Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8811 del 30/04/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 8811 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 11517 — 2009 R.G. proposto da:
Avvocato LUCIANO PISANU — c.f. PSNLCN33D22F981Y — da se medesimo difeso ed
elettivamente domiciliato in Roma, alla via Berengario, n. 7, presso lo studio dell’avvocato
Carlo Fede.
RICORRENTE
contro
LATTI CARMINE — c.f. LTTCMN36T12F981H — elettivamente domiciliato in Cagliari, al
viale Regina Margherita, n. 26, presso lo studio dell’avvocato Francesco Viola che lo
rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso.
CONTRORICORRENTE
e
TRUDU ELIO
INTIMATO
Avverso la sentenza n. 12/2009 della corte d’appello di Cagliari,
1

Data pubblicazione: 30/04/2015

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 5 febbraio 2015 dal consigliere
dott. Luigi Abete,
Udito l’avvocato Luciano Pisanu,
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Lucio Capasso,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 703 c.p.c. al pretore di Cagliari – sezione di Sanluri – depositato in data
5.3.1997 l’avvocato Luciano Pisanu esponeva
che da epoca risalente, in qualità di proprietario, era nel possesso pacifico ed ininterrotto di un
immobile adibito a civile abitazione sito in Nuragus, alla via Roma, n. 44, e confinante, tra
l’altro, con proprietà di Carmine Latti;
che il confine con tal ultima proprietà era costituito da un muro largo cm. 40 e lungo circa m.
8;
che oltre trenta anni prima aveva costruito un’autorimessa ed un magazzino, appoggiandole al
muro di confine, muro in cui aveva infisso le travi portanti della copertura in eternit;
che alla sommità del muro era posta una tettoia, il cui piovente ricadeva nella sua proprietà e,
segnatamente, sulla copertura in eternit dell’autorimessa e del magazzino;
che nel periodo inverno — primavera dell’anno 1996 Carmine Latti e tale Elio Trudu avevano
demolito la preesistente limitrofa costruzione ed il muro di confine e nei mesi di aprile —
maggio dello stesso anno avevano provveduto a riedificare il muro, occupando il sito ove in
precedenza sorgeva per la minore larghezza di cm. 20, per giunta nella porzione di esclusiva
proprietà e di esclusivo possesso di egli ricorrente;
che Carmine Latti ed Elio Trudu sullo muro costruito ex novo avevano aperto una luce, il cui
lato inferiore era posto ad un’altezza di 110 cm. dalla prospiciente tettoia in eternit;

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che ha concluso per il rigetto sia del ricorso principale sia del ricorso incidentale,

che la soglia della luce, costituita da una lastra di marmo, sporgeva nella sua proprietà per
quasi cm. 7;
che, a seguito della riedificazione con una maggiore altezza del muro, le controparti avevano
aggravato la preesistente servitù di scolo, giacché l’acqua cadeva dalla maggiore altezza di

che i comportamenti di parte avversa valevano ad integrare gli estremi dello spoglio e della
turbativa del possesso.
Chiedeva di essere reintegrato nel possesso dei 20 cm. di suolo sottrattigli all’esito della
costruzione ex novo del muro, di far ordine ai resistenti di chiudere l’apertura lucifera, di
rimuovere la lastra di marmo e di eliminare lo spiovente del tetto che aveva cagionato
l’aggravamento della preesistente servitù.
Si costituiva esclusivamente Carmine Latti; instava per il rigetto dell’avversa domanda.
Con ordinanza in data 22.11.1999 il giudice adito faceva ordine al Latti unicamente di
rimuovere la lastra di marmo apposta sulla soglia della luce e di predispone quanto necessario
per convogliare le acque piovane sul proprio fondo.
All’esito della successiva fase a cognizione piena, nel cui corso, tra l’altro, veniva
disposta ed espletata c.t.u., il tribunale di Cagliari – divenuto nelle more competente – con
sentenza n. 9/2007 rigettava ogni domanda nei confronti di Elio Trudu e, respinta ogni
ulteriore istanza nei confronti di Carmine Latti, ne pronunciava condanna “a dotare la
copertura della nuova costruzione di una gronda o di altra struttura idonea a convogliare le
acque meteoriche dal letto di scorrimento del coppo in uno scarico o, in ogni caso, a fare che
esse non precipitino sulla tettoia sottostante del Pisanu da un’altezza non superiore ai cm. 50”
(così ricorso, pag. 7); altresì, compensava nella misura di lA le spese di lite e condannava il

ricorrente a rimborsare a controparte i rimanenti %.
Interponeva appello Luciano Pisanu.
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circa m. 2,10;

