Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8817 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. III, 30/03/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 30/03/2021), n.8817

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28949-2019 proposto da:

D.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO

38, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MAIORANA, che lo

rappresenta e difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIM. PROT INTERNAZIONALE

FIRENZE SEZ PERUGIA;

– intimata –

nonchè contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– resistente –

avverso la sentenza n. 416/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 24/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

D.K., cittadino del (OMISSIS), propone ricorso articolato in quattro motivi, illustrato da memoria, notificato in data 23 settembre 2019 avverso la sentenza n. 416 del 2019 della Corte d’appello di Perugia, pubblicata in data 24 luglio 2019.

Il Ministero dell’interno ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si è dichiarato disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

La domanda del ricorrente, di riconoscimento dello status di rifugiato e in subordine della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, è stata respinta dalla Commissione territoriale, nonchè, in sede giurisdizionale, dal Tribunale e quindi dalla Corte d’Appello di Perugia.

La sentenza impugnata conferma la valutazione del giudice di primo grado, di insussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle protezioni richieste.

Si apre con l’esposizione del vissuto personale dichiarato dal ricorrente: alla morte della madre egli andava a vivere con il padre e con la seconda moglie di questi, con la quale si creavano da subito dissapori, il padre lo picchiava varie volte e lo cacciava di casa e quindi lui si risolveva a lasciare il paese, recandosi prima in Gambia, dove il padre lo aveva ritrovato e riportato a casa, poi era scappato una seconda volta alla volta della Libia e infine dell’Italia.

Prosegue con una corretta enunciazione dei criteri da seguire nella istruzione probatoria delle cause aventi ad oggetto la protezione internazionale, ed enuncia il dovere di cooperazione del giudice, che si esplica mediante l’esercizio di poteri doveri officiosi di indagine e di acquisizione documentale “in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente asilo” (e cita, a questo proposito, Cass. n. 15783 del 2014).

Ritiene il racconto del richiedente privo di credibilità in quanto infarcito di contraddizioni logiche e comunque relativo ad una vicenda riconducibile esclusivamente a dissapori familiari (riporta i vari tentativi del ricorrente di allontanarsi dal padre, alla fine mediante l’espatrio). Conferma per questo il rigetto delle domande relative al D.Lgs. n. 252 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Quanto alla diversa ipotesi contemplata dalla lett. c), la motivazione è la seguente: “Va esclusa anche l’esistenza di una situazione riconducibile alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) “.

Infine, quanto alla richiesta protezione umanitaria, afferma che non siano state effettuate allegazioni nè dimostrate specifiche situazioni soggettive tali da giustificarne la concessione.

Diritto

RITENUTO

che:

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza di appello per apparenza della motivazione, in quanto essa, dopo aver indicato le doglianze dell’appellante, sarebbe talmente laconica nell’indicare le ragioni della decisione nel confermare l’esito del primo giudizio di merito, da non consentire in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione della decisione di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e una sua autonoma valutazione di infondatezza dei motivi di gravame. Mancherebbe totalmente, nella ricostruzione del ricorrente, la prescritta indicazione pur concisa, delle ragioni in fatto e in diritto della decisione.

Con il secondo motivo di censura, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e dell’art. 10 Cost. in ordine alla mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege sulla base delle condizioni socio politiche del paese di origine.

Allega che nella sentenza impugnata manchi totalmente un autonomo esame della situazione del (OMISSIS), sulla base di fonti aggiornate ed accreditate: la sentenza d’appello si limiterebbe a recepire acriticamente gli esiti del giudizio di primo grado esprimendo condivisione rispetto alle valutazioni effettuate dal primo giudice senza compiere una propria aggiornata ed autonoma analisi e valutazione.

Con il terzo motivo, denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6, e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 nonchè il difetto di motivazione e l’avvenuto travisamento dei fatti, denunciando l’assoluta apoditticità della motivazione laddove afferma l’assenza di rischi per il ricorrente in caso di suo ritorno in patria.

Con il quarto motivo, denuncia l’omesso rispetto, anche in riferimento al mancato riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, delle previsioni di legge per la sostanziale mancanza di ogni comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del paese di provenienza. Sottolinea che, in caso di dubbio, la Corte avrebbe dovuto attivarsi per completare l’istruttoria in merito agli elementi necessari a compiere la valutazione comparativa.

