Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8818 del 29/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 29/03/2019, (ud. 12/02/2019, dep. 29/03/2019), n.8818

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 11106/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona dei Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con

domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

G.R., rappresentata e difeso dall’Avv. Giuseppe Casciano e

dall’Avv. Francesco Torre, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, Piazza di S. Andrea della Valle, n. 6;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana n. 294/1/12, depositata il 5 dicembre 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 febbraio 2019

dal Consigliere Dott. CATALDI MICHELE;

udito l’Avv. Giuseppe Casciano per il controricorrente;

udito i Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Pedicini Ettore, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 294/1/12, depositata il 5 dicembre 2012, che ha rigettato l’appello dello stesso Ufficio avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pistoia, che aveva accolto il ricorso del Dott. G.R. contro il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria all’istanza di rimborso delle somme versate a titolo di IRAP per gli anni d’imposta dal 2004 al 2007.

2. Infatti il contribuente Dott. G.R. ha richiesto la restituzione delle predette somme assumendo che la sua attività di medico pediatra convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale non integrasse il requisito necessario dell’autonoma organizzazione, presupposto impositivo dell’IRAP.

Sull’istanza di rimborso si è prodotto il silenzio rifiuto dell’Ufficio.

3. Il contribuente ha allora impugnato il diniego dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pistoia, che ha accolto i ricorso.

4. L’Ufficio ha quindi proposto appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Toscana, censurando la sentenza di primo grado sia per aver respinto l’eccezione di decadenza dal diritto al rimborso dell’IRAP relativa all’anno d’imposta 2004, sull’erroneo presupposto che il termine di cui al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, iniziasse a decorrere dal pagamento del saldo dell’imposta, piuttosto che dall’acconto; sia per aver escluso, con riferimento a tutti gli anni d’imposta sub iudice, la sussistenza dell’autonoma organizzazione, nonostante risultasse dagli atti che il contribuente utilizzava due studi professionali, in due diverse città, aveva corrisposto a terzi significativi importi, nei vari anni d’imposta, a titolo di compensi per attività direttamente afferenti la sua professione, si serviva di beni strumentali di valore non minimale ed aveva sostenuto spese documentate rilevanti.

Il giudice a quo ha respinto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, confermando la sentenza della C.T.P..

5. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per la cassazione della predetta sentenza di secondo grado, articolando quattro motivi.

6. Il contribuente si è costituito notificando e depositando controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del d.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, per avere il giudice a quo erroneamente affermato, con riferimento all’anno d’imposta 2004, che il termine decadenziale del diritto al rimborso, introdotto dalla norma citata, iniziasse a decorrere dal pagamento del saldo dell’imposta, piuttosto che dall’acconto, respingendo pertanto il relativo motivo d’appello proposto dall’Ufficio.

1.1. Il motivo è fondato e va accolto, poiché, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte “Il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso delle imposte sui redditi in caso di versamenti diretti, previsto dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38 (il quale concerne tutte le ipotesi di contestazione riguardanti i detti versamenti), decorre, nella ipotesi di effettuazione di versamenti in acconto, dal versamento del saldo solo nel caso in cui il relativo diritto derivi da un’eccedenza degli importi anticipatamente corrisposti rispetto all’ammontare del tributo che risulti al momento del saldo complessivamente dovuto, oppure rispetto ad una successiva determinazione in via definitiva dell'”an” e del “quantum” dell’obbligazione fiscale, mentre non può che decorrere dal giorno dei singoli versamenti in acconto nel caso in cui questi, già all’atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti, poiché in questa ipotesi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sussistono sin da tale momento.” (Cass. 26/05/2008, n. 13478. Conformi, tra le altre, Cass. 12/03/2014, n. 5653; Cass. 20/07/2016, n. 14868; Cass. 01/02/2018, n. 2533).

1.2. Nel caso di specie, nel quale il contribuente contesta radicalmente l’esistenza dello stesso presupposto dell’imposta pagata, della quale chiede il rimborso, i singoli versamenti in acconto, già all’atto della loro effettuazione, risultavano (a suo parere) totalmente non dovuti, sussistendo pertanto l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sin da tale momento, che costituisce quindi il dies a quo rispetto al quale valutare, in fatto, il compimento o meno della decadenza eccepita dall’ufficio rispetto all’anno d’imposta 2004.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, per avere il giudice a quo ritenuto l’insussistenza dell’autonoma organizzazione dell’attività esercitata dal contribuente, pur avendo accertato sia la circostanza, peraltro pacifica, che il contribuente esercitava l’attività di medico pediatra, convenzionato con il S.S.N., avvalendosi di terzi collaboratori, in modo continuativo e non occasionale; sia il fatto che il contribuente utilizzava beni strumentali di valore consistente e non minimale.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento alle circostanze fattuali relative sia all’utilizzo non occasionale, da parte del contribuente, per lo svolgimento della propria attività – esercitata in due distinti studi professionali- della collaborazione di terzi, sostituti medici, con conseguente pagamento di compensi che oscillavano, per gli anni d’imposta che qui interessano, tra i 20.000,00 ed i 21.000,00 Euro annui; sia alla consistenza dei beni strumentali utilizzati dal contribuente, del valore di circa 48.000,00.