Resisteva Carmine Latti.
Non si costituiva e veniva dichiarato contumace Elio Trudu.
Con sentenza n. 12/2009 la corte d’appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza
di prime cure, in ogni altra parte confermata, compensava nella misura dei 3/4 le spese del

nella misura dei % le spese del grado d’appello e condannava l’appellato a rimborsare
all’appellante il residuo ‘A.
Esplicitava la corte distrettuale che “l’appellante non ha chiesto di essere reintegrato nella
situazione di compossesso del muro (…) come esercitato prima della demolizione e della sua
ricostruzione, ma ha domandato, in primo grado, , formulando quindi

conclusioni incompatibili con la fattispecie descritta nel ricorso introduttivo” (così sentenza
d’appello, pag. 8); che “ha manifestato in sostanza l’interesse ad avere a disposizione la parte

di suolo di sua competenza, rispetto all’originario spessore del muro, fattispecie che avrebbe
dovuto tutelare con altra azione, a carattere petitorio” (così sentenza d’appello, pag. 8).
Esplicitava altresì, quanto alla luce, che “essa è stata realizzata secondo le indicazioni
contenute nell’art. 901 cod. civ.” (così sentenza d’appello, pag. 8); quanto allo spiovente, che
il primo giudice aveva fatto proprie le deduzioni dell’appellato, “che (…) aveva fatto presente
(…) di voler installare un canale di gronda per convogliare l’acqua dove originariamente si
incanalava, cioè nella proprietà dell’appellante” (così sentenza d’appello, pag. 8); che in ogni
caso la realizzazione di un muro più alto rispetto a quello originario non valeva ad integrare
gli estremi di un aggravamento della servitù di scolo, “perché, nella sostanza, la quantità
d’acqua convogliata sarà comunque identica” (così sentenza d’appello, pag. 9); che, quanto
alla lastrina, la stessa non valeva a costituire una molestia o turbativa del possesso

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primo grado e condannava l’appellato a rimborsare all’appellante il residuo ‘A; compensava

dell’appellante, “come si deve ritenere dall’esame delle fotografie allegate alla consulenza in
atti” (così sentenza d’appello, pag. 9).
Esplicitava infine, “quanto (…) alla posizione di Elio Trudu (…) che costui, quale mero
esecutore, non potesse avere l’ animus spoliandr (così sentenza d’appello, pag. 9).

scorta di cinque motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di
lite.
Carmine Latti ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale articolato su di
un unico motivo; ha chiesto, in accoglimento del ricorso incidentale, dichiararsi inammissibile
ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del grado di legittimità.
Elio Trudu non ha svolto difese.
Carmine Latti ha depositato in data 4.2.2015 memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente principale deduce “legittimazione passiva di Trudu
Elio. Vizio di omessa motivazione” (così ricorso principale, pag. 21).
Adduce che la legittimazione passiva nelle azioni possessorie compete tanto agli autori
morali quanto agli autori materiali; che Elio Trudu “conosceva la situazione pregressa
dell’immobile del ricorrente (…) e di conseguenza, di essere stato consapevole della
differenza di suolo occupata dal nuovo muro a vantaggio del Latti e a danno dell’avv. Pisanu”
(così ricorso principale, pag. 22); che, dunque, “non si può che affermare la sussistenza
dell’animus spoliandi in capo al Trudu” (così ricorso principale, pag. 22); che “al riguardo è
facile ammettere il difetto assoluto di motivazione poiché l’impugnata statuizione ha omesso
di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento” (così ricorso principale,
pag. 23).

