Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8819 del 30/04/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 8819 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: ABETE LUIGI

Data pubblicazione: 30/04/2015

SENTENZA
sul ricorso 21255 – 2009 R.G. proposto da:
PENNACCHIO FRANCESCA – c.f. PNNFNC33T50E054I —
h

DI MARO GIUSEPPE — c.f. DMRGPP63A08F111R —
DI MARO PASQUALE — c.f. DMRPQL64H14F111H —
DI MARO SANTA — c.f. DMRSNT67M55F111S —
DI MARO MARIA GRAZIA — c.f. DMRMGR72A43F111E —
rappresentati e difesi in virtù di procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato Antonio
Corso ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via C. Passaglia, n. 14, presso lo studio
dell’avvocato Sara Merlo.
RICORRENTI
contro
CIMMINO FRANCESCO — c.f. CMMFNC24A03F111H —
CIMMINO VINCENZO — c.f. CMMVCN26S19F111B —

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•C5

rappresentati e difesi in virtù di procura speciale a margine del controricorso dall’avvocato
Giampietro Pirozzi ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via Platone, n. 21, presso lo
studio dell’avvocato Tiziana Stefanelli.
CONTRORICORRENTI
Avverso la sentenza n. 1824 dei 28.4/28.5.2009 della corte d’appello di Napoli,

dott. Luigi Abete,
Udito l’avvocato Giampietro Pirozzi per i controricorrenti,
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Alberto
Celeste, che ha concluso per raccoglimento del ricorso,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 14.9.1991 Francesca Pennacchio ed il figli Giuseppe, Pasquale,
Santa e Maria Grazia Di Maro, comproprietari di un locale a piano terra adibito a rivendita di
tabacchi e dell’annesso locale adibito a deposito, siti in Melito, alla via Roma, n. 81, citavano
a comparire innanzi al tribunale di Napoli Francesco e Vincenzo Cimmino.
Esponevano che i convenuti, proprietari del terrazzo sovrastante il locale – tabaccheria,
avevano spostato la ringhiera che lo delimitava, riposizionandola lungo il perimetro esterno
dell’adiacente terrazzo di copertura del locale – deposito; che in tal guisa avevano esteso il
calpestio pur a tal ulteriore terrazzo.
Chiedevano che i convenuti fossero condannati al ripristino dello status quo ante e che
fosse loro inibito l’accesso al lastrico di copertura del locale deposito.
Costituitisi, i convenuti deducevano che erano titolari di una servitù di veduta dal terrazzo
sovrastante il locale – tabaccheria; altresì, che gli attori avevano costruito il locale – deposito
in violazione della distanza prescritta dall’art. 907 c.c..

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Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 12 febbraio 2015 dal consigliere

Chiedevano il rigetto dell’avversa domanda e, “in riconvenzionale, la demolizione di detto
locale deposito” (così ricorso, pag. 2).
Con sentenza n. 1754/1997 il tribunale accoglieva sia l’una che l’altra domanda e, per
l’effetto, “condannava i Cimmino a riportare la ringhiera nella posizione preesistente, cioè
lungo il filo esterno della terrazza sovrastante il locale tabaccheria, e condannava gli attori ad

(così ricorso, pag. 2).
Interponevano appello Francesca Pennacchio ed i figli.
Resistevano Francesco e Vincenzo Cimmino.
Con sentenza n. 1277/1999 la corte d’appello di Napoli disconosceva la servitù di veduta
ed in parziale riforma della sentenza di primo grado rigettava la riconvenzionale esperita in
prime cure dagli appellati.
Proponevano ricorso per cassazione Francesco e Vincenzo Cimmino.
Con sentenza n. 11946/2002 questa Corte cassava la sentenza impugnata e rimetteva le
parti dinanzi ad altra sezione della corte d’appello di Napoli.
Francesco e Vincenzo Cimmino attendevano alla riassunzione del giudizio; instavano per
il rigetto dell’appello in precedenza esperito ex adverso.
Costituitisi, Francesca Pennacchio ed i figli concludevano per l’accoglimento del gravame
antecedentemente proposto ed, in particolare, per il rigetto dell’avversa originaria
riconvenzionale.
Disposta ed espletata c.t.u., con sentenza n. 1824 dei 29.4/28.5.2009 la corte d’appello di
Napoli rigettava il gravame interposto da Francesca Pennacchio e dai figli e confermava la
statuizione n. 1754/1997 del tribunale di Napoli; compensava integralmente le spese del
pregresso giudizio d’appello, del giudizio di legittimità e del giudizio di rinvio; poneva
definitivamente a carico dei resistenti in riassunzione le spese di c.t.u..
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arretrare il locale deposito ad una distanza non inferiore a tre metri dalla supposta veduta”

