Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8813 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/03/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 30/03/2021), n.8813

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13419/2017 proposto da:

ALTA S.r.L, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato

FRANCESCO PUNZO, rappresentata e difesa dall’Avvocato PAOLO LO VERDE

giusta procura speciale estesa a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CEFALU’, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in

ROMA, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato

e difeso dall’Avvocato VINCENZO LA GRUA giusta procura speciale

estesa a margine del contro ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4091/9/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, depositata il 22/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

DELL’ORFANO ANTONELLA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Alta S.r.L. propone ricorso, affidato ad unico motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia aveva respinto l’impugnazione proposta avverso la sentenza n. 352/2012 della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, che aveva respinto il ricorso proposto avverso avviso di accertamento TARSU 2006 e avviso di pagamento TARSU 2011 emessi dal Comune di Cefalù;

il Comuneòresiste con controricorso;

la contribuente ha depositato memoria difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con unico mezzo si denuncia violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62) e si lamenta che la CTR abbia confermato il rigetto del ricorso della contribuente per non avere la società provato che le aree dei due immobili, soggette a tassazione da parte dell’Ufficio, producano rifiuti speciali, stante anche la mancanza di denuncia originaria o di successiva variazione;

1.2. le doglianze sono infondate;

1.3. in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), spetta al contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (cfr. Cass. 21250/2019, 17622/2016, 18054/2016);

1.4. per beneficiare dell’esclusione è necessario, dunque, che il contribuente dichiari la produzione dei rifiuti speciali nella denuncia originaria o di variazione (cfr. in termini Cass. n. 13768/2016 in motivazione) poichè, come si è detto, incombe sull’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale ìdati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, in quanto produttive di rifiuti speciali, possono beneficiare dell’esclusione dal computo della superficie complessiva imponibile ovvero della riduzione di tariffa;

2. in conclusione, il ricorso va rigettato, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 % per ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

 

 

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