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Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’avvocato Luciano Pisanu; ne ha chiesto sulla

Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce “reintegrazione nel possesso di cm.
20, melius cm. 13, di suolo occupato dai resistenti per demolizione e ricostruzione del muro
comune divisorio. Vizio di contraddittoria e insufficiente e/o omessa motivazione e violazione
degli artt. 1102, 1140 e 1168 c.c.” (così ricorso principale, pag. 23).

cm. 45 del muro preesistente ne hanno, però, occupato solamente cm. 32 (…), godendo, così,
abusivamente di uno spazio vuoto di cm. 13 per tutta la lunghezza del muro, mutando, così, lo
stato di compossesso a proprio ed esclusivo vantaggio con evidente danno del vicino
comproprietario” (così ricorso principale, pag. 24); che la sentenza impugnata, “discostandosi
dai motivi proposti in violazione del principio ex art. 345 c.p.c., non ha in alcun modo tenuto
conto dell’insieme delle circostanze (…) che l’appellante aveva posto a base
dell’impugnazione” (così ricorso principale, pagg. 25 – 26); che comunque, “atteso che non
avrebbe più avuto modo di essere reintegrato nella situazione di compossesso del muro (…)
che, ormai, era stato da controparte distrutto ed eliminato” (così ricorso principale, pag. 26),
“la domanda attrice era stata ben radicata sulla porzione di suolo, di cui si erano impossessati i
convenuti e sulla quale (…) vantava una situazione qualificata di possesso” (così ricorso
principale, pag. 26); che, “in effetti vi è stata da parte del giudice dell’appello un’erronea

ricognizione del merito della fattispecie concreta” (così ricorso principale, pag. 27); che
invero “diversamente da come riporta l’impugnata sentenza, l’azione proposta non può essere
configurabile petitoria poiché questa è da ravvisarsi solo con riguardo a controversie in cui sia
discusso il diritto di proprietà” (così ricorso principale, pag. 27);

che in ogni caso è

indubitabile l’impossibilità da parte sua “di utilizzare (e quindi possedere) il bene come
avrebbe potuto fare prima dello spoglio” (così ricorso principale, pag. 27), “né può dubitarsi
che il muro di confine, il quale divide entità prediali omogenee, come nel caso di cui ci

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Adduce che aveva rappresentato alla corte cagliaritana che “le controparti della traccia di

occupiamo, si presume ex art. 880 c.c., comune ai proprietari limitrofi (…)”(così ricorso
principale, pag. 28).
Con il terzo motivo il ricorrente principale deduce “reintegrazione del ricorrente nel
possesso dell’immobile de quo ordinando la rimozione della lastra di marmo apposta

degli artt. 1140 e 1168 c.c.” (così ricorso principale, pag. 28).
Adduce che “la lastra di marmo (…), della sporgenza di cm. 2,50 nella proprietà Pisanu
(…), costituisce una privazione del possesso che restringe e riduce le facoltà inerenti al
potere” (così ricorso principale, pag. 29) da egli ricorrente esercitato; che “le fotografie
allegate in atti (…) dimostrano inequivocabilmente uno spossessamento, seppure di alcuni
centimetri, dell’immobile del ricorrente” (così ricorso principale, pag. 29).
Con il quarto motivo il ricorrente principale deduce “aggravamento dello stillicidio”
(così ricorso principale, pag. 30).
Adduce “contraddittorietà e insufficienza della motivazione” (così ricorso principale, pag.
30).
Adduce segnatamente che il rilievo del primo giudice, recepito dalla corte di merito —
secondo cui Carmine Latti “aveva fatto presente di non aver terminato l’opera e di voler
installare un canale di gronda per convogliare l’acqua dove originariamente si incanalava,
cioè nella proprietà dell’appellante” (così sentenza d’appello, pag. 8) – riflette una circostanza
che “non corrisponde al vero se si riesamina le risposte del Trudu Elio al suo interrogatorio”
(così ricorso principale, pag. 31); che, “oltretutto è mancata una qualsiasi dimostrazione,
come su progetto, della prevista installazione di simile gronda” (così ricorso principale, pag.
31); che, quanto all’ulteriore affermazione — secondo cui la realizzazione di un muro più alto
rispetto a quello originario non valeva ad integrare gli estremi di un aggravamento della
servitù di scolo — alla corte di merito era sfuggita, nel segno dell’art. 1067 c.c., “la disamina
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nell’apertura luce o ridurla di cm. 2,50. Omessa e/o insufficiente motivazione e violazione