Dava atto previamente la corte territoriale che la sentenza n. 1277/1999 era stata cassata
segnatamente in rapporto all’affermata insussistenza di idonee prove dell’usucapione della
servitù di veduta e specificamente in rapporto all’affermata inidoneità della ringhiera a
consentire l’affaccio nonché in rapporto all’affermata inattendibilità, riscontrata sulla scorta di
elementi di per sé inadeguati, dei testi addotti da Francesco e Vincenzo Cirnmino.

della vicenda contenziosa, il cui omesso esame era stato specificamente censurato da
Francesca Pennacchio e dai figli, originari appellanti, ovvero il difetto di una domanda volta a
conseguire l’accertamento dell’acquisto per usucapione della servitù di veduta e
l’eliminazione della ringhiera ossia dell’opera indispensabile ai fini dell’acquisto per
usucapione della servitù di veduta.
Propriamente dava ragione – la corte – della preclusione al riguardo maturata, in primo
luogo, in dipendenza degli invalicabili limiti cognitivi del giudizio di rinvio e, dunque,
dell’impossibilità di un nuovo e diverso accertamento dei fatti sui quali si fondava la sentenza
di annullamento, in secondo luogo, in dipendenza del rilievo per cui ambedue i profili,
implicitamente disattesi dalla corte d’appello di Napoli in quanto necessariamente preliminari
all’operata valutazione di merito, non erano stati riproposti a questa Corte di legittimità sotto
forma di ricorso incidentale condizionato.
Indi esplicitava che si era appurato che “in luogo dell’attuale locale deposito esisteva sino
al 1986 un giardinetto, parzialmente coperto da una pensilina a scivolo, sul quale, delimitato
da una ringhiera in ferro il terrazzo a livello dei Cimmino” (così sentenza
d’appello, pagg. 3- 4; che tanto era stato riferito dai testi Lucia Viglione e Maria Palma, a

conoscenza dello stato dei luoghi, rispettivamente, dal 1950 e dal 1942, la cui attendibilità non
era inficiata da alcun altro elemento di valutazione ed era al contempo avvalorata dalla
omessa formulazione di rilievi critici avverso le loro dichiarazioni; che, quindi, la valutazione
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Dipoi dava conto – la corte distrettuale – dell’impossibilità di delibare un duplice profilo

complessiva degli esiti probatori consentiva di affermare che i testi Viglione e Palma avevano
fatto riferimento ad uno stato di fatto rimasto inalterato nel periodo compreso tra il 1950 ed il
1986, il che valeva a suffragare “sufficientemente la circostanza dell’esercizio ultraventennale
della servitù di veduta dal terrazzo a livello annesso alla dei
Cimmino (…) sino alla realizzazione, senza il rispetto della prescritta distanza, del lastrico di

perimetro esterno della loro terrazza a quello del suddetto vano>” (così sentenza d’appello,
pag. 4).

Esplicitava infine che il c.t.u., le cui conclusioni non erano state attinte da osservazioni
critiche di sorta, aveva verificato che “la ringhiera attuale (…) presenta elementi distintivi,
strutturali e funzionali (…) tali (…) da rappresentare <(...) requisiti idonei per l'esercizio di una servitù di veduta, sia in termini di comodità che di sicurezza>” (così sentenza d’appello,
pag. 4)..

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso Francesca Pennacchio ed il figli Giuseppe,
Pasquale, Santa e Maria Grazia Di Maro; ne hanno chiesto sulla scorta di tre motivi la
cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.
Francesco e Vincenzo Cimmino hanno depositato controricorso; hanno chiesto rigettarsi
l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità da attribuirsi al difensore
anticipatario.
I ricorrenti hanno altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono “violazione degli artt. 371 e 394 c.p.c. nonché
dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c.). Motivazione carente (art. 360 n. 5 c.p.c.)” (così
ricorso, pag. 7).

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copertura del preesistente giardinetto ed allo spostamento della ” (così ricorso, pag. 8)

Al cospetto della rappresentazione che i medesimi ricorrenti operano delle istanze spiegate
in primo grado dagli allora convenuti, controricorrenti in questa sede, è ben evidente che
domanda riconvenzionale — seppur specificamente rivolta ad ottenere la demolizione del
locale deposito, giacché costruito in spregio alla distanza imposta dall’art. 907, 1° co., c.c. —
indiscutibilmente vi fu e fu da Francesco e Vincenzo Cimmino esperita.
Piuttosto, il dato peculiare della domanda riconvenzionale che i Cirnmino ebbero ad
avanzare, è da individuare nella circostanza che in ordine al fatto genetico (acquisto per
usucapione) della servitù di veduta, diritto di servitù cui era, appunto, ancorata la demolizione

all’uopo invocata del manufatto di parte avversa, i convenuti ebbero in realtà a sollecitare una
statuizione incidenter tantum, ebbero ovvero a sollecitarne l’accertamento in guisa di
“questione pregiudiziale (di merito) in senso stretto” (la dottrina puntualizza che “… con
l’espressione si intendono quelle questioni (di merito) che, pur
potendo costituire oggetto autonomo di una decisione, si inseriscono, come un passaggio

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interposto avverso la sentenza n. 1754/1997 ebbero a censurarla adducendo che “” (così sentenza d’appello, pag. 3).
Pur tuttavia, specificamente in ordine all’argomentazione dei ricorrenti, secondo cui già
“con il secondo motivo di appello avevano criticato la sentenza del Tribunale, assumendo
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di usucapione fosse oramai precluso, sibbene perché lo imponeva, nonostante difettasse

” (così ricorso, pag. 13), si rappresenta che ai fini dell’acquisto per
usucapione di una servitù si richiede che le opere visibili e permanenti, obiettivamente
destinate al suo esercizio, siano esistite ed abbiano avuto tale destinazione per tutto il tempo

Su tale premessa si rappresenta che la corte napoletana ha opinato nel senso il tempo
necessario per usucapire la servitù di veduta fosse giunto a compimento di già alla data
dell’anno 1986 (“una valutazione complessiva del risultato di prova consente di affermare in
tutta ragionevolezza che la Viglione e la Palma hanno fatto riferimento ad uno stato di fatto
rimasto inalterato durante il precisato arco di tempo” – così sentenza d’appello, pag. 4 ovvero nel periodo compreso tra il 1950 ed il 1986).
D’altra parte, con precipuo riferimento alle censure addotte col terzo motivo, è sufficiente
rimarcare che è propriamente inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la
sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, 10 co., n.
5) c.p.c., qualora esso prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati
acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione
degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del
giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi
della disposizione citata; in caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una
inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito,
e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla
natura ed alle finalità del giudizio di cassazione

Cass. 26.3.2010, n. 7394; altresì Cass.

sez. lav. 7.6.2005, n. 11789; ancora Cass. 10.5.2000, n. 6023, secondo cui, ai fini di una
corretta decisione, il giudice del merito non è tenuto a valutare analiticamente tutte le
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prescritto dalla legge per usucapire (cfr. Cass. 21.7.1989, n. 3472).

a

risultanze processuali, né a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle
parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli
elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli
stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente
incompatibili con la decisione adottata)
In ogni caso si sottolinea che l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di
merito risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente
congruo e coerente sul piano logico – formale.
Il rigetto del ricorso giustifica la condanna in solido dei ricorrenti a rimborsare al
difensore anticipatario dei controricorrenti le spese del grado di legittimità.
La liquidazione segue come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al difensore
antistatario dei controricorrenti le spese del grado di legittimità che si liquidano nel complesso
in euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfetario delle spese
generali e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

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