Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8814 del 30/04/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 8814 Anno 2015
Presidente: BUCCIANTE ETTORE
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 20336-2009 proposto da:
BIANCHI MARIANGELA BNCMNG50S46C390S, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PRINCIPESSA CLOTILDE 7,
presso lo studio dell’avvocato MARIO TONUCCI, che la
rappresenta e difende;
– ricorrente 2015
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contro

SCAROZZA FRANCA SCRFNC54E69C390R, BIANCHI CECILIA
BNCCCL82P52H501M, BIANCHI GIAN MARCO
BNCGMR85R29H501E, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA BALDO DEGLI UBALDI 55, presso lo studio

Data pubblicazione: 30/04/2015

dell’avvocato ADRIANO VISENTIN, che li rappresenta e
difende unitamente all’avvocato GIANCARLO PIZZI;
– controri correnti nonchè contro

AMARISSE MAURIZIO,
ROSSELLA,

AMARISSE

AMARISSE ANNA RITA,
SIMONE

DUILIO,

MURGIA
AMARISSE

ALESSANDRO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1435/2009 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/04/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/02/2015 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;
udito

l’Avvocato

ALESSIA

CAPOZZI,

con

delega

dell’Avvocato MARIO TONUCCI, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel lontano 1957 Parmelio Bianchi e Duilio Amarisse acquistarono in
comunione tra loro e per quote uguali il secondo e il terzo piano di un
fabbricato sito in Cave, via Cavour, 16 e 17, e l’area di terreno circostante.

Duilio Amarisse, l’altro al terzo piano assegnato a Parmelio Bianchi,
quest’ultimo nel 1968 alienò a Michelfranco e Luciano Terzulli la quota di
sua spettanza sui predetti beni. A loro volta nel 1975 i Terzulli trasferirono a
Mariangela Bianchi, figlia di Parmelio, la medesima quota, e successivamente
Parmelio Bianchi edificò sul terreno annesso agli appartamenti un villino (per
il quale presentò domanda di concessione in sanatoria nel 1986).
Alla morte di Parmelio Bianchi, l’altro suo figlio ed erede, Giancarlo,
convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma, con citazione notificata il
3, il 6 e il 14 maggio 1996, la sorella Mariangela, anch’ella erede, e
Guglielmo, Anna Rita e Maurizio Amarisse, eredi di Duilio Amarisse, per lo
scioglimento della comunione sui ridetti beni. Giancarlo Bianchi domandava,
altresì, che la sorella provvedesse alla collazione della quota dei beni a lei
intestati, assumendo che il relativo acquisto, in quanto effettuato con denaro
del de cuius, costituiva una donazione indiretta.
I convenuti a loro volta domandavano l’accertamento dell’acquisto per
usucapione degli appartamenti già posseduti dai rispettivi danti causa.
Mariangela Bianchi, inoltre, domandava l’accertamento della proprietà
esclusiva in suo favore del villino e la condanna del fratello al pagamento
della somma di lire 10.660.177, a fronte di vari crediti verso di lui.

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Edificati due appartamenti, uno al secondo piano, assegnato in possesso a

Con sentenza n. 35224/02 il Tribunale dichiarava — tra l’altro e per quanto
ancora rileva in questa sede di legittimità — l’usucapione in favore dei predetti
eredi di Parmelio Bianchi della proprietà dell’appartamento del terzo piano e
di una porzione di terreno meglio specificata, e in favore degli eredi Duilio

dichiarava, inoltre, l’intervenuta donazione, in favore di Mariangela Bianchi e
da parte del padre di lei, avente ad oggetto la quota pari a due terzi della
proprietà dell’appartamento posto al terzo piano, e dichiarava che la stessa
Mariangela Bianchi era tenuta alla relativa collazione per imputazione.
Quindi, respinta la domanda riconvenzionale proposta da Mariangela Bianchi
per l’accertamento in suo favore della proprietà esclusiva del villino,
disponeva lo scioglimento della divisione ereditaria su tale ultimo bene e sul
cortile annesso.
Adita con appello principale da Mariangela Bianchi e con appello
incidentale da Franca Scarrozza, Cecilia e Gian Marco Bianchi, eredi di
Giancarlo Bianchi, la Corte distrettuale di Roma rigettava tutte le
impugnazioni, compensava per 1/4 le spese del grado e poneva la restante
frazione a carico di Mariangela Bianchi.
Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte d’appello
capitolina osservava, in ordine alla tesi dell’appellante principale, la quale
sosteneva di aver provveduto con propri risparmi al pagamento del mutuo di
lire 7.614.000 contratto per l’acquisto della quota degli immobili, che la
circostanza era poco credibile. Ciò sia perché la presenza di eventuali risparmi
avrebbe consentito a Mariangela Bianchi di non ricorrere al mutuo o di

