Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8811 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/03/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 30/03/2021), n.8811

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 22240 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

L.M., rappresentato e difeso, per procura speciale a

margine del ricorso, dagli Avv.ti Luigi Ferrajoli e Giuseppe

Fischioni, elettivamente domiciliato in Roma, via della Giuliana, n.

32, presso lo studio di quest’ultimo difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso i

cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 21/19/13, depositata in data 28

febbraio 2013;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 16 dicembre

2020 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a L.M., quale amministratore di fatto di Cosmo Service soc. coop. a r.l., relativamente all’anno di imposta 2002, un atto di contestazione per omessa tenuta delle scritture contabili e omesso versamento delle ritenute del personale dipendente, nonchè due avvisi di accertamento per maggiori imposte Irpeg, Iva e Irap nonchè per omesso versamento delle ritenute del personale dipendente; avverso i suddetti atti impositivi il contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Milano; avverso la decisione del giudice di primo grado il contribuente aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello, in particolare, per quanto di interesse, ha ritenuto che il contribuente, nel corso del 2002, per tutto il periodo in cui erano state riscontrate le violazioni, era l’amministratore unico e legale rappresentante della società; anche dopo la cessazione della carica di amministratore della società, il contribuente aveva, di fatto, continuato nella attività e non aveva rilevanza, quale prova contraria, la sentenza penale di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione;

L.M. ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a due motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 87, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 3, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 2, n. 1), del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 23 e 40, nonchè dell’art. 2518 c.c., per avere erroneamente ritenuto che dei debiti tributari della società dovesse rispondere il ricorrente in considerazione della sua qualità di amministratore, anche di fatto;

il motivo è fondato;

la questione di fondo della presente ragione di censura attiene alla verifica se delle obbligazioni tributarie aventi ad oggetto Irpeg, Irap e Iva gravanti su Cosmo Service s.c. a r.l., possa rispondere, oltre che la medesima società, quale autonomo soggetto passivo di imposta, anche il ricorrente in considerazione della qualifica dallo stesso rivestita di amministratore, anche di fatto, della società;

in realtà, in materia di imposte dirette, la responsabilità degli amministratori è prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, ma solo per l’ipotesi di messa in liquidazione della società e realizzazione, da parte degli amministratori, di operazioni di liquidazioni nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione ovvero di occultamento di attività sociali mediante omissione nelle scritture contabili;

si tratta, invero, di una responsabilità per obbligazione propria ex lege avente natura civilistica e non tributaria, non ponendo la norma alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari a carico di tali soggetti, nemmeno allorchè la società sia cancellata dal registro delle imprese (Cass. civ., 20 luglio 2020, n. 15377; Cass. civ., nn. 29969/2019, 17020/2019), il cui presupposto risiede nel compimento di una specifica condotta illecita diretta a sottrarre o occultare il patrimonio sociale, con conseguente depauperamento della garanzia patrimoniale;

quella verso l’amministratore è, in particolare, un credito dell’amministrazione finanziaria non strettamente tributario, ma di natura civilistica, che trova titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria, costituente mero presupposto della responsabilità stessa (Cass., Sez. Un., n. 2767/1989), ancorchè detta responsabilità debba essere accertata dall’Ufficio con atto motivato da notificare ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, avverso il quale è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario del citato D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 36, penultimo comma e u.c. (Cass. civ., n. 7327/2012; Cass. civ., n. 11968/2012);

la previsione normativa in esame, peraltro, è applicabile alle sole imposte sui redditi, dunque non anche all’imposizione sul valore aggiunto o sulle attività produttive (D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 19);

con riferimento al caso di specie, la sentenza censurata ha fatto conseguire dall’accertamento della qualifica del ricorrente quale amministratore, anche in via di fatto, della società la sua responsabilità per le obbligazioni tributarie riconducibili a quest’ultima, sicchè la stessa è in contrasto con i principi sopra espressi, con conseguente vizio di violazione di legge;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 11, e del D.L. n. 269 del 2003, art. 7, per avere ritenuto erroneamente che delle violazioni tributarie dovesse rispondere il ricorrente in considerazione della accertata sua qualifica di amministratore, anche di fatto, della società;

il motivo è fondato;

va osservato, in particolare, che le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 7, (conv. dalla L. n. 326 del 2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest’ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 9, che non può costituire deroga al predetto art. 7, ad esso successivo, che invece prevede l’applicabilità delle disposizioni del D.Lgs. n. 472 del 1997, ma solo in quanto “compatibili” (Cass. civ., 25 ottobre 2017, n. 25284);

è stato, inoltre, precisato che “l’amministratore di fatto di una società alla quale sia riferibile il rapporto fiscale ne risponde direttamente qualora le violazioni siano contestate o le sanzioni irrogate antecedentemente alla data di entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, stante la disposizione di diritto transitorio di cui all’art. 7, comma 2, del menzionato decreto e la disciplina precedentemente vigente dettata dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 2, e art. 11” (Cass. n. 9122 del 23/4/2014);

infine, questa Corte (Cass. civ., 7 novembre 2018, n. 28332) ha precisato che tale orientamento incontra un limite nella artificiosa costituzione ai fini illeciti della società di capitali, potendo allora le sanzioni amministrative tributarie essere irrogate “nei confronti della persona fisica che ha beneficiato materialmente delle violazioni contestate. In tal caso, la persona fisica che ha agito per conto della società è, nel contempo, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera fictio, creata nell’esclusivo interesse della persona fisica. Non opera pertanto il D.L. n. 269 del 2003, art. 7, secondo cui nel caso di rapporti fiscali facenti capo a persone giuridiche le sanzioni possono essere irrogate nei soli confronti dell’ente, in quanto detta norma intende regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente e, in particolare, l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima”;

con riferimento al caso di specie, trova applicazione il D.L. n. 269 del 2003, art. 7, posto che dal ricorso si evince che l’accertamento è derivato da un processo verbale di constatazione redatto nel 2006, sicchè non può configurarsi la responsabilità del ricorrente, quale amministratore o amministratore di fatto della società, a titolo solidale per le sanzioni comminate alla società;

non emerge, infatti, dalla sentenza impugnata che l’Amministrazione abbia dedotto nelle proprie difese la questione della fittizietà della società, che sarebbe stata creata nell’esclusivo interesse del ricorrente, nè tale questione è stata affrontata dai giudici di merito e, pertanto, la sentenza, sul punto, risulta viziata da violazione di legge;

in conclusione, i motivi di ricorso sono fondati, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza censurata e accoglimento del ricorso originario del contribuente; sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite dei giudizi di merito e del presente giudizio, atteso la formazione dell’orientamento giurisprudenziale, in ordine ai limiti di applicazione della previsione di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 7, in data successiva alla proposizione del presente ricorso.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa senza rinvio la sentenza censurata, accogliendo il ricorso originario del contribuente.

Compensa interamente le spese di lite dei giudizi di merito e del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

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