Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8815 del 30/04/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 8815 Anno 2015
Presidente: BURSESE GAETANO ANTONIO
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 8606-2009 proposto da:
GUIDO DOMENICO C.F.DMNGDU41M14D862N,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA 24, presso
lo studio dell’avvocato LUIGI GARDIN, rappresentato e
difeso dall’avvocato RAFFAELE ANTONIO FATANO;
– ricorrente contro

2015
280

STIFANELLI ADALGISA STFDGS61H65L049N, MARTIRIGGIANO
MASSIMO MRTMSM66C30D863U, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA AZONE 16/B, presso lo studio dell’avvocato
MILLEFIORI

LEONARDO,

rappresentati

e

difesi

Data pubblicazione: 30/04/2015

dall’avvocato TOMMASO MILLEFIORI;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 122/2008 della CORTE D’APPELLO
di LECCE, depositata il 25/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

ANTONIO PROTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

udienza del 11/02/2015 dal Consigliere Dott. CESARE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 27/5/1994 Domenico Guido, dopo il
provvedimento immediato di reintegra nel possesso,
conveniva in giudizio, per il merito possessorio,
Martiriggiano Massimo e Stifanelli Adalgisa chiedendo

corrispondente alla servitù di passaggio su una
terrazza attraverso la quale si accedeva ad un cavedio
di proprietà dello stesso attore e dove erano ubicati
alcuni scambiatori di calore funzionali all’esercizio
di un supermercato; in particolare, lamentava che
l’accesso alla terrazza gli era stato impedito
dall’occlusione di una porta-finestra che era stata
murata.
La domanda era accolta con sentenza del 14/2/2005 del
Tribunale di Lecce, ma, all’esito del giudizio di
appello promosso dai convenuti, la domanda era
rigettata con sentenza del 25/2/2008 della Corte di
Appello di Lecce che riteneva che l’attore non avesse
provato l’effettivo esercizio del possesso.
Guido Domenico ha proposto ricorso affidato a tre
motivi e ha depositato memoria.
Stifanelli

e

Martiriggiano

hanno

controricorso e hanno depositato memoria.

resistito

con

che fossero condannati a reintegrarlo nel possesso

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la
violazione degli artt. 1140, 1146, 1062, 1065 e la
falsa applicazione dell’art. 1066 c.c..
Il ricorrente sostiene:

individuare il possesso della servitù di passaggio,
tutelabile in sede possessoria, non è pertinente
rispetto a quanto previsto della norme in materia di
possesso che, per la servitù di passaggio, non richiede
un esercizio continuo;
che la Corte di Appello non ha considerato
l’accessione del possesso di cui all’art. 1146 c.c.,
prevista a favore del successore a titolo particolare.
Il ricorrente, formulando il quesito di diritto chiede
se al proprietario che sia stato immesso nel possesso
di fatto di un bene immobile, sia richiesto o meno, ai
fini della tutela possessoria di un diritto di servitù
ex art. 1168 c.c. e dunque a seguito di spoglio
violento e clandestino, una particolare durata
dell’esercizio di fatto del diritto ovvero una
utilizzazione continuativa delle opere destinate
all’esercizio della servitù.

che la motivazione della Corte di Appello per

1.1 La Corte di Appello, richiamando plurimi precedenti
di legittimità, dopo avere rilevato (v. pag. 5 della
sentenza) che era breve il periodo di tempo intercorso
tra l’acquisto dei fondo da parte del Guido
(16/6/1993) e il momento dello spoglio (27/9/1993), ha

prova del “reiterarsi di atti esplicativi di un potere
di fatto esercitati con continuità” (v.
sentenza) e ha aggiunto che

pag. 5 della

“l’accoglimento della

domanda di reintegrazione nella particolare ipotesi
spoglio di una servitù di passaggio è subordinata_
esclusivamente alla dimostrazione del durevole e
pacifico utilizzo del passaggio in epoca prossima allo
spoglio” (pag. 6).
Infine ha richiamato in motivazione la deposizione di
Luigi Potenza dalla quale poteva dedursi, come
affermavano gli appellanti, che l’occlusione della
porta era avvenuta quando la porta stessa era rimasta
per lungo tempo chiusa dall’esterno.
Orbene, i principi di diritto richiamati con il
riferimento ai precedenti di questa Corte di
legittimità, sono corretti e la sentenza ha deciso in
fatto, per la mancata prova del possesso da parte
dell’odierno ricorrente.