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Amarisse dell’appartamento al secondo piano e del terreno residuo;

ricorrervi in misura minore, sia perché il reddito annuo di lei era in allora di
appena 2.631.172 lire.
Quanto alla proprietà del terreno, rilevava che la circostanza che esso non
fosse stato alienato ai Terzulli e da loro poi a Mariangela Bianchi derivava

appartamenti (la cui quota di comproprietà era stata oggetto della vendita da
Parmelio Bianchi a Michelfranco e Luciano Terzulli) erano stati indicati come
confinanti, appunto, con il terreno. Quest’ultimo, pertanto, non era stato
venduto, ma era rimasto pro quota di proprietà di Parmelio Bianchi e, per la
porzione su cui questi aveva edificato il villino, nel possesso effettivo di lui.
Infine, in ordine alla domanda riconvenzionale proposta da Mariangela
Bianchi, la Corte romana osservava che non vi era connessione alcuna tra la
causa ereditaria e la causa attinente ai rapporti obbligatori tra gli eredi, e che
non vi era stata accettazione del contraddittorio su tale domanda da parte di
Giancarlo Bianchi.
Per la cassazione di tale sentenza Mariangela Bianchi propone ricorso,
affidato a tre motivi, illustrati da memoria.
Resistono con controricorso Franca Scarrozza, Cecilia e Gian Marco
Bianchi.
Maurizio e Anna Rita Amarisse e Rossella Murgia, nonché Simone Duilio
e Alessandro Amarisse, eredi di Guglielmo Amarisse, sono rimasti intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo parte ricorrente deduce la violazione o falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 809, 1322, 1346,
2697, 2727 e 2729 c.c., nonché la nullità della sentenza o del procedimento e
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dalla precisa descrizione catastale contenuta nell’atto del 1968, nel quale i due

l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, ai nn. 3, 4
e 5 dell’art. 360 c.p.c.
Si sostiene che l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata,

risparmi significativi e idonei a far fronte al pagamento del mutuo, costituisce
una presunzione priva dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, e
un’inammissibile praesumptio de praesumpto, in quanto dal reddito ricava la
capacità di risparmio e da questo la donazione indiretta dell’appartamento.
Il motivo si conclude col seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366-

bis c.p.c., applicabile ratione temporis: “chi vuol far valere un diritto in
giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Il giudice può
fondare la propria decisione su presunzioni semplici soltanto nel caso in cui
esse risultino gravi, precise e concordanti”.
1.1. – Il motivo è manifestamente inaccoglibile, e ciò per due ragioni.
La prima è che è inammissibile, per violazione dell’art. 366-bis c.p.c.,
applicabile ratione temporis, il ricorso per cassazione nel quale il quesito di
diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della
violazione di legge denunziata nel motivo (Cass. S.U. n. 21672/13; conforme,
Cass. n. 19892/07). La funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a
pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte
di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logicogiuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal
giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la
regola da applicare (Cass. n. 8463/09).
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secondo cui il reddito annuo di Mariangela Bianchi era tale da non consentirle

Altresì inammissibile è la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi
d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi
contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., non essendo
consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili

accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della
violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che
quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione.
1.1.1. – Nella specie, a) il quesito si esaurisce nella mera, consecutiva
trascrizione dell’art. 99 c.p.c. e del sintagma finale del 2° comma dell’art.
2729 c.c., di guisa che non è dato comprendere quale sia la quaestio iuris
posta all’attenzione di questa Corte in rapporto alla specificità del caso
concreto; b) nel suo insieme, il motivo non solo consta di un viluppo di
censure (violazione di legge, vizio motivazionale e nullità) districabile solo a
patto di onerare questa Corte di un’attività (non di riqualificazione, bensì) di
totale e autonoma riscrittura del motivo, che certo non le compete; ma altresì
mal cela, nella sua onnicomprensività fattuale e giuridica, l’intento di
provocare null’altro che un surrettizio riesame di merito della controversia.
2. – Col secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione
dell’art. 112 c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento e l’omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, ai nn. 3, 4 e 5 dell’art.
360 c.p.c.
Nell’escludere che il terreno oggetto di controversia fosse stato ceduto ai
Terzulli con l’atto del 1968, sicché questi ultimi non avrebbero potuto
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incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone

ritrasferirlo alla Bianchi nel 1975, la Corte territoriale ha omesso di
considerare in alcun modo la distinta domanda di usucapione svolta dalla
stessa.
Segue il quesito: “il giudice deve pronunciarsi su tutta la domanda e non

domande rivoltegli dalle parti”.
2.1. – Per le medesime ragioni esposte al paragrafo 1.1., anche tale motivo
è inammissibile per l’assoluta inidoneità del quesito di diritto che lo correda,
necessitato pure nel caso di prospettata violazione dell’art. 112 c.p.c. (cfr.
Cass. nn. 10758/13, 4146/11 e 4329/09), quanto meno ogni qual volta
l’omessa pronuncia non sia netta ed evidenziabile ex se, ma richieda una sia
pur minima attività di dimostrazione logica in rapporto al contenuto della
sentenza e alla sua corretta interpretazione.
Omissione di pronuncia di cui, nella specie, sarebbe stato indispensabile
fornire dimostrazione, ove si consideri che la sentenza impugnata appare aver
sia pure implicitamente considerato l’ipotesi della dedotta usucapione,
escludendola lì dove a pag. 8 si legge che il terreno in questione non era stato
ceduto ai Terzulli, e che quindi esso era rimasto pro quota di proprietà del
Bianchi e “per la parte sulla quale egli (aveva) realizzato il minivillino, in suo
effettivo possesso”.
3. – Il terzo mezzo espone la violazione e falsa applicazione degli artt. 33,
36, 40, 103, 104, 112 e 116 c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento
e l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, ai nn. 3, 4
e 5 dell’art. 360 c.p.c.
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oltre i limiti di essa e non può trascurare né omettere di considerare le

