Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 882 del 16/01/2018

Cassazione civile, sez. II, 16/01/2018, (ud. 10/11/2017, dep.16/01/2018),  n. 882

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato l’8 aprile 2002, M.G. conveniva P.M. e B.M. avanti al Tribunale di Brescia. Assumeva di avere stipulato con le controparti in data 6 ottobre 1998 un contratto preliminare di compravendita, avente ad oggetto un’area di mq. 1161 nel Comune di Palazzolo sull’Oglio, per il prezzo di Lire 180.000.000, di cui Lire 175.000.000 versati a titolo di caparra confirmatoria alla firma del contratto preliminare. E siccome il P. e il B. mai si erano resi disponibili alla stipula del definitivo nell’arco di quattro anni, l’attore domandava l’esecuzione specifica, ai sensi dell’art. 2932 c.c., o, in subordine, l’accertamento del diritto al recesso, con condanna dei convenuti alla restituzione del doppio della caparra oppure, in via gradata, la declaratoria di risoluzione per inadempimento, con restituzione del prezzo.

I convenuti resistevano, chiedendo, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto per inadempimento del M..

Nelle conclusioni rassegnate all’udienza del 4 marzo 2010 l’attore chiedeva, in via principale, che venisse accertato e dichiarato l’inadempimento del P. e del B. e che, per l’effetto, venisse dichiarato legittimo il suo recesso dal contratto, con le conseguenti pronunce, tra le quali la condanna alla restituzione del doppio della caparra percepita dai promittenti.

2. – L’adito Tribunale, con sentenza depositata il 24 settembre 2010, accoglieva la domanda, accertando l’inadempimento dei convenuti al preliminare, dichiarando legittimo il recesso dell’attore e condannando le controparti al pagamento della somma di Euro 180.759, oltre alla rifusione delle spese.

3. – La Corte d’appello di Brescia, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 4 marzo 2014, ha respinto il gravame del P. e del B..

3.1. – La Corte distrettuale ha rilevato:

che il contratto del 6 ottobre 1998 almeno nel fascicolo M. riporta anche l’allegato A, che contiene la planimetria dell’area e quindi identifica in modo sufficiente l’oggetto del negozio;

che il vincolo di lottizzazione di area verde non frazionabile è stato addotto ma non dimostrato;

che correttamente il Tribunale ha applicato il disposto dell’art. 1385 c.c.;

che nell’ipotesi di versamento di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte non inadempiente, che abbia agito per l’esecuzione del contratto, può, in sostituzione dell’originaria pretesa, legittimamente chiedere, nel corso del giudizio, il recesso dal contratto a norma dell’art. 1385 c.c., comma 2, senza incorrere nelle preclusioni derivanti dalla proposizione dei nova, poichè tale modificazione della originaria istanza costituisce legittimo esercizio di un perdurante diritto di recesso rispetto alla domanda di adempimento.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il P. e la B. hanno proposto ricorso, sulla base di tre motivi.

L’intimato ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’adunanza in Camera di consiglio i ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione del combinato disposto dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 2697 c.c., censurando la statuizione della Corte d’appello secondo cui “ad ogni modo, il contratto 6 ottobre 1988 – l’unico in atti, poichè prodotto da entrambe le parti – almeno nel fascicolo M. riporta anche l’allegato A, che contiene la planimetria dell’area che quindi identifica in modo sufficiente l’oggetto del negozio”. I ricorrenti rappresentano di avere, sin dalla produzione del predetto allegato quale parte della documentazione di M.G., negato che il documento fosse allegato al contratto de quo, sul rilievo che la planimetria interessava un preliminare precedentemente stipulato dalle parti e, in seguito, superato dalla stipula di quello dell’ottobre 1988. Secondo i ricorrenti, l’allegazione era stata eseguita dal M. senza che, presso l’Ufficio del registro di Orzinuovi, vi fosse traccia della stessa quale allegato al preliminare del 6 ottobre 1998. La Corte d’appello avrebbe errato nel dare per scontata o comunque provata l’esistenza del documento per il solo fatto che una delle parti l’aveva prodotta in allegato al proprio fascicolo, posto che l’altra parte aveva eccepito sin dall’inizio come l’allegato non fosse pertinente al contratto per cui è causa e che il documento era stato indebitamente allegato al fascicolo pur non facendo materialmente parte del preliminare oggetto di causa.

