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 8820 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 21375 -2009 R.G. proposto da:
SACCARDI AMERICO e NOE’ MARIA, rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in
calce al ricorso dall’avvocato Andrea Bava ed elettivamente domiciliati in Roma alla via
Ottaviano, n. 66, presso lo studio dell’avvocato Roberto De Nardo.
RICORRENTI
contro
GIANELLI PIERFRANCESCO — c.f. GNLPFN49M03F354Q — rappresentato e difeso in
virtù di procura speciale in calce al controricorso dall’avvocato Virginio Angelini ed
elettivamente domiciliato in Roma, alla via Appennini, n. 60, presso lo studio dell’avvocato
Carmine Di Zenzo.
CONTRORICORRENTE
Avverso la sentenza n. 605 dei 13/23.5.2009 della corte d’appello di Genova,
Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 12 febbraio 2015 dal consigliere
dott. Luigi Abete,
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Data pubblicazione: 30/04/2015

Udito l’avvocato Carmine Di Zenzo, per delega dell’avvocato Virginio Angelini, per il
controricorrente,
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Alberto
Celeste, che ha concluso per il rigetto del ricorso,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

atto di acquisto del 30.12.1972, di un appartamento in Framura, località Fornaci, posto al
primo piano e con terrazza affacciata direttamente sulla spiaggia ed ampia vista mare,
citavano a comparire innanzi al tribunale di La Spezia Pierfrancesco Gianelli.
Esponevano che nel corso dell’anno 1971 nel tratto di spiaggia antistante il loro
appartamento era stato costruito un manufatto in muratura e legno destinato ad ospitare lo
stabilimento balneare denominato “Bagni Corallo”; che in data 9.2.1971 ai costruttori gestori dello stabilimento balneare era stata rilasciata dal comune di Framura licenza edilizia
contemplante la costruzione di uno stabilimento costituito da un corpo centrale e da due corpi
laterali e destinato a poggiare su pilastri di cemento di altezza pari ad 80 cm.; che nondimeno,
in spregio alle indicazioni di cui al progetto e alle prescrizioni di cui alla licenza, erano stati
costruiti pilastri di sostegno di altezza pari, a monte, a m. 1,50 e, lato mare, a m. 2,50 ed erano
state realizzate, sul lato ovest, quattro cabine in luogo delle previste tre; che in tal modo era
stata compromessa la visuale degli appartamenti retrostanti; che, acquistata nel 1978 la
proprietà dello stabilimento, nel corso dell’anno 1979 Pierfrancesco Gianelli ne aveva
ampliato di 50 mq. la superficie, aveva modificato gli accessi al mare ed aveva aggiunto sul
lato ovest un’altra cabina, in tal guisa pregiudicando ulteriormente la visuale
dell’appartamento di proprietà di essi attori e menomandone significativamente il relativo
valore commerciale; che in data 1.6.1986 il convenuto aveva provveduto a domandare al

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Con atto notificato in data 26.11.1998 Americo Saccardi e Maria Noè, proprietari giusta

comune di Framura il rilascio di concessione in sanatoria senza tuttavia far menzione nel
progetto della presenza del retrostante condominio.
Chiedevano che il convenuto fosse condannato alla rimozione delle cabine abusivamente
realizzate sul lato ovest, sì che non fosse ostacolata la visuale dell’appartamento di essi attori,
ed al risarcimento del danno cagionato.

Nelle more del giudizio il comune di Framura rilasciava a Piefrancesco Gianelli
concessione edilizia in sanatoria che gli attori tuttavia impugnavano innanzi al t.a.r.
competente.
Disposta ed espletata c.t.u., ammesse ed assunte le prove orali, espletato supplemento di
c.t.u., con sentenza del 20.2.2006 il tribunale adito rigettava la domanda e condannava gli
attori a rimborsare a controparte le spese di lite.
Interponevano appello Americo Saccardi e Maria Noè.
Resisteva Pierfrancesco Gianelli.
Con sentenza n. 605 dei 13/23.5.2009 la corte d’appello di Genova in riforma della
gravata sentenza condannava Pierfrancesco Gianelli a corrispondere ad Americo Saccardi e a
Maria Noè la somma di euro 10.200,00, oltre rivalutazione ed interessi; condannava
l’appellato a rimborsare a controparte i 2/3 delle spese del doppio grado e compensava il
residuo 1/3.
Premetteva la corte territoriale che le censure dedotte con l’atto di appello e concernenti la
violazione delle prescrizioni in tema di distanze tra costruzioni erano senz’altro inammissibili,
“giacché (…) prospettazione del tutto nuova, fondata su di una causa petendi introdotta (…)
per la prima volta nel secondo grado” (così sentenza d’appello, pag. 10).
Dava atto altresì che il pregiudizio correlato alla diminuzione ovvero alla esclusione del
panorama rilevava nella fattispecie in rapporto alle prescrizioni delle norme urbanistiche di
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Costituitosi, il convenuto instava per il rigetto dell’avversa domanda.