La sentenza impugnata, si afferma, non ha spiegato la ragione per la quale
dovrebbe ritenersi non accettato, da parte attrice, il contraddittorio sulla
domanda riconvenzionale di Mariangela Bianchi, intesa ad ottenere dal
fratello la restituzione di somme anticipategli. Ed anzi dagli scritti difensivi di

contestando nel merito la domanda. Come pure, contrariamente a quanto si
afferma nella sentenza impugnata, nel rendere l’interrogatorio formale
Giancarlo Bianchi si attenne, pur contestandoli, ai fatti oggetto di detta
domanda.
Inoltre, secondo il costante orientamento di questa Corte di legittimità, la
cognizione della domanda riconvenzionale appartiene al giudice della causa
principale anche ove tale domanda dipenda da un titolo diverso da quello
posto a fondamento della domanda principale, sempre che sussista fra le
opposte pretese un collegamento obiettivo che implichi l’opportunità delle
decisione simultanea. Collegamento che nel caso in esame ricorre atteso che
accertando le reciproche ragioni di debito/credito fra le parti è possibile
stabilire, operate le possibili compensazioni, la somma dovuta dall’una parte
all’ altra.
Infine, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’inammissibilità
della domanda riconvenzionale che non comporti spostamento di competenza
non è rilevabile d’ufficio, ma solo su eccezione di parte, nella specie non
sollevata.
Il motivo si conclude con i seguenti, tra loro strettamente consequenziali,
quesiti di diritto: “(1) Il giudice è competente a conoscere della domanda
riconvenzionale che dipende da un titolo diverso da quello posto a
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parte attrice si ricava che quest’ultima ebbe ad accettare il contraddittorio,

fondamento della domanda principale, sempre che sussista fra le opposte
pretese un collegamento obiettivo che implichi l’opportunità della trattazione
e decisione simultanea; (2) L’inammissibilità della domanda riconvenzionale
che non comporti spostamento di competenza non è rilevabile d’ufficio, ma

preclusione derivante dalla accettazione del contraddittorio; (3) In caso di
domanda riconvenzionale proposta al di fuori delle ipotesi di connessione
qualificata di cui agli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c., la mancanza di una
ragione di connessione può essere fatta valere non oltre la prima udienza; (4)
La domanda riconvenzionale proposta, insieme ad altre domande, nei
confronti dell’attore non può essere ritenuta inammissibile per il solo difetto
di connessione oggettiva con la domanda principale potendo, al più,
ricorrendone le condizioni, forma oggetto di separazione dalla causa
principale”.
3.1. – Il motivo è fondato.
La giurisprudenza di questo S.C. è del tutto costante nell’affermare che la
relazione tra domanda principale e domanda riconvenzionale, ai fini
dell’ammissibilità di quest’ultima, non va intesa in senso restrittivo, nel senso
che entrambe debbano dipendere da un unico ed identico titolo, essendo
sufficiente che fra le contrapposte pretese sia ravvisabile un collegamento
obiettivo, tale da rendere consigliabile ed opportuna la celebrazione del

simultaneus processus, a fini di economia processuale ed in applicazione del
principio del giusto processo di cui all’art. 111, primo comma, Cost. (Cass. n.
27564/11; conformi, ex pluribus, nn. 4696/99, 9313/97 e 6103/94).

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solo su eccezione della controparte, e purché non si sia verificata la

A sua volta, l’inammissibilità della domanda riconvenzionale che non
comporti spostamento di competenza non è rilevabile d’ufficio, ma solo su
eccezione della controparte, sempre che non si sia verificata la preclusione
derivante dall’accettazione del contraddittorio (Cass. n. 8227/90; conformi,

3.1.1. – La Corte territoriale ha disatteso quest’ultimo principio, poiché ha
escluso la domanda riconvenzionale di Mariangela Bianchi, che la difesa degli
eredi di Giancarlo Bianchi aveva eccepito come inammissibile solo con la
comparsa di risposta in appello, e dunque tardivamente. Con il che resta
definitivamente assorbita la valutazione dell’esistenza di un collegamento
obiettivo tra questa domanda e quella principale.
4. – Sulla base delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata va
cassata in relazione a quest’ultimo motivo soltanto, con rinvio ad altra sezione
della Corte d’appello di Roma, che esaminerà la suddetta domanda
riconvenzionale proposta da Mariangela Bianchi e provvederà anche sulle
spese di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il terzo motivo, respinti i primi due, e cassa la sentenza
impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che
provvederà anche sulle spese di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, il 10.2.2015.

nn. 3116/90 e 3370/85).

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