Con il secondo mezzo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 1418 c.c., in relazione all’art. 1346 c.c., nonchè all’art. 30 del T.U. edilizia, approvato con il D.P.R. n. 380 del 2001 (sostitutivo della L. n. 47 del 1985, art. 18). Ad avviso dei ricorrenti, la Corte d’appello avrebbe dato per scontata l’esistenza dell’allegato A per il solo fatto che lo stesso fosse accluso al fascicolo di primo grado di parte attrice, senza tuttavia appurare in alcun modo che l’allegato formasse effettivamente parte integrante del contratto del 6 ottobre 1998. Mancando l’allegato, l’area oggetto di promessa di vendita era rappresentata da una porzione del mapp. (OMISSIS) (ex (OMISSIS)) della superficie di mq. 1.161 circa, da stralciarsi e identificarsi dalla maggiore superficie di m. 4.081 a seguito di frazionamento. Nel caso di specie non vi sarebbe stata alcuna convergenza di volontà delle parti, perchè il M. – che dapprima aveva confermato di accettare il trasferimento della quota millesimale di mq. 1.161 a fronte di una superficie totale del lotto di mq. 4.081 – aveva di seguito mutato opinione pretendendo di ottenere quanto previsto in un precedente preliminare (registrato a Orzinuovi al n. 2155 serie 3 del 22 ottobre 1998), che tuttavia era stato superato da un nuovo contratto nel quale si prevedeva il trasferimento di una quota indivisa perchè, in caso contrario, sarebbe stata creata una lottizzazione abusiva. Un atto di siffatta portata non sarebbe stato materialmente rogitabile per assenza del certificato di destinazione urbanistica visto che, certamente, all’epoca, l’area non era stata frazionata per assenza di modifiche per PRG del Comune di Palazzolo sull’Oglio.

1.1. – I motivi – da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione – sono inammissibili, in primo luogo, per difetto della specificità richiesta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

Occorre premettere che, nel rigettare il motivo di appello con cui il P. e il B. avevano dedotto che, in mancanza della planimetria facente parte del preliminare, “il bene non avrebbe potuto essere identificato”, la Corte territoriale ha rilevato che “il contratto 6 ottobre 1998 – l’unico in atti, poichè prodotto da entrambe le parti – almeno nel fascicolo del M. riporta anche l’allegato A, che contiene la planimetria dell’area e che quindi identifica in modo sufficiente l’oggetto del negozio”.

A tale esito decisorio la Corte territoriale è giunta sul rilievo, evidentemente, che la scrittura privata del 6 ottobre 1988 reca, all’art. 1, dedicato all’oggetto della promessa di vendita, il riferimento all’appezzamento di area identificata all’interno del mappale N.C.T. n. (OMISSIS) (ex (OMISSIS)) foglio (OMISSIS) del Comune censuario ed amministrativo di Pallazzolo s/o, il tutto come riportato nel disegno che si allega (allegato A) alla presente per farne parte integrante e sostanziale del… contratto”, e contiene, nella produzione dell’attore, il citato allegato A, pure sottoscritto dalle parti.

I ricorrenti contestano questa conclusione, affermando di avere, “sin dalla produzione del predetto allegato quale parte della documentazione di M.G., negato che il documento fosse allegato al contratto de quo disconoscendolo e sostenendo, al contrario, che la planimetria interessava un preliminare precedentemente stipulato dalle parti” (primo motivo), e deducendo che la Corte di Brescia “ha dato per scontata l’esistenza dell’allegato A per il sol fatto che lo stesso fosse accluso al fascicolo di primo grado di parte attrice, senza tuttavia appurare in alcun modo che l’allegato formasse effettivamente parte integrante del contratto del 6 ottobre 1998” (secondo motivo).

Sennonchè, si tratta di contestazione, nell’uno e nell’altro caso, generica.

Infatti, essendo stata la scrittura privata con l’allegato A prodotta in fotocopia, trova applicazione il principio, costante nella giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. 3, 25 febbraio 2009, n. 4476; Cass., Sez. 6-1, 13 giugno 2014, n. 13425), secondo cui l’art. 2719 c.c. (che esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche) è applicabile tanto al disconoscimento della conformità della copia al suo originale quanto al disconoscimento dell’autenticità di scrittura o di sottoscrizione, e, nel silenzio della norma citata in merito ai modi e ai termini in cui i due suddetti disconoscimenti debbano avvenire, è da ritenere applicabile ad entrambi la disciplina di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c., con la duplice conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si avrà per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se la parte comparsa non la disconosca in modo formale e, quindi, specifico e non equivoco, alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione.

Ora, l’uno e l’altro motivo di ricorso nulla precisano in ordine al tempo e al modo in cui il disconoscimento della conformità della copia (munita dell’allegato A) all’originale (asseritamente privo di detto allegato) sarebbe avvenuto, sicchè entrambe le censure si appalesano, sotto questo assorbente profilo, generiche e non circostanziate.

Il secondo motivo è inammissibile anche per un’ulteriore e concorrente ragione, perchè non coglie la ratio decidendi.

