Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8820 del 13/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 13/04/2010, (ud. 03/03/2010, dep. 13/04/2010), n.8820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AUTOVERBANO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Tembien n. 15, presso lo

studio dell’avv. MUSTO Flavio Maria, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliate in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che le rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, sez. 4^, n. 74, depositata il 4 settembre 2008.

Letta la relazione scritta redatta dal relatore Dott. Aurelio

Cappabianca;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3;

udito, per la società ricorrente, l’avv. Flavio Musto;

udito il P.G., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Massimo Fedeli, che ha concluso aderendo alla relazione.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che la società contribuente propose ricorso avverso l’avviso, con il quale l’Ufficio, sulla base delle risultanze scaturite dal p.v.c. della Dogana di (OMISSIS), ne aveva rettificato la dichiarazione 2003, constatando l’erronea applicazione del regime dell’Iva del margine disciplinato dalla D.L. n. 41 del 1995, relativamente a 26 fatture, con conseguente accertamento dell’omessa registrazione ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 47, della violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 2, per emissioni di fatture con imposta inferiore nonchè dell’omessa presentazione degli elenchi intrastat riepilogativi di acquisti intracomunitari;

– che l’adita commissione tributaria, accolse il ricorso, con decisione, che, in esito all’appello dell’Agenzia, fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale;

che la decisione di appello risulta così testualmente motivata: “…

La Commissione osserva che gli Uffici Doganali hanno rilevato l’inesistenza del requisito soggettivo, desumendolo dalle stesse fatture di acquisto sulle quali risulta chiaramente trascritto che le vendite costituiscono vendite intracomunitarie, esenti da Iva e pertanto come tali non sono assoggettatili al regime dell’Iva del margine. La parte non ha mai contestato il processo verbale ne tanto meno le motivazioni dell’Ufficio. Essendo emersa la completa infedeltà della dichiarazione, dal riscontro dei dati e notizie raccolte dall’Ufficio delle Dogane si è potuto statuire l’esistenza di corrispettivi non dichiarati e accertare una maggiore imposta dovuta ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, non può essere applicato il concordato fiscale ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 33…”;

rilevato:

che, avverso tale decisione, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione in due motivi;

– che l’Agenzia ha resistito con controricorso;

osservato:

– che, con il primo motivo di ricorso, la società contribuente ha dedotto “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, così sintetizzando la doglianza ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.. “Atteso che la sentenza.

impugnata della c.t.r. nell’impianto decisionale giustifica l’accoglimento del ricorso in appello dell’Agenzia delle Entrate, con la mancata contestazione da parte della contribuente delle motivazioni addotte dall’Ufficio nell’avviso di accertamento, allorquando, invece, la ricorrente ha puntualmente contestato ed articolato motivi a difesa per tutti gli addebiti sia nel giudizio di primo che di secondo grado, dica se tale violazione integri la previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”;

considerato:

– che il mezzo va disatteso;

– che esso non coglie, infatti, la ratio della decisione impugnata e, comunque, non la esaurisce, posto che la pronunzia ha desunto la non assoggettabilità delle operazioni contestate al regime dell’Iva del margine, essenzialmente, da dati obiettivamente emergenti dalle stesse fatture di acquisto “sulle quali risulta chiaramente trascritto che le vendite costituiscono vendite intracomunitarie, esenti da Iva”;

– che, tanto premesso, deve, peraltro, rilevarsi che la doglianza introduce un sindacato in fatto non consentito in sede di legittimità, poichè – a fronte del convincimento, tratto in proposito dai giudici del gravame dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili – la società contribuente, pur apparentemente prospettando carenza di motivazione e violazione di legge, rimette, in realtà in discussione, contrapponendovene uno difforme, l’apprezzamento in fatto del giudice di merito, che, espresso con motivazione ancorata alle risultanze delle acquisizioni documentali ed in sè coerente, è sottratto al sindacato di legittimità;

che, nell’ambito di tale sindacato, non è, infatti, conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione: cfr. Cass. 22901/05, 15693/04, 11936/03);

osservato:

– che, con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente ha dedotto “violazione e falsa applicazione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 33”, formulando il seguente quesito: “se un avviso di accertamento emanato ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, sia legittimo allorquando in precedenza la contribuente sia ricorsa al concordato fiscale del D.L. n. 269 del 2003, ex art. 33, con pedissequa inibizione dei poteri di rettifica da parte delle Agenzie Fiscali”;

considerato:

– che anche tale motivo di ricorso va disatteso, giacchè non ottempera alle prescrizioni imposte, a pena d’inammissibilità, dall’art. 366 bis c.p.c.;

– che deve, invero, osservarsi che le ss.uu. di questa Corte sono chiaramente orientate a ritenere che dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – il quesito relativo ad una censura in diritto non può consistere in mera richiesta di accoglimento del motivo ovvero nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; con la conseguenza che, dovendo la Corte essere in grado di estrapolare dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (v.

Cass. s.u. 3519/08) il quesito medesimo non può essere meramente generico e teorico ma deve essere necessariamente calato nella fattispecie concreta (v. Cass. s.u. 3519/08);

– che il quesito, d’altro canto, non risponde alla ratio della decisione impugnata, posto che, in parte qua, questa, ha esplicitamente puntualizzato che, nella specie, si verteva in ipotesi di accertamento D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 54, comma 5, testualmente non precluso dall’adesione a concordato preventivo e che la società contribuente – con evidenti ricadute negative sul piano dell’autosufficienza del motivo (cfr., tra le altre, Cass. 12088/06, 2270/06, 14741/05, 14599/05, 6542/04) – non indica se e quando, nei pregressi gradi del giudizio pose la questione (di cui non è traccia nella sentenza impugnata) della non inquadrabilità dell’accertamento tra quelli di cui D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, evidenziata solo nella parte esplicativa della censura;

ritenuto:

che il ricorso si rivela, pertanto, manifestamente infondato, sicchè va respinto nelle forme di cui all’art. 375 e 380 bis c.p.c.;

– che, per la soccombenza, la società contribuente va condannata al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 2.300,00 (di cui Euro 2.100,00 per onorario) oltre spese generali ed accessori di legge.

PQM

la Corte: respinge il ricorso; condanna la società contribuente al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 2.300,00 (di cui Euro 2.100,00 per onorario) oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2010

 

 

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