cui gli appellanti avevano denunciato la violazione e che, in quanto statuenti determinati
standards edilizi, valevano a caratterizzare il nocumento certamente come ingiusto.
Indi esplicitava che, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, la violazione
delle norme urbanistiche risultava “pienamente provata dalla stessa proposizione della
domanda di sanatoria” (così sentenza d’appello, pag. 12), che il pregiudizio risarcibile era

sanatoria e che la visuale non era “del tutto preclusa, ma limitata, lecitamente per quanto
attiene agli ingombri relativi alle cabine originariamente assentite e quanto ad una altezza
della piattaforma pari a cm. 80 dal suolo, illecitamente per il residuo” (così sentenza
d’appello, pag. 15); che, ai fini della quantificazione del pregiudizio, “valorizzando gli
elementi fattuali riportati dal consulente, considerato che la diminuzione di visuale rileva, non
quanto allo stabilimento nella sua globalità, ma solo per la parte di manufatto che non era
stata indicata nella domanda originaria, e per l’altezza superiore a quella originariamente
prevista” (così sentenza d’appello, pag. 16), risultava “equo liquidare il danno risarcibile nella
misura indicata dal consulente, e così in euro 150 per mq. (68)” (così sentenza d’appello, pag.
16).
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso Americo Saccardi e Maria Noè; ne hanno
chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine
alle spese.
Pierfrancesco Gianelli ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso
con il favore delle spese del giudizio di legittimità.
Americo Saccardi e Maria Noè hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono “violazione di legge (art. 164 c.p.c.)” (così
ricorso, pag. 6).

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solo quello inerente alle modifiche apportate alla originaria domanda di concessione in

Adducono che “la semplice deduzione di motivazioni giuridiche alternative a quelle
vagliate dal giudice di prime cure per esaminare la domanda di demolizione non poteva
costituire nuova causa petendi” (così ricorso, pag. 6); che, “poiché le doglianze in tema di
distanze portate in atto di appello erano doglianza giuridica sull’errata identificazione e
applicazione di norme, e non deduzione di fatto nuovo, ha errato la sentenza d’appello a

censura dell’operato giuridico del Giudice in sede di applicazione della legge” (così ricorso,
pagg. 6 7).

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono “omessa motivazione in ordine alr asserita
novità della causa petendi volta alla demolizione per violazione delle distanze” (così ricorso,
pag. 7) .
Adducono che “fin dalla radicazione del contraddittorio si ebbe una impostazione della
domanda in termini di fatto che è rimasta immutata anche in appello, e che conteneva nel
petitum (anche) una domanda di demolizione per violazione di norme edilizie (così ricorso,
pag. 8); che “non è, dunque, che la problematica giuridica in punto di distanze fosse stata
introdotta ex novo in appello” (così ricorso, pag. 9); che, in realtà, la causa di prime cure
aveva “effettivamente riguardato (…) la problematica del rispetto delle distanze (in stretta
relazione alla domanda di demolizione)” (così ricorso, pag. 10).
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono “insufficiente e illogica motivazione in ordine
all’asserita novità della domanda di demolizione per violazione delle distanze – (così ricorso,
(così ricorso, pag. 11).
Adducono che la motivazione del dictum di seconde cure in punto di reiezione per novità
della causa petendi della domanda di demolizione è al contempo insufficiente ed illogica.
Si giustifica la contestuale disamina dei primi tre motivi di ricorso.
I medesimi motivi invero sono strettamente connessi.

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giudicare inammissibili deduzioni difensive che non erano certo nuova causa petendi, bensì

In ogni caso sono immeritevoli di seguito.
Va ribadito — linea di principio — l’insegnamento di questa Corte.
Ovvero l’insegnamento secondo cui si ha domanda nuova – inammissibile in appello – per
modificazione della causa petendi, quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto
innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni

diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri
l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una
pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla
quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio (cfr. Cass. 16.2.2012, n. 2201).
Su tale scorta vanno senz’altro condivisi i rilievi della corte di merito, dipoi sviluppati dal
controricorrente alle pagine 4 — 8 del controricorso ed ancorati alla testuale prospettazione che
i ricorrenti — originari attori — ebbero ad operare, da un canto, nell’iniziale atto di citazione
(“a seguito di tali numerose e reiterate violazioni edilizie, gli esponenti hanno subito gravi
violazioni del loro diritto di godimento dell’immobile sito nel condominio La Marina, giacché
l’abusiva sopraelevazione dello stabilimento balneare e l’aumento del numero delle cabine
da tre a cinque, concentrate innanzi all’appartamento degli esponenti, ha impedito loro di
godere del panorama della spiaggia e soprattutto del mare, che rappresentava invece un
elemento di grande valore dell’appartamento, proprio in considerazione della sua amena
posizione”: così controricorso, pag. 5) e, dall’altro, nel successivo atto di gravame (“alla luce
di ciò occorrerà (…) esaminare ora in concreto i profili di illiceità delle cabine in discorso
(se violassero solo la normativa edilizia in generale o anche quella delle distanze) : così
controricorso, pag. 6; “ebbene, il giudice (…) non ha tenuto conto di una norma basilare in
tema di distanze (…)”: così controricorso, pag. 7) .