non dell’opera in se stessa che, stando alla differenza di altezza già è indicativa dell’illiceità
attuata, ma delle implicazioni che derivano a carico del fondo assoggettato” (così ricorso
principale, pag. 32); che, invero, è indubitabile “il fatto del maggior sacrificio del fondo
servente che, ricevendo le acque da un’altezza di metri 2,10, invece che da cm. 50, è esposto
ad un altrettanto maggiore pregiudizio dell’erosione delle acque” (così ricorso principale,

Adduce “vizio di ultrapetizione con violazione dell’art. 112 c.p.c. con omessa pronuncia”
(così ricorso principale, pag. 32).
Adduce segnatamente che, allorquando la corte di merito ha disposto, così confermando
la prima decisione, che il Latti dotasse la copertura della nuova costruzione di un canale di
gronda per convogliare l’acqua, ha violato l’art. 112 c.p.c.; che invero in tal senso egli
ricorrente non aveva formulato alcuna richiesta; che viceversa si imponeva la condanna di
Carmine Latti alla distruzione dell’opera atta a rendere più gravosa la servitù e, dunque, atta a
tradursi nella denunciata turbativa del suo possesso.
Adduce “omessa pronuncia per l’omesso dispositivo nella sentenza del Tribunale di
Cagliari — Sezione distaccata di Sanluri del 20.11.200 e violazione degli artt. 132, 156 e 161
c.p.c.” (così ricorso principale, pag. 33).
Adduce segnatamente che, sebbene avesse censurato in sede di gravame le omissioni
inficianti il dispositivo della sentenza di primo grado, “il giudice di appello si è ben guardato
di deliberare al riguardo la giuridica inesistenza ex art.161 c.p.c. e (…) dichiararne la nullità”
(così ricorso principale, pag. 33).
Con il quinto motivo il ricorrente principale deduce “violazione dell’art. 91 c.p.c. nel
governo delle spese processuali” (così ricorso principale, pag. 34).
Adduce che la corte d’appello, nel riformare la regolamentazione delle spese operata dal
primo giudice, “non ha tenuto conto dell’intero andamento del giudizio con fondatezza,
8

pag. 32).

seppur non totale, della domanda avanzata dal ricorrente” (così ricorso principale, pag. 35);
che “in ogni caso è mancata la conoscenza del metodo di liquidazione da entrambi i giudici di
merito” (così ricorso principale, pag. 35).
Con l’unico motivo il ricorrente incidentale deduce “ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione

nel primo giudizio di gravame” (così ricorso incidentale, pag. 5).
Adduce che “le conclusioni formulate dall’avv. Pisanu nell’atto di appello (…) sono
totalmente diverse da quelle proposte nel primo grado del giudizio e sulle quali la causa è
stata tenuta in decisione” (così ricorso incidentale, pag. 5); che al riguardo egli
controricorrente “ha eccepito in limine l’inammissibilità, dichiarando contestualmente di non
accettare il contraddittorio” (così ricorso incidentale, pag. 5); che “la Corte di merito invece,
scordandosi di prendere in esame tale eccezione — di natura assolutamente assorbente (…) — si
è addentrata nell’esame del merito della vicenda, pur pervenendo ad un sostanziale rigetto del
gravame proposto, con riforma parziale solo in ordine alla distribuzione dell’onere delle spese
di lite” (così ricorso incidentale, pag. 5); che “detta omissione (…) è, incontestabilmente,
pregiudizievole (…), posto che una dichiarazione di inammissibilità dell’appello (…) avrebbe
definito la controversia” (così ricorso incidentale, pag. 5).