Secondo la ricorrente, infatti, tutte tali circostanze non sarebbero state sufficientemente valutate, ciascuna per sè e tutte in correlazione reciproca, nella motivazione della sentenza della C.T.R.

4. Con il quarto motivo, la ricorrente in subordine al terzo motivo, denuncia, ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla questione relativa alla circostanza che il contribuente abbia affrontato spese per terzi collaboratori.

5. Preliminarmente, deve rilevarsi che la ricorrente ha proposto il terzo motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione antecedente alla novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, entrata in vigore il 12 agosto 2012. A norma del medesimo D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, la modifica apporta all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Pertanto, poichè la sentenza qui impugnata è stata pubblicata il 5 dicembre 2012, ad essa si applica il testo novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che non prevede più, quale vizio motivazionale, l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ma l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti.

5.1. E’ quindi inammissibile il terzo motivo di ricorso, formulato dalla ricorrente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella versione non applicabile a questa controversia ratione temporis.

5.2. E’ invece ammissibile il quarto motivo di ricorso, formulato, in alternativa, dalla ricorrente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella versione vigente ratione temporis. Esso è tuttavia infondato, poichè il fatto storico indicato come decisivo, ovvero la circostanza che il contribuente abbia sopportato spese per compensi a terzi collaboratori, è stata esaminata dal giudice a quo, come risulta univocamente dalla parte iniziale della motivazione della sentenza della C.T.R..

6. Rimane quindi da trattare il secondo motivo, relativo all’errore di diritto che la C.T.R. avrebbe commesso nell’individuare il presupposto dell’imposizione, ovvero l’autonoma organizzazione, come delineata dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, e dalla giurisprudenza di legittimità in materia.

6.1. Giova premettere alla decisione la sintetica ricostruzione degli elementi costitutivi del presupposto d’imposta dell’IRAP, come dettati dal legislatore ed interpretati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, in particolar modo con riferimento a fattispecie conformi a quella sub indice, relative all’attività del medico che sia convenzionato con il S.S.N.. Il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, stabilisce che il presupposto dell’IRAP, già definita dall’art. 1 come imposta a carattere reale, è “l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.”. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 156 del 21 maggio 2001, ribadito che l’IRAP non è un’imposta sul reddito, bensì un’imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, ha rilevato che mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta, per difetto del suo necessario presupposto, l’autonoma organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, rimessa pertanto al giudice di merito. Cass., Sez. U., 10/05/2016, n. 9451 (in continuità con Cass., Sez. U., 12/5/2009, n. 12108, ma specificando ulteriormente i requisiti dell’impiego del lavoro altrui) ha chiarito i parametri alla cui stregua la questione di fatto deve essere valutata: “con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione previsto dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 446, art. 2 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’Id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