posto a fondamento della sua decisione l’assenza di

Le censure sviluppate nel motivo non sono pertinenti e
non è pertinente neppure il quesito posto a conclusione
dell’illustrazione del motivo in quanto:
– seppure è corretto affermare che la sporadicità e
saltuarietà degli atti di passaggio non è sufficiente

discontinuità può essere in funzione degli specifici
bisogni del fondo), è altrettanto corretto affermare
che è comunque necessaria la prova di un concreto
esercizio di fatto del passaggio che sia apprezzabile
univocamente come potere di fatto e questo è proprio
ciò che è stato escluso dalla Corte di Appello la
quale, nella parte dedicata ai motivi della decisione,
ha richiamato la deposizione testimoniale del Potenza
circa una chiusura della porta dall’esterno
preesistente rispetto alla sua muratura; ne consegue
che la circostanza che il Guido o altri potessero
essere saltuariamente transitati, non è di per sé
dimostrativa di un possesso;
– eguali considerazioni valgono per un’eventuale
accessione del possesso di cui all’art. 1146 c.c.,
prevista a favore del successore a titolo particolare,
dovendosi egualmente dar prova sia del precedente
possesso, sia del possesso al momento dello spoglio.

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ad escludere il possesso della relativa servitù (la

In conclusione il motivo è inammissibile in quanto il
ricorrente,deducendo formalmente violazione di norme di
diritto che non trovano riscontro nella ratio decidendi
della sentenza impugnata, introduce censure di fatto
egualmente non pertinenti rispetto alla motivazione.

e insufficiente valutazione delle risultanze
istruttorie su un punto decisivo della controversia.
2.1 Al ricorso in esame è applicabile l’art. 366 bis
c.p.c. in quanto la sentenza è stata depositata il
25/2/2008 e pertanto nella vigenza della norma testè
richiamata.
Il motivo è mancante del momento di sintesi, prescritto
dall’art. 366 bis c.p.c. che implica la necessità di
una separata individuazione del fatto controverso e
delle ragioni di inadeguatezza della motivazione,
connessa all’esigenza di chiarezza emergente dallo
stesso art. 366 bis c.p.c.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la
regola processuale dell’art. 366 bis c.p.c. impone
nella formulazione della censura un distinto momento di
sintesi (omologo del quesito di diritto) che
circoscriva puntualmente i limiti della critica alla
motivazione in fatto con l’indicazione di quali siano

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2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’errata

le ragioni per cui la motivazione è inidonea a
sorreggere la decisione in modo da non ingenerare
incertezze in sede di valutazione della sua
ammissibilità (cfr. Cass. Sez. Un., 1/10/2007 n. 20603;
Cass. Sez. Un.. 31/3/2009 n. 7770); questa Corte ha

controverso sia indicato nel motivo o possa desumersi
dalla sua esposizione Cass. 2/4/2009 n. 8109, 8110,
8111; Cass. 3/3/2009, n. 5089; Cass. 9/1/2009, n. 321;
Cass. 30/12/2008, n. 30478).
Il requisito concernente il motivo di cui al n. 5 del
precedente art. 360 – cioè la

“chiara indicazione del

fatto controverso in relazione al quale la motivazione
si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle
ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione (della sentenza impugnata) la rende
inidonea a giustificare la decisione”

deve dunque

consistere in una parte del motivo che si presenti a
ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di
modo che non è rispettato quando solo la completa
lettura della complessiva illustrazione del motivo
riveli oltre la riferibilità del vizio al fatto
controverso, anche le ragioni per le quali la
motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la

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altresì precisato che non è sufficiente che il fatto

motivazione e

ciò all’esito di un’attività di

interpretazione svolta dal lettore e non di una
specifica indicazione di parte ricorrente (cfr. Cass.
18/7/2007 n. 16002; Cass. 7/4/2008 n. 8897 Ord. Cass.
8/3/2013 n. 5858 Ord).