Si rileva previamente che non è a tenersi conto della memoria ex art. 378 c.p.c. del
controricorrente.
La memoria risulta depositata in data 4.2.1015 ovvero il giorno precedente il dì — 5.2.2014
– dell’udienza di discussione e, dunque, in violazione di quanto dal medesimo art. 378 c.p.c.
prescritto.
Si tenga conto in ogni caso che l’art. 134, 5° co., disp. att. c.p.c., a norma del quale il
deposito del ricorso e del controricorso, nei casi in cui sono spediti a mezzo posta, si hanno
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del disposto di cui all’art. 345 c.p.c. in relazione alle domande nuove proposte dall’appellante

per avvenuti nel giorno della spedizione, non è applicabile per analogia al deposito della
memoria, radicalmente diverse essendo le funzioni delle due attività processuali: l’una (quella
di deposito del ricorso e del controricorso)

sostanzialmente analoga a quella che, nella fase di

merito, è la costituzione delle parti, l’altra (il deposito della memoria) esclusivamente diretta

quel congruo anticipo, rispetto alla udienza di discussione, che il legislatore ha ritenuto
necessario e che l’applicazione del principio dell’art. 134, 5 0 co., disp. att. c.p.c. finirebbe con
il ridurre, se non con l’annullare, con discapito del diritto di difesa; ne consegue
l’inammissibilità della memoria che, benché anteriormente spedita a mezzo del servizio
postale, sia pervenuta nella cancelleria della Corte di Cassazione oltre il termine ultimo di
cinque giorni dalla data dell’udienza di discussione fissato dall’art. 378 c.p.c. (cfr. Cass.
26.7.1997, n. 6996).

Il primo motivo del ricorso principale non merita seguito.
Vero è che questa Corte spiega che sono passivamente legittimati all’azione di
reintegrazione sia l’autore materiale dello spoglio che quello morale, intendendosi per tale il
mandante e colui che ex post abbia utilizzato a proprio vantaggio il risultato dello spoglio,
sostituendo coscientemente il proprio al possesso dello spogliato (cfr. Cass. 6.5.1978, n.
2177). Nondimeno soggiunge che, affinché colui il quale abbia collaborato con l’autore

morale dello spoglio sia passivamente legittimato alla relativa azione nella qualità di
spogliatore in senso tecnico, occorre che stabilisca con la cosa un rapporto materiale che ne
comporti il potere di disposizione, senza di che egli non avrebbe nulla da restituire, onde la
funzione di reintegrazione, propria dell’azione di spoglio, non potrebbe attuarsi nei suoi
confronti (cfr. Cass. 6.5.1978, n. 2177).

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al assicurare al giudice ed alle altre parti la possibilità di prendere cognizione dell’atto con

Su tale scorta si rappresenta che Elio Trudu ha sì riferito nel corso del suo interrogatorio
di aver partecipato personalmente ai lavori di costruzione del muro (05-. ricorso, pagg. 21 e
22); tuttavia per nulla risulta che abbia con la res una relazione tale da cui possa desumersi

Il secondo motivo del ricorso principale è fondato e meritevole di accoglimento nei

termini che seguono.
E’ fuor di dubbio che il muro largo cm. 40 e lungo circa m. 8, che già valeva a segnare il
confine tra la proprietà del ricorrente e la proprietà di Carmine Latti, fosse da ricondurre alla
previsione dell’art. 880 c.c. e, dunque, come tale da presumersi a costoro (di proprietà)
comune.
E’ fuor di dubbio, al contempo, alla stregua dell’insegnamento di questa Corte, che chi
intraprende la ricostruzione di un muro comune e non intende estenderla a tutto lo spessore
del muro stesso, ha l’obbligo di iniziarla dal confine della sua proprietà esclusiva:
diversamente attrarrebbe nella sua sfera di proprietà esclusiva una porzione della cosa comune
in violazione del disposto dell’art. 1102 c.c. (cfr. Cass. 1.4.1993, n. 3923).
E’ fuor di dubbio, inoltre, siccome ha affermato la corte distrettuale, sulla scorta degli esiti
degli accertamenti demandati al c.t.u., che “il muro de quo, originariamente, aveva uno
spessore maggiore rispetto a quello ricostruito dal Latti” (così sentenza d’appello, pag. 7). Più
esattamente, che ha trovato riscontro la prospettazione di parte ricorrente, secondo cui “a
partire dal limite confinario dell’avv. Pisanu” (così ricorso principale, pag. 24) la base del
muro costruito ex novo occupa unicamente cm. 32 dell’originaria traccia del muro
preesistente, sicché Carmine Latti ha attratto alla sua proprietà esclusiva per l’intera
lunghezza del muro la striscia di terreno “inutilizzata” di cm. 13 di larghezza.

