Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8810 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/03/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 30/03/2021), n.8810

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11483/2013 R.G. proposto da:

PUNTOEDILE PENNATI s.r.l. in persona del suo legale rappresentante

pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv.

Marika Bagnato (PEC marika.bagnato.milano.pecavvocati.it) e con

domicilio eletto presso il ridetto difensore in Milano, Largo

Augusto n. 1;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 91/19/12 depositata il 25/10/2012, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

24/11/2020 dal Consigliere Succio Roberto.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza impugnata la CTR ha respinto l’appello della società contribