Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 882 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 17/01/2011, (ud. 28/10/2010, dep. 17/01/2011), n.882

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

LARGO CONSUMO s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale

notarile, dall’Avv. Giacobbe Giovanni, elettivamente domiciliata

nello studio del medesimo in Roma, Lungotevere dei Mellini, n. 24;

– ricorrente –

contro

B.C., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale notarile, dall’Avv. Lipari Nicolò, elettivamente

domiciliato nello studio del medesimo in Roma, via Cadlolo, n. 30;

– controricorrente –

per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione, 2^

sezione civile, n. 17887 del 31 luglio 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28 ottobre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentiti gli Avv. Giovanni Giacobbe e Nicolo Lipari;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso: “aderisco

alla relazione”.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che il consigliere designato ha depositato, in data 26 aprile 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:

“Dal testo della sentenza impugnata risulta che la s.r.l. Largo Consumo convenne in giudizio davanti al Tribunale di Siracusa B.C. e P.L..

Dopo avere esposto che, con preliminare del 9 giugno 1999, il B., in proprio e quale procuratore del P., si era obbligato a venderle un’area edificabile in (OMISSIS) per L. 1.900.000.000; che l’efficacia del contratto era subordinata a due condizioni; che a fine luglio 1999 il B. aveva promesso in vendita ad altra società il medesimo immobile; l’attrice chiese l’emissione di sentenza ex art. 2932 cod. civ. e, in subordine, la risoluzione per inadempimento ed i danni.

Il B. contestò la domanda ed il P. eccepì il proprio difetto di legittimazione. L’adito Tribunale rigettò la domanda.

La Corte d’appello di Catania, con sentenza in data 9 gennaio 2004, rigettò l’impugnazione principale della società Largo Consumo e l’impugnazione incidentale del B..

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello proposero ricorso principale la società Largo Consumo, sulla base di tre motivi, e ricorso incidentale le controparti.

La Corte di cassazione, con sentenza 31 luglio 2009, n. 17887, ha dichiarato inammissibili il ricorso principale ed il ricorso incidentale del B., mentre ha rigettato il ricorso incidentale del P..

La Corte ha preliminarmente evidenziato l’ambito dei motivi di ricorso, rilevando:

– che con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367, 1368, 1387, 1391, 2932, 1358, 1366, 1375 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5) la Largo Consumo lamentava che la Corte di merito fosse pervenuta alla conclusione che il B. avesse assunto in proprio le obbligazioni, attribuendo valore decisivo soltanto ad aspetti formali del preliminare;

che con il secondo mezzo del medesimo ricorso principale (violazione degli artt. 1387, 1388 e 1723 cod. civ., comma 2, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5) ci si doleva che la Corte d’appello avesse preso le mosse dall’erroneo presupposto che il P. fosse estraneo alla promessa di vendita e che l’azione non potesse essere basata sulla procura speciale; che il terzo motivo (violazione degli artt. 1398, 1399, 1478, 2932, 1218 e 1223 cod. civ.) denunciava che la Corte territoriale non avesse considerato la valenza della procura;

che, con i ricorsi incidentali, il B. deduceva di avere diritto a conseguire la penale prevista in contratto, mentre il P. censurava la pronuncia sulle spese.

La Corte di cassazione ha quindi evidenziato che i giudici d’appello avevano posto a base della pronuncia una duplice ratio decidendi: la prima, esposta per giungere sotto altro profilo alla reiezione dell’appello principale, con cui si rilevava che il B. aveva inteso assumere l’obbligazione in proprio e non sulla base dei poteri derivatigli dalla procura rilasciata dal P.; la seconda, con cui si metteva in luce che, comunque, il preliminare era sottoposto a due condizioni essenziali, nessuna delle quali si era avverata, per cui il preliminare doveva, come da esplicita previsione contrattuale in tal senso, essere ritenuto “nullo” ipso iure.

Ha poi rilevato la Corte di legittimità che tale seconda “ratio decidendi”, del tutto autonoma, toglie ogni valenza al ricorso principale ed a quello incidentale del B., in quanto nei medesimi non viene in alcun modo censurata la motivazione in essa contenuta, a prescindere da ogni considerazione sulla validità, peraltro sussistente, della stessa, e comporta l’inammissibilità di entrambi i ricordati ricorsi per difetto di interesse, atteso che l’eventuale accoglimento dei motivi in essi contenuti non potrebbe esplicare valore in ordine all’accoglimento dei ricorsi medesimi, intatta rimanendo la valenza della motivazione non censurata”.

Per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione la Largo Consumo ha proposto ricorso, con atto notificato il 23 novembre 2009, sulla base di un unico motivo , articolato in due profili.