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che ne abbia altresì il potere di disposizione.

D’altro canto, è indiscutibilmente vero che Luciano Pisanu ha chiesto, in prime cure, “a)
disporre la reintegrazione del ricorrente nel possesso di cm. 20 di suolo occupato dai resistenti
nella costruzione del muro che divide la proprietà dell’avv. Pisanu Luciano da quell’altra di
Latti Carmine. Ordinando, all’uopo, ai convenuti di arretrare la propria costruzione di cm. 20″

l’appellante nel possesso di cm. 13 del proprio suolo occupato da Latti Carmine e Trudu Elio
nella ricostruzione del muro comune che divide la proprietà dell’attore (…) da quell’altra di
Latti Carmine, ordinando, per l’effetto, agli appellati di arretrare la costruzione di proprietà di
Latti Carmine di cm. 13 secondo la relazione del c.t.u.” (così ricorso principale, pag. 3).
Nondimeno l’avvocato Pisanu di certo ha, nell’originario ricorso, denunciato lo spoglio
sofferto e realizzato in suo danno ed ha, coi motivi d’appello (siccome testualmente riprodotti
nel corpo del ricorso principale a questa Corte, alle pagg. 9 e ss.), non solo prospettato, in
dipendenza del regime di comunione ex art. 880 c.c. del muro divisorio, che “il
comproprietario del muro comune abbattuto arbitrariamente dall’altro comproprietario ha
diritto alla costruzione del manufatto secondo le primitive caratteristiche” (così ricorso
principale, pag. 12), ma ha debitamente soggiunto, sulla scorta della elaborazione di questa
Corte, che “in tema di compossesso fra condomini, come nella fattispecie, la mancata
utilizzazione da parte di uno di essi della cosa — muro non esclude l’ animus spoliandi da parte
del condominio che si impossessi del bene comune trasformando l’utilizzazione uti condomini
con l’uso uti dominus” (così ricorso principale, pag. 13).
Su tale scorta devesi tener conto di quanto segue.
Ovvero, per un verso, che il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del
contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad
uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve,
per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come

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(così ricorso principale, pag. 3). E che, in seconde cure, ha così concluso: “a) reintegrare

desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre
incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale
della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (cfr. Cass.
14.11.2011, n. 23794; Cass. sez. lav. 18.3.2014, n. 6226, secondo cui, in tema di
interpretazione della domanda giudiziale, il giudice non è condizionato dalle formali parole

effettiva, nonché delle finalità che la parte intende perseguire).
Ovvero, per altro verso, che non si ha mutamento di domanda, né vizio di ultrapetizione
quando, chiestasi la reintegrazione nel possesso esclusivo di un immobile, la reintegra venga
poi chiesta o accordata all’attore per essere egli, anziché possessore esclusivo, semplicemente
compossessore, in quanto il fatto costitutivo dell’azione resta in ogni caso il possesso,
mutando solo il profilo giuridico dell’azione, ed in quanto non può ritenersi inibito al giudice,
chiamato ad emettere l’interdetto possessorio, di scorgere, nel sovrano apprezzamento delle
prove, anziché una situazione di possesso solitario, una convergenza di poteri di fatto che si
traducano in un compossesso (cfr. Cass. 25.7.1962, n. 2109; cfr. Cass. 4.3.1972, n. 635,
secondo cui il vizio di extra o ultrapetizione si verifica solo se il giudice attribuisce alla parte
un bene non richiesto o maggiore di quello richiesto, mentre non è ipotizzabile se il giudice
accoglie una domanda, ancorché non espressamente formulata, la quale sia implicitamente e
virtualmente contenuta nella domanda dedotta in giudizio (nella specie è stato ritenuto che
una domanda avente per oggetto la tutela dello spoglio del possesso di un bene ricomprende
in sé anche la tutela di una eventuale situazione di compossesso).
In questo quadro gli assunti della corte di merito, secondo cui l’appellante avrebbe
formulato “conclusioni incompatibili con la fattispecie descritta nel ricorso introduttivo” (così
sentenza d’appello, pag. 8) e secondo cui, conseguentemente, il medesimo appellante “ha
manifestato in sostanza l’interesse ad avere a disposizione la parte di suolo di sua competenza,
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utilizzate dalla parte, ma deve tener conto della situazione dedotta in causa e della volontà

rispetto all’originario spessore del muro, fattispecie che avrebbe dovuto tutelare con altra
azione, a carattere petitorio” (così sentenza d’appello, pag. 8), si risolvono in affermazioni
supportate da motivazione deficitaria ed incongrua (cfr., mutatis mutandis, Cass. 18.4.2006, n.
8953, secondo cui l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove

compresa nel thema decidendum – tale statuizione, ancorché erronea, non può essere
direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una
motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra
quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere
accertato che quella medesima motivazione sia erronea; in tal caso, il dedotto errore del
giudice non si configura come error in procedendo, ma attiene al momento logico relativo
all’accertamento in concreto della volontà della parte, e non a quello inerente a principi
processuali, pertanto detto errore può concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di
un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il
profilo del vizio di motivazione).
In pari tempo, al cospetto di una innegabile violazione del compossesso al ricorrente
spettante sul muro comune, il dictum del secondo giudice si è risolto nella denegata
applicazione al caso di specie della tutela ex art. 1168 c.c. (cfr. Cass. 3.6.1978, n. 2778,
secondo cui, poiché la privazione del compossesso anche di una ridotta striscia di terreno,
sostanziando la violazione della sfera giuridica del compossessore, ne legittima la domanda
di reintegra dello spoglio, la proposizione di tale domanda non può configurare un atto di
emulazione).

Fondato e meritevole di accoglimento nei termini che seguono è altresì il terzo motivo del
ricorso principale.

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questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata – ed era

Il ricorrente principale adduce che, siccome comprovato dagli esiti della c.t.u. e dalle
fotografie all’uopo allegate, la lastra di marmo, che funge da soglia dell’apertura lucifera che
Carmine Latti ha realizzato ex novo nel più alto muro divisorio, sporge per cm. 2,50, così
invadendo seppur per tale minimale misura la proiezione della res oggetto del suo ius

Al cospetto di siffatta prospettazione, l’assunto della corte di merito dapprima riferito (la
“lastrina non pare affatto costituire una molestia o turbativa del possesso dell’avv. Pisanu,
come si deve ritenere dall’esame delle fotografie allegate alla consulenza in atti”: così
sentenza d’appello, pag. 9), analogamente si risolve in un’affermazione supportata da
motivazione sicuramente deficitaria (cfr. Cass. sez. lav. 2.2.2007, n. 2272, secondo cui il
difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il
ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360, 1° co., n.5), c.p.c., è configurabile
soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta
dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero
condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel
complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto
giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento).
Si tenga conto che, nonostante il carattere marginale della menomazione che lo spoliatus
denuncia con l’actio ex art. 1168 c.c., ad alcun vaglio in termini di rilevanza — irrilevanza
della concreta fattispecie il giudice del merito è abilitato, giacché, diversamente, il medesimo
giudice avrebbe facoltà di disapplicare la volontà della legge sulla scorta di una valutazione di
mera opportunità.

Immeritevole di seguito è il quarto motivo del ricorso principale.

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possessionis e così menomando il suo potere di fatto.

