Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8820 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. III, 30/03/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 30/03/2021), n.8820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32583-2019 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in Napoli, via Porzio, presso

lo studio dell’avv. CLEMENTINA DI ROSA, che lo rappresenta e difende

per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, 80185690585;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1003/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 26/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

M.R. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 1003/2019 della Corte d’appello di Firenze, emessa l’11 gennaio 2019 e pubblicata il 26 aprile 2019. Il ricorso è stato depositato il 23 ottobre 2019.

Il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Il ricorrente, secondo la sintetica ricostruzione dallo stesso compiuta, raggiungeva il Bangladesh transitando per la Libia, in cerca di un lavoro migliore per aiutare la sua famiglia e consentirle di sopravvivere. In Libia tuttavia trovava un lavoro in cambio del quale otteneva solamente vitto e alloggio, e alla richiesta di una retribuzione veniva violentemente picchiato. In quel periodo il conflitto libico era peggiorato e la fabbrica dove lavorava veniva inoltre bombardata: il ricorrente dunque scappava senza avere documenti con sè. Inoltre, in sede di audizione davanti al tribunale aggiungeva che aveva lasciato il paese d’origine per paura di essere esposto a violenze data la sua appartenenza politica al partito dell’opposizione “(OMISSIS)”.

La Commissione territoriale decideva di non riconoscere la protezione internazionale e umanitaria, ritenendo la vicenda del richiedente asilo poco credibile ed inverosimile.

Il ricorrente proponeva davanti al tribunale le domande di protezione internazionale, sottolineando che la Commissione non avesse considerato il rischio concreto che dal respingimento sarebbero potuti conseguire trattamenti inumani e degradanti, poichè egli si sarebbe trovato esposto ad una situazione di conflitto armato. Le domanda venivano respinte dal tribunale, con pronuncia integralmente confermata in appello.

Diritto

RITENUTO

che:

con il primo motivo di ricorso, il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,6,7,8 e 14 in riferimento al diniego di protezione sussidiaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Con tale motivo si deduce che la Commissione abbia compiuto – violando le norme citate – una valutazione superficiale inidonea a comprendere se il richiedente rischierebbe di subire (nonchè abbia già subito) violenze o trattamenti inumani e degradanti in caso di rimpatrio. Il ricorrente allega, al fine di dimostrare quanto riferito, le COI tratte dai siti “(OMISSIS)”, “Amnesty international” e “Human Rights Watch”, sottolineando la situazione di emergenza sanitaria, di terrorismo e ambientale del Bangladesh (specialmente si fa riferimento al rischio di calamità naturali e all’elevato rischio sismico del paese). Nelle pagine da 16 a 22 traccia una completa ricostruzione della situazione storica, sociale e sanitaria del Bangladesh, citando numerose fonti ufficiali. Alle pagine da 22 a 23 del ricorso richiama alcuni precedenti giurisprudenziali di merito (Tribunale di Palermo).

Il motivo è del tutto inammissibile, non si confronta con la decisione impugnata, e neppure con la sentenza di primo grado, ma addirittura con la valutazione della Commissione.

Inoltre, non critica in maniera pertinente il provvedimento impugnato in merito all’eventuale utilizzo di informazioni non aggiornate o non sufficientemente attendibili, ma si limita, come sopra riportato, a citare a sua volta direttamente le fonti, quasi che la Corte, prescindendo totalmente dal suo ruolo di giudice dell’impugnazione sotto il profilo di legittimità, potesse rinnovare integralmente la valutazione di merito, sulla base delle indicazioni fornite dal ricorrente.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in riferimento al mancato riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, relativamente all’art. 360 c.p.c., n. 3. Nella ricostruzione del ricorrente, sulla base di COI aggiornate, sussisterebbero senz’altro le ragioni per riconoscere la protezione umanitaria: fra queste, che lo stesso sia giovane, non abbia legami sociali nel paese di provenienza, che il paese di provenienza presenti molteplici criticità in termini di violenza e di violazione dei diritti umani, che il richiedente abbia patito violenze nei paesi di transito. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 2 bis per omessa cooperazione istruttoria d’ufficio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo il giudice omesso un’esatta e compiuta disamina dell’attuale quadro socio- politico del Paese di origine. Secondo il ricorrente, invero, la Corte d’appello avrebbe valutato fonti non aggiornate o comunque insufficienti. Il secondo e il terzo motivo, relativi entrambi alla violazione da parte del giudice dei suoi obblighi di cooperazione istruttoria, che si traducono nel dovere di fondare la decisione su informazioni acquisite tramite Coi attendibili e infondate, possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi.

Benchè formulati in maniera ondivaga e non sempre puntuale, i motivi sono sufficientemente ammissibili (in alcuni passi il ricorso critica, sempre in ordine alla mancata acquisizione delle COI, la decisione della Commissione, in altri la decisione del giudice di primo grado, solo talvolta, in modo più pertinente, la decisione impugnata, emessa dal giudice d’appello), e sono fondati.

Manca totalmente nella sentenza impugnata l’indicazione che la valutazione sia stata compiuta previa acquisizione di informazioni attendibili e aggiornate sul paese di provenienza. Ciò sia quando la corte d’appello valuta la pericolosità del paese di provenienza al fine di accertare se esso possa considerarsi caratterizzato da una situazione di conflitto armato generalizzato al momento della decisione, ai fini della riconoscibilità della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. C) (in relazione alla quale la motivazione si compone di tre righe a pag. 8), sia oltre, dove, in riferimento alla protezione umanitaria richiesta, avrebbe dovuto effettuare il giudizio di comparazione tra le condizioni del paese di provenienza all’attualità e la situazione dell’immigrato nel paese di arrivo. In tal modo, non si conforma, nella applicazione della norma, al principio di diritto già enunciato da questa Corte, secondo il quale in tema di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, che è disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, se presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, comporta però ove tale onere sia stato assolto, il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura, mediante l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate, non risalenti rispetto al tempo della decisione, che il giudice deve riportare nel contesto della motivazione, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea (vedi in questo senso, tra le altre, Cass. n. 11096 del 2019). Questo anche ai fini di verificare, in relazione alla domanda di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, se la situazione del paese di provenienza, sotto il profilo della tutela dei diritti umani, raggiunga la soglia incomprimibile della tutela della dignità umana.

Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta l’omesso esame fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, e segnatamente il Giudice avrebbe omesso di valutare elementi fattuali rilevanti ai fini della protezione umanitaria quali le calamità naturali del Paese, le violenze subite, l’assenza di legami con il Paese di origine, il clima di diffusa insicurezza nella regione di provenienza del ricorrente, l’integrazione culturale in Italia. Questi indici di vulnerabilità integrerebbero singolarmente e autonomamente specifici elementi potenzialmente decisivi per il riconoscimento della protezione residuale.

Il quarto motivo, relativo alla protezione umanitaria, è assorbito dall’accoglimento del secondo e del terzo.

Conclusivamente, il primo motivo deve essere dichiarato inammissibile, accolti secondo e terzo, assorbito il quarto, la sentenza è cassata e rinviata alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie secondo e terzo, dichiara assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

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