La Corte d’appello ha infatti rilevato che il “vincolo di destinazione di area verde non frazionabile è stato addotto ma non dimostrato, soprattutto a fronte dell’assunto avversario in ordine all’edificabilità dell’area”; mentre il motivo di censura, senza confrontarsi con questo percorso argomentativo tutto incentrato sulla mancanza di prova del dedotto vincolo di destinazione di area verde impeditivo del frazionamento, si limita a sostenere, con la prospettazione di una censura di violazione e falsa applicazione di norme di legge non idonea a superare l’accertamento di fatto del giudice del merito, che è ravvisabile l’ipotesi di una lottizzazione abusiva quando sussistono elementi precisi e univoci da cui possa ricavarsi oggettivamente l’intento di asservire all’edificazione un’area non urbanizzata e che nella specie l’atto non sarebbe stato rogitabile per mancanza del certificato di destinazione urbanistica.

2. – Con il terzo motivo (violazione dell’art. 1385 c.c.) i ricorrenti deducono che il M. ha formulato due domande incompatibili: da un lato ha fatto valere il diritto di recesso chiedendo la restituzione del doppio della caparra; contestualmente ha però richiesto la risoluzione contrattuale, “chiedendo di trattenere la caparra e il risarcimento del danno in altrettanta misura”. Ma ciò non sarebbe possibile, perchè i concetti di recesso e risoluzione sarebbero ontologicamente differenti sia nel significato giuridico che nelle conseguenze, essendo alternativi tra loro. Sarebbe inoltre violata la disposizione secondo cui la parte che ha optato per la risoluzione deve provare il danno sia nell’an che nel quantum secondo le regole ordinarie.

2.1. – Il motivo è infondato.

Risulta dal testo della sentenza di primo grado che all’udienza del 4 marzo 2010 l’attore ha così precisato le proprie conclusioni: “voglia il Tribunale adito… accertare e dichiarare l’inadempimento di P.M. e di B.M. per causa loro imputabile al contratto preliminare 6/10/98 e per l’effetto dichiarare legittimo ex art. 1385 c.c., il recesso dal contratto dell’attore e condannare il P. e il B., in solido, a restituire il doppio della caparra percepita… ovvero, in via estremamente subordinata, dichiarare il preliminare 6/10/98 risolto per inadempimento dei promittenti venditori condannandoli in solido a restituire all’attore la somma di Euro 92.962, oltre interessi legali… nonchè al risarcimento del danno che si indica in Euro 92.962 corrispondente all’importo della caparra versata”.

Sempre dalla sentenza di primo grado risulta che con l’atto di citazione introduttivo, l’attore aveva domandato, in via principale, l’emissione di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. e aveva chiesto, in via subordinata, la dichiarazione di legittimità del recesso dal contratto per fatto e colpa dei convenuti, con condanna alla restituzione del doppio della caparra, e in via ulteriormente subordinata aveva formulato domanda di risoluzione del contratto per inadempimento dei convenuti, con condanna alla restituzione del prezzo e al risarcimento del danno.

Tanto premesso, la decisione della Corte d’appello, nell’escludere la fondatezza della censura di illegittima mutatio libelli, non incorre nella violazione dell’art. 1385 c.c., che viene in questa sede prospettata.

Infatti, nell’ipotesi di versamento di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte non inadempiente, che abbia agito per l’adempimento proponendo la domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto ex art. 2932 c.c., può, in sostituzione della originaria pretesa, legittimamente chiedere, nel corso del giudizio, il recesso dal contratto a norma dell’art. 1385 c.c., comma 2, senza incorrere nelle preclusioni derivanti dalla proposizione dei nova, poichè tale modificazione della originaria istanza costituisce legittimo esercizio di un perdurante diritto di recesso rispetto alla domanda di adempimento (Cass., Sez. 3, 24 gennaio 2002, n. 849; Cass., Sez. 6-2, 24 novembre 2011, n. 24841).

E’ quanto accaduto nella specie, giacchè il M. ha dapprima, con l’atto di citazione, agito in principalità per l’adempimento, per poi, in corso di causa, rinunciare alla domanda principale di adempimento e ripiegare sulla subordinata di recesso ex art. 1385 c.c., accolta dal giudice.

E’ poi da escludere la fondatezza della censura dei ricorrenti secondo cui, in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado all’udienza del 4 marzo 2010, l’attore avrebbe formulato, contestualmente, due domande incompatibili, da un lato l’accertamento della legittimità del recesso con la condanna alla restituzione del doppio della caparra, dall’altro la declaratoria di risoluzione del contratto con la richiesta di condanna alla restituzione della caparra e al risarcimento del danno. L’attore non ha infatti proposto due domande contestuali, ma una subordinata all’altra: innanzitutto ha agito per sentir dichiarare la legittimità del recesso, con la condanna dei promittenti venditori alla restituzione del doppio della caparra (domanda esaminata ed accolta), e solo in via subordinata ha domandato (domanda non esaminata perchè evidentemente ritenuta assorbita) la pronuncia di risoluzione del contratto, con la condanna alla restituzione della caparra e al risarcimento del danno.

3. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

4. – Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 4.200, di cui euRo 4.000 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge; dichiara – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 – la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2018

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