In relazione al primo profilo addotto, profilo con cui il ricorrente sostanzialmente sollecita
questa Corte a rivalutare gli esiti istruttori, è sufficiente rimarcare che è propriamente
inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga
censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, 10 co., n. 5) c.p.c., qualora esso

aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova
e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai
possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione
citata; in caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile
istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una
richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle
finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; altresì Cass. sez. lav.
7.6.2005, n. 11789).

In relazione al secondo profilo addotto, profilo con cui il ricorrente ha prefigurato la
violazione dell’art. 112 c.p.c., è sufficiente rimarcare che, denunciato ex art. 1170 c.c.
l’aggravio ex art. 1067, 1° co., c.c. per il fondo servente (l’aggravio invero riveste anche
valenza di turbativa del possesso), la riduzione in pristino, cui è diretta l’azione di

manutenzione, può consistere non già nella mera riproduzione della situazione dei luoghi
modificata o alterata da una determinata condotta, ma nell’esecuzione di un quid novi, non
solo qualora il rifacimento puro e semplice sia inidoneo a realizzare il ripristino dello status
quo ante (cfr. Cass. 23.11.1987, n. 8627), ma pur quando il quid novi sia comunque idoneo

è il caso di specie — ad eliminare la più gravosa — per il fondo servente – condizione di
operatività della servitù cui il proprietario del fondo dominante abbia dato vita.
In relazione al terzo profilo addotto, profilo con cui il ricorrente ha prefigurato il vizio di
omessa pronuncia, è sufficiente rimarcare che la corte di Cagliari ha rigettato il gravame ed, in
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prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali

tal guisa, ha reputato immeritevoli di seguito le doglianze tutte (al di là di quelle afferenti alla
regolamentazione delle spese)

che l’avvocato Luciano Pisanu aveva formulato avverso la

statuizione di prime cure.
E’ da escludere, dunque, che omessa pronuncia vi sia stata.

integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa
statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento
che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; il che non si verifica quando la
decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti il rigetto di tale
pretesa anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (cfr. Cass. 6.4.2000, n.
4317; Cass. 16.5.2012, n. 7653; Cass. 11.4. 1975, n. 1397).

Non merita seguito il quinto motivo del ricorso principale.
E’ sufficiente rimarcare in ogni caso — al di là ossia della cassazione della statuizione di
seconde cure atta a scaturire dall’accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso
principale – che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la
determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le
parti, ai sensi dell’art. 92, 2° co., c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di
merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare
un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del
soccombente (cfr. Cass. 31.1.2014, n. 2149).

Immeritevole di seguito è del pari (l’unico motivo che sorregge) il ricorso incidentale.
E’ sufficiente dar atto che il mero raffronto delle conclusioni rassegnate nell’iniziale
ricorso ex artt. 1168 e 1170 c.c. (siccome riprodotte nel corpo del ricorso a questa Corte di
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In tal guisa questa Corte non può che reiterare il proprio insegnamento, alla cui stregua, ad

legittimità a pag. 3) e delle conclusioni rassegnate nell’atto di gravame (siccome riprodotte
nel corpo del ricorso a questa Corte di legittimità a pag. 17)

vale a dar ragione della loro

sostanziale perfetta coincidenza e, dunque, dell’infondatezza delle censure da Carmine Latti

Alla luce dei rilievi pregressi va quindi accolto unicamente il ricorso principale in
relazione al secondo ed al terzo motivo; conseguentemente la sentenza n. 12/2009 della corte
d’appello di Cagliari va cassata in relazione alle censure accolte con rinvio ad altra sezione
della medesima corte distrettuale, che provvederà altresì alla regolamentazione delle spese del
presente grado di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso principale in relazione e limitatamente al secondo ed al terzo
motivo; respinge gli ulteriori motivi del ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa
la sentenza n. 12/2009 della corte d’appello di Cagliari in relazione e limitatamente alle
censure accolte; rinvia ad altra sezione della medesima corte distrettuale che provvederà
altresì alla regolamentazione delle spese presente grado di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

esperite con l’impugnazione incidentale.

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