Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8812 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/03/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 30/03/2021), n.8812

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 11937 del ruolo generale dell’anno

2016, proposto da:

Gruppo Conciario Valle Agno s.r.l. in liquidazione, in persona del

liquidatore e legale rappresentante p.t. – già Gruppo Conciario

Valle Agno s.p.a. in liquidazione – rappresentata e difesa, giusta

procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Gianpietro

Contarin, domiciliata presso la cancelleria della Corte di

cassazione, in Roma;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto n. 1711/24/2015, depositata in data 11 novembre

2015, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 dicembre 2020 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di

Nocera Maria Giulia.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 1711/24/2015, depositata in data 11 novembre 2015, la Commissione tributaria regionale del Veneto rigettava l’appello proposto dal Gruppo Conciario Valle Agno s.p.a. in liquidazione, nei confronti dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 253/04/14 della Commissione tributaria provinciale di Vicenza che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), aveva ripreso a tassazione quale costo, indebitamente dedotto ai fini Ires e Irap e detratto ai fini Iva, per l’anno 2009, la differenza tra il dichiarato canone di locazione del capannone industriale ove esercitava la propria attività e quello rideterminato alla luce dei valori OMI;

– in punto di diritto, la CTR ha osservato che: 1) la società contribuente (con legale rappresentante P.F. e come soci i fratelli P.) era subentrata come conduttrice nel contratto di locazione del capannone industriale stipulato tra la Veneta Conciaria Valle Agno s.p.a. (appartenente in larga parte ai f.lli P.) e il locatore Immobiliare F.lli P. s.r.l. che l’aveva preso in leasing da un pool di società che, a sua volta, l’aveva acquistato sempre dalla Veneta Conciaria Valle Agno s.p.a., con la conseguenza che era la società contribuente a sostenere i canoni di leasing a carico del locatore, sulla prima sostanzialmente ribaltati; 2) il canone di locazione della contribuente era di gran lunga superiore al “valore normale” del bene locato in base alle quotazioni OMI; 3) l’accertamento dell’Ufficio era stato legittimamente condotto, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che denotavano l’inesistenza a carico della società contribuente delle passività dalla stessa dichiarate nel 2009, avendo l’insieme delle società appartenenti ai F.lli P. operato come “gruppo” distribuendo all’interno delle predette patrimonio, costi e ricavi, agendo secondo criteri dettati da calcolo e convenienze del “gruppo” e non rispettando l’inerenza dei costi/ricavi riguardo alle singole società;

– avverso la suddetta sentenza, Gruppo Conciario Valle Agno s.r.l. in liquidazione – già Gruppo Conciario Valle Agno s.p.a. in liquidazione -ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la CTR – nel ritenere legittima la ripresa a tassazione dell’Ufficio della differenza tra il canone di locazione dichiarato e quello rideterminato in base ai valori OMI-considerato l’effettiva consistenza dell’immobile locato come risultante dalla perizia di parte, prodotta già in sede di primo grado, alla luce della quale, in considerazione delle evidenziate caratteristiche del bene, si giustificava il maggiore costo di locazione dichiarato;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. per avere la CTR erroneamente basato la presunzione semplice circa il “valore normale” di mercato del bene locato su un fatto incerto qual era il bene locato come ricostruito unilateralmente sulla base delle sole risultanze contabili senza considerare il bene locato come correttamente identificato nella perizia di stima prodotta in giudizio dalla contribuente; da qui la erroneità anche delle altre presunzioni fondanti la decisione circa lo scostamento dei maggiori canoni di locazione dichiarati dai valori OMI, l’identità delle compagini sociali, la mancanza di ulteriori giustificazioni da parte del contribuente;

– i motivi – da trattare congiuntamente per connessione – sono inammissibili per le ragioni di seguito indicate;

– in primo luogo, va osservato che è insegnamento di questa Corte quello secondo cui “Il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte” (Cass. n. 743 del 2017; n. 26174/14, sez. un. 28547/08, sez. un. 23019/07, sez. un. ord. n. 7161/10); nella specie, la società contribuente, in difetto di autosufficienza, non ha riportato in ricorso, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, il contenuto della perizia di parte la cui mancata valutazione da parte della CTR viene in sostanza denunciata con entrambi i motivi;

– peraltro, l’assunta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si profila inammissibile, posto che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 11 novembre 2015) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015); nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto l’omesso esame di un “fatto storico”, ma di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte;

– quanto alla denunciata violazione di legge sotto il profilo della assunta erronea formazione della prova presuntiva, il motivo come formulato, da un lato, non coglie la ratio decidendi e, dall’altro, tende ad una inammissibile rivisitazione di un apprezzamento di merito operato dal giudice di appello; va premesso che l’accertamento fiscale da cui muove la presente controversia, è un accertamento di tipo analitico-induttivo, con cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (ex multis: Cass., sez. 5, n. 33508 del 2018; n. 20060 del 2014); invero, la CTR, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (formatasi in tema di accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili v. ex plurimis, Cass. n. 23379 del 2019; n. 2155 del 2019, n. 13992 del 2019, Cass. n. 11439 del 2018, n. 9474 del 2017; Cass. n. 26487 del 2016; n. 24054 del 2014) ha ritenuto legittimo l’accertamento, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), della inesistenza delle passività (relativamente al costo “canoni e fitti passivi”) dichiarate dalla contribuente nel 2009, in quanto fondato non solo sul rilevato scostamento tra il canone dichiarato ed il “valore normale” del bene locato quale risultava dalle quotazioni OMI, bensì su ulteriori e distinti elementi indiziari – stimati gravi, precisi e concordanti – quale l’emersa appartenenza della società contribuente ad un “gruppo” di società facenti capo tutte ai F.lli P., il coinvolgimento di queste nelle operazioni di acquisto della proprietà dell’immobile in questione, nella stipula del contratto di leasing e nella successiva locazione dello stesso, nonchè la distribuzione all’interno del “gruppo” di patrimonio, costi e ricavi, secondo criteri dettati dal calcolo e dalla convenienze del “gruppo”, non rispettando l’inerenza dei costi/ricavi riguardo alle singole società; in particolare, essendo risultato il subentro della società contribuente (con legale rappresentante P.F. e come soci i fratelli P.) come conduttrice nel contratto di locazione del capannone industriale stipulato tra la Veneta Conciaria Valle Agno s.p.a. (appartenente in larga parte ai f.lli P.) e il locatore Immobiliare F.lli P. s.r.l. che l’aveva preso in leasing da un pool di società che, a sua volta, l’aveva acquistato sempre dalla Veneta Conciaria Valle Agno s.p.a., era, in sostanza, la contribuente a sostenere, a titolo di locazione, i canoni di leasing posti a carico del locatore (ben superiori ai valori di mercato) e ribaltati su di essa; è evidente, pertanto, la accertata superiorità del canone di locazione dichiarato dalla contribuente rispetto al “valore normale” del bene locato in base alle quotazioni OMI, ha costituito, nel costrutto argomentativo del giudice di appello, solo un elemento presuntivo che, unitamente ad ulteriori e distinti elementi indiziari, stimati gravi, precisi e concordanti (quali l’identità delle compagini sociali, i passaggi di proprietà dell’immobile, il ribaltamento dei canoni di leasing in capo alla contribuente) avevano legittimato l’accertamento analitico-induttivo in questione; ciò, peraltro, in conformità all’insegnamento di questa Corte secondo cui “La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perchè equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare” (Cass. sez. 3, n. 5787 del 2014; v. Cass., sez. 6-5, n. 30276 del 2017);

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

la Corte:

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore dell’Agenzia delle entrate, in Euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

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