6.2. Riguardo poi, in particolare, alla rilevanza della disponibilità, da parte del professionista contribuente, di uno studio dove esercitare la propria attività, questa Corte, con riferimento ai medici di medicina generale convenzionati con il S.S.N., ha ritenuto che: “In tema di IRAP, la disponibilità, da parte dei medici di medicina generale convenzionati con il SSN, di uno studio, avente le caratteristiche e dotato delle attrezzature indicate nell’art. 22 dell’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, reso esecutivo con D.P.R. n. 270 del 2000, rientrando nell’ambito del “minimo indispensabile” per l’esercizio dell’attività professionale, ed essendo obbligatoria ai fini dell’instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale, non integra, di per sé, in assenza di personale dipendente, il requisito dell’autonoma organizzazione ai fini del presupposto impositivo.(Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto sussistere ii presupposto impositivo sulla base del mero esercizio abituale di un’attività organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, senza alcun approfondimento sulle caratteristiche dei beni strumentali, sull’effettiva incidenza di collaboratori e delle loro mansioni, sull’entità dei compensi a terzi, ed in merito a se le attività ulteriori rispetto al regime di convenzione implicassero la sussistenza di un’effettiva “autonoma organizzazione” ovvero fossero mere prestazioni intellettuali del professionista, legate alla sua capacità professionale, senza l’utilizzo di particolari strutture, strumentazioni o supporti).” (Cass., 21/09/2017, n. 22027). Inoltre, con riferimento alla fattispecie, quale quella sub iudice, nella quale il professionista disponga di più studi, è stato ritenuto che “In tema di IRAP, la circostanza che il professionista operi presso due o più strutture materiali non è sufficiente a configurare un’autonoma organizzazione, se tali strutture siano semplicemente strumentali ad un migliore e più comodo esercizio dell’attività professionale.” (Cass. 22/12/2016, n. 26651), commisurando il parametro della maggior comodità all’interesse del pubblico, ovvero dei pazienti (Cass. 26/03/2018, n. 74295); o se l’utilizzo di un secondo studio sia funzionale a specifiche esigenze territoriali inerenti l’attività prestata in convenzione con il S.S.N. (Cass. 07/12/2016, n. 25238; Cass., 25/01/2017, n. 1860).

6.3. Riguardo poi alla rilevanza, sempre ai fini dell’autonoma organizzazione, del valore e della consistenza dei beni strumentali utilizzati dal contribuente, è stato precisato che “In tema di IRAP, il presupposto dell’autonoma organizzazione, richiesto dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività, sicché anche una spesa consistente per l’acquisto di un macchinario indispensabile all’esercizio dell’attività medesima non è idonea a rivelare l’esistenza dell’autonoma organizzazione ove il capitale investito non rappresenti un fattore aggiuntivo o moltiplicativo del valore costituito dall’attività intellettuale del professionista, ma sia ad essa asservito in modo da non poterne essere distinto.” (Cass. 18/11/2016, n. 23552).

6.4. Con riferimento, infine, all’entità dei compensi corrisposti dal medico a suoi colleghi, è stato escluso che costituiscano dato sintomatico dell’autonoma organizzazione, ai fini dell’IRAP, le spese per compensi a terzi, ove si tratti di compensi corrisposti a colleghi medici, in caso di obbligatoria sostituzione per malattia o ferie, circostanza frequente nei medici di base che debbono assicurare un servizio continuativo (Cass. 25/08/2016, n. 17344).

6.5. Tanto premesso, venendo quindi all’esame del caso concreto sub iudice, i secondo motivo di ricorso è fondato. Infatti, in violazione dei principi normativi e giurisprudenziali già richiamati, il giudice a quo ha escluso la sussistenza dell’autonoma organizzazione, intesa come fattore aggiuntivo o moltiplicativo del valore costituito dall’attività intellettuale del professionista, erroneamente considerando ciascuno dei diversi elementi (la pluralità dei collaboratori e l’entità dei loro compensi; l’utilizzo di due studi professionali, pacificamente siti in due città diverse; il valore dei beni strumentali) autonomamente, senza porli nella necessaria correlazione funzionale tra loro, al fine di accertarne quell’irrilevanza, ai fini della configurazione dell’autonoma organizzazione e dell’imposizione dell’IRAP, che rientrava nell’onere del contribuente dimostrare. Così atomisticamente considerati, tutti gli elementi sono stati accertati dal giudice a quo senza riferirli alla concreta potenzialità produttiva che ciascuno potrebbe concorrere ad accrescere, come invece richiedono la norma che disciplina l’imposizione e la sua interpretazione giurisprudenziale consolidata, ante illustrata. Inoltre, anche nell’accertamento dei singoli elementi potenzialmente costitutivi dell’autonoma organizzazione, la sentenza impugnata ha proceduto per asserzioni (in ordine al compenso ai sostituti del contribuente, alla pluralità degli studi ed alla necessità di beni strumentali per necessità di mera funzionalità del servizio fornito) astratte, prive di riferimento concreto alle circostanze che era onere del contribuente provare.

7. All’accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso segue il rinvio della causa al giudice a quo, che procederà, provvedendo agli accertamenti ed alle valutazioni necessari in fatto, ad applicare i principi sinora esposti sia con riferimento all’eccepita decadenza dal diritto al rimborso relativamente all’IRAP dell’anno 2004; sia riguardo alla sussistenza o meno del presupposto impositivo dell’IRAP.

PQM

accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso;

dichiara inammissibile il terzo motivo di ricorso;

rigetta il quarto motivo di ricorso;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti;

rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2019

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