Il primo motivo è infondato: una motivazione benchè stringata e, come si vedrà in riferimento al terzo motivo, non esente da criticità, esiste ed è dotata di una sua percorribilità logica che consente di verificarne l’autonomia di giudizio rispetto alla sentenza di primo grado. La corte non ha ritenuto credibile il racconto del ricorrente per le sue intime contraddizioni, che ha esplicitato nel provvedimento impugnato: da una parte il padre lo avrebbe cacciato di casa, dall’altra lo avrebbe poi cercato raggiungendolo fino in Gambia, per riportarlo a casa; ritiene comunque che la vicenda, anche a voler prescindere dalle anzidette contraddizioni, sia meramente privata, non essendo stata neppure allegata una ipotesi di persecuzione riconducibile a quelle previste dalla legge.

Il secondo motivo è inammissibile per genericità. Con esso, attraverso il richiamo generico alla violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 si assume che la sentenza sia incorsa in una unica violazione di legge per non aver considerato la situazione socio politica del paese di provenienza: in realtà, così strutturata, la critica non può essere presa in considerazione in quanto l’art. 14 reca in sè la tutela di tre ben distinte categorie di situazioni in cui il soggetto, ove rimpatriato, rischierebbe di essere esposto al rischio di un danno grave e che lo rendono meritevole del riconoscimento della protezione sussidiaria: a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Il ricorso così com’è strutturato non consente di individuare quale fosse il contenuto della domanda di protezione sussidiaria originariamente proposta, anche perchè manca, qui come nella parte dedicata alla introduzione del ricorso, ogni riferimento alla storia personale del ricorrente (che, benchè ritenuta contraddittoria, è riportata nella sentenza) e una critica men che generica al provvedimento impugnato.

Ove la critica fosse relativa alle situazioni di cui all’art. 14, lett. a) e b) essa, per la sua genericità, non potrebbe essere presa in considerazione, anche perchè essa, trascurando a monte perfino di raccontare quale sia la vicenda personale del ricorrente, che dovrebbe essere stata sottovalutata o mal apprezzata, atteso il rigetto delle domande, non attacca neppure il punto della decisione laddove gli si dice che le vicende narrata, quand’anche fossero state credibili, non appaiono esulare da una sfera meramente privata, e quindi non sono riconducibili a nessuna delle ipotesi persecutorie in conseguenza delle quali l’art. 14 riconosce tutela.

Il terzo motivo può essere accolto, in quanto è fondata la censura di violazione di legge, prima ancora che di motivazione apparente, predicabile, nella pur confusa formulazione del ricorrente, alla violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 prima ancora che del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) recuperando e valorizzando a tal fine anche alcune osservazioni contenute nel secondo motivo, ivi presenti insieme a critiche riconducibili a diverse ipotesi di violazioni di legge.

La decisione impugnata, quanto alla necessità di verificare se sussista o meno in (OMISSIS) la denunciata situazione di esposizione al rischio, per i civili, di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, è venuta meno al dovere di dare puntuale indicazione delle fonti dalle quali ha tratto il suo convincimento. Come già affermato da questa Corte, al fine di soddisfare l’onere di puntuale indicazione delle fonti dalle quali ha tratto il suo convincimento, il giudice di merito è tenuto ad indicare l’autorità o l’ente dal quale la fonte consultata proviene e la data o l’anno di pubblicazione, in modo da assicurare la verifica del rispetto dei requisiti di idoneità, precisione e aggiornamento della fonte, previsti dal richiamato D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, (da ultimo, Cass. n. 29147 del 2020).

Nel caso di specie la sentenza non soltanto non cita nessuna fonte, sia essa attendibile o meno, ma si limita ad una affermazione assertiva che rende la motivazione sul punto totalmente mancante: come riportato prima, l’unica riga della motivazione dedicata a rispondere al motivo di appello sul punto 8 del quale si dà precedentemente atto che sia stato formulato) è “Va esclusa anche l’esistenza di una situazione riconducibile alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)”. Quindi, la motivazione sul punto è inesistente e, a monte, sussiste la denunciata violazione di legge proprio perchè la legge su questa delicata materia traccia al giudice delle precise indicazioni indicando le verifiche che devono essere compiute, e delle quali occorre dare conto in motivazione, per esaminare validamente queste domande.

L’accoglimento del terzo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del quarto. Atteso che dovrà essere rinnovata la valutazione sulla sussistenza del diritto alla più ampia protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c), nel caso in cui questa, a conclusione del nuovo esame del merito, non potesse essere concessa, il giudice dovrà provvedere a verificare se sussistono i presupposti della residuale protezione minore.

In accoglimento del terzo motivo, assorbito il quarto, la sentenza deve quindi essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione perchè decida anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo, dichiara inammissibile il secondo, accoglie il terzo, assorbito il quarto, cassa e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

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