stralci di prove orali, richiami a planimetrie e parti
dell’illustrazione del motivo in grassetto, l’ultima
delle quali incentrata sull’affermazione che
l’esercizio del possesso era provato perché v’era prova
che il Guido o altri da lui incaricati avevano compiuto
atti di esercizio di fatto del possesso del passaggio,
senza alcun riferimento alla circostanza posta in
evidenza dalla testimonianza Potenza (la chiusura della
porta dall’esterno, precedente alla muratura della
porta stessa) e senza attingere la motivazione secondo
la quale il possesso della servitù non era provato,
tenuto conto che la mera possibilità di passare per una
porta (che secondo un teste era stata chiusa
dall’esterno) non implica di per sé l’esercizio dei
poteri di fatto corrispondenti alla servitù di
passaggio.
Tale modalità di formulazione del ricorso non soddisfa
le esigenze di chiarezza che persegue la disposizione

Nel caso concreto, invece, nel motivo sono affastellati

dell’art. 366 bis c.p.c. nell’imporre, a pena di
inammissibilità un’indicazione riassuntiva e sintetica,
che costituisca un

“quid pluris”

rispetto

all’illustrazione del motivo e che consenta al giudice
di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso

logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante,
ove correttamente valutato, ai fini della decisione
favorevole al ricorrente; pertanto il motivo di ricorso
deve essere dichiarato inammissibile.
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce il vizio di
omessa e inadeguata motivazione con riferimento al
possesso di una servitù di veduta e alla possibilità di
ingresso di luce e aria.
3.1 Il motivo è inammissibile per la sua assoluta
genericità; il ricorrente sostiene:
– che la Corte ha valutato pacifica l’esistenza di una
porta che per la sua conformazione consentiva non solo
il passaggio delle persone, ma rendeva altresì
possibile la veduta e l’ingresso di luce e aria;
– che la stessa esistenza della porta presupponeva già
di per sé il possesso dell’utilità che ne derivava,
– che pertanto la Corte di appello non avrebbe dovuto
negare il presupposto del possesso.

e il nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza

Orbene dalla semplice esistenza di una porta (ancorché
in sentenza venga definita porta-finestra) non deriva
automaticamente il possesso di una servitù di veduta.
Dalla sentenza impugnata risulta che l’attore aveva
chiesto

di

essere

reintegrato

nel

possesso

terrazza attraverso la quale si accedeva ad un cavedio
di proprietà dello stesso attore e dove erano ubicati
alcuni scambiatori di calore funzionali all’esercizio
di un supermercato; dallo stesso ricorso risulta (v.
pag.

2 del ricorso)

che egli voleva accedere,

attraverso la porta, ad un cavedio di sua proprietà al
fine di aprire e chiudere le finestre in vetro e dare
aria al cavedio; pertanto non risulta che la porta sia
stata

considerata

funzionale

all’esercizio

della

servitù di veduta, ma sono funzionale ad un passaggio
per accedere ad una terrazza e da questa ad un cavedio.
Neppure dalla sentenza impugnata risulta che in appello
la porta finestra sia mai stata considerata di per sè
funzionale all’esercizio della servitù di veduta.
Pertanto il ricorrente per osservare l’onere di
specificità del motivo di ricorso come imposto anche
dall’art. 366 bis c.p.c., avrebbe dovuto specificare
come e in quali termini nel giudizio di appello era

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corrispondente alla servitù di passaggio su una

stato sostenuto che proprio quella porta, in concreto
(per le sue caratteristiche e per il suo
posizionamento), consentiva il possesso della servitù
di veduta sul fondo altrui e che di fatto un tale
possesso era esercitato.

inammissibile per inammissibilità di tutti i motivi.
Le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate
come in dispositivo, seguono la soccombenza del
ricorrente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna
Domenico Guido a pagare ai controricorrenti Stifanelli
Adalgisa e Martiriggiano Massimo le spese di questo
giudizio di cassazione che liquida in euro 2.500,00 per
compensi oltre euro 200,00 per esborsi, oltre 15% sul
compenso per spese forfetarie, oltre accessori di
legge.
Così deciso in Roma, addì 11/2/2015.

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato

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