Ha resistito, con controricorso, il B., mentre l’altro intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

L’errore di fatto che, ex artt. 391 bis e 395 cod. proc. civ., n. 4, la ricorrente addebita alla sentenza della Corte di cassazione, consiste, in primo luogo, nel non essersi accorta che la pronuncia in ordine al mancato verificarsi delle condizioni del contratto preliminare era riferita all’appello incidentale del B., e non all’appello principale della Largo Consumo, esaminato in un altro capo della sentenza; in secondo luogo, nell’avere omesso la lettura della seconda parte della clausola n. 7 del contratto preliminare, che dava espressamente facoltà a Largo Consumo di richiedere l’esecuzione in forma specifica, ex art. 2932 cod. civ., del contratto preliminare, ancorchè non si fossero verifica te le condizioni di cui all’art. 4 del predetto negozio.

Il ricorso appare inammissibile, non essendo configurabile il dedotto errore revocatorio.

Da un lato, quanto al primo aspetto in cui si articola il motivo, occorre rilevare che la Corte di cassazione – premesso che il giudice d’appello aveva respinto la domanda della Largo Consumo anche per la sopravvenuta “nullità” del contratto in forza di una clausola esplicitamente pattuita dalle parti, in conseguenza del mancato avveramento delle previste condizioni – ha ritenuto che questa specifica ratio decidenti non era stata specificamente impugnata con il ricorso dinanzi ad essa.

Ora, la ricorrente per revocazione assume che la sentenza di legittimità avrebbe letto male la sentenza del giudice dr appello, avendo ritenuto sussistere preclusione da giudicato relativamente ad un capo di decisione che, essendo riferito all’appello incidentale proposto dall’altra parte, e relativo ad altra questione, non avrebbe potuto produrre effetti giuridici nei confronti della parte che aveva proposto autonomo appello.

Sennonchè, quel che viene lamentato è un tipico errore di giudizio, in conseguenza di una pretesa errata valutazione ed interpretazione, imputabile al giudice di legittimità, della portata della sentenza d’appello e delle rationes che la sorreggevano, non un errore di fatto. Dall’altro lato – in ordine al secondo aspetto della prospettata doglianza (omessa lettura della seconda parte della clausola n. 7 del contratto preliminare) – si rileva che il denunciato vizio non inerisce ad un atto interno del giudizio di cassazione (per la cui nozione v. Cass., Sez. 1^, 22 novembre 2006, n. 24856), sicchè -non investendo un atto che la Corte era chiamata ad esaminare direttamente con una propria ed autonoma indagine di fatto – fuoriesce dall’ambito dell’errore di fatto revocatorio”.

Letta la memoria della ricorrente.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che dal testo della sentenza impugnata risulta per tabulas che la Corte di cassazione ha compiuto una valutazione della portata della sentenza d’appello, ritenendo che l’inefficacia del contratto per il mancato verificarsi delle condizioni (il rilascio sia della concessione edilizia da parte del Comune sia dell’autorizzazione amministrativa da parte della Provincia) costituisse una ratio decidendi autonoma, da sola sufficiente alla reiezione anche dell’appello principale della società Largo Consumo;

che, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore in cui sia incorsa la Corte di legittimità nella lettura della sentenza di appello, statuendo in ordine all’ampiezza della rationes che la sorreggono per farne derivare la necessità dell’impugnazione di ciascuna di esse, non configura un errore di percezione, ma, coinvolgendo l’attività valutativa, un errore di giudizio, commesso nello scrutinio dell’atto processuale da parte del giudice di legittimità; ne consegue che esso fuoriesce dall’ambito dell’errore di fatto previsto dall’art. 395 cod. proc. civ., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza di cassazione ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. 2^, 22 giugno 2007, n. 14608; Cass., Sez. 1^, 18 novembre 2009, n. 24369);

che nè – con riguardo al secondo profilo del motivo di ricorso – è condivisibile quanto sostenuto nella memoria illustrativa, secondo cui la Corte di cassazione, con l’impugnata sentenza, avrebbe proceduto al diretto esame della clausola prevista dall’art. 7;

che, infatti, la Corte di cassazione, lungi dall’esaminare direttamente il contratto, ha proceduto ad una ricostruzione della portata della sentenza d’appello, affermando che, secondo i giudici del gravame, non essendosi verificata nessuna delle due condizioni previste, si era venuta a determinare la situazione di cui all’art. 7 del preliminare, in base al quale lo stesso doveva ritenersi “nullo” Ipso iure;

che, quindi, anche sotto questo aspetto non sussiste il lamentato vizio revocatorio (discendente dal fatto che si sarebbe valutata solo una parte del testo della clausola contrattuale, omettendosi di esaminare la restante parte), giacchè il denunciato errore non riguarda affatto un atto interno al giudizio di legittimità, e cioè uno di quegli atti che la Corte doveva e poteva esaminare direttamente con propria indagine di fatto;

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 5.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte suprema di Cassazione, il 28 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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