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giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del

E’ ben evidente, propriamente, che la prospettazione di cui all’atto introduttivo del
secondo grado era impostata su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non addotte in
prime cure, senza dubbio idonei, gli uni e le altre, a comportare il mutamento dei fatti
costitutivi del diritto azionato e ad introdurre nel processo un nuovo tema di indagine e di
decisione (distanza nelle costruzioni), sì da alterare l’oggetto sostanziale dell’azione e i

Con il quarto motivo i ricorrenti deducono “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 113
c.p.c.” (così ricorso, pag. 12).
Adducono che con l’atto di appello avevano lamentato “non essere stata individuata la
norma corretta con doglianze che sono state ritenute facenti capo a una causa petendi nuova”
(così ricorso, pag. 12); che, “se l’art. 113 affida al Giudice l’onere di individuare, nella
decisione, le norme applicabili, deve essere consentito alla parte appellare la decisione
indicando la norma che era sfuggita al Giudice di prime cure” (così ricorso, pag. 12).
Il motivo non merita seguito.
Anche al riguardo va in toto recepito — con valenza esaustiva – il rilievo formulato dal
controricorrente a pagina 12 del controricorso: “il potere — dovere di applicare le norme di
diritto nel definire una controversia (…) non autorizza, ovviamente, l’autorità giudiziaria a
mutare l’oggetto del processo, come pure non può essere legittimamente invocato per
giustificare un tentativo di mutati° libelli operato da una delle parti”.
Con il quinto motivo i ricorrenti deducono “sulla quantificazione del danno: insufficiente
e contraddittoria motivazione” (così ricorso, pag. 13).
Adducono che con l’atto di gravame era stata debitamente censurata la modesta
quantificazione del danno operata dal c.t.u.; che in ogni caso “risulta contraddittorio
respingere la (motivata) domanda di rinnovo della C.T.U. (…) che parte appellante aveva
radicato segnalando che l’attore avrebbe errato nel chiedere semplicemente una C.T.U.” (così

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termini della controversia.

ricorso, pag. 13); che “se tale richiesta fosse stata effettivamente errata non avrebbe avuto
senso ammettere la C.T.U., né a maggior ragione accettarne gli esiti” (così ricorso, pag. 13);
che “la motivazione è anche insufficiente laddove essa non spiega per quale ipotetica ragione
si sia deciso di non condividere le censure alla C.T.U. medesima sollevate in atto di appello”
(così ricorso, pag. 13).

Si osserva in primo luogo che, in ossequio al canone di cosiddetta autosufficienza del
ricorso per cassazione, quale positivamente sancito all’art. 366, 1° co., n. 6), c.p.c. (al
riguardo cfr. Cass. 20.1.2006, n. 1113), ben avrebbero dovuto i ricorrenti riprodurre più o
meno pedissequamente il tenore delle censure formulate avverso gli esiti della consulenza
tecnica d’ufficio.
Si osserva in secondo luogo che rientra nel potere discrezionale del giudice del merito
accogliere o respingere l’istanza di nomina di un consulente tecnico d’ufficio ed, ovviamente,
l’istanza di rinnovazione della consulenza; altresì, che il provvedimento di diniego è
incensurabile in sede di legittimità, allorché il giudice del merito ne abbia esplicitato le
ragioni in forma immune da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. 19.8.1998, n. 8200: Cass.
22.11.1984, n. 6021).
A tal ultimo riguardo si reputa senza dubbio ineccepibile l’argomentazione della corte di
merito, che, in ordine al pregiudizio risarcibile, ha opinato nel senso che, “trattandosi di danno
patrimoniale, era onere della parte richiedente dimostrarne in modo puntuale l’entità, il che
non è stato fatto in modo acconcio” (così sentenza d’appello, pag. 15). E ciò tanto più che la
corte distrettuale ha dato atto che la consulenza tecnica d’ufficio “è stata ammessa ed
espletata, con successivo supplemento, sui quesiti come posti dalla difesa attrice” (così
sentenza d’appello, pagg. 15 16).

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Il motivo è immeritevole di seguito.

.0Il rigetto del ricorso giustifica la condanna in solido dei ricorrenti al rimborso a
controparte delle spese del grado di legittimità.
La liquidazione segue come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido a rimborsare al controricorrente

esborsi, oltre al rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

le spese del grado di legittimità che si liquidano in curo 3.200,00, di cui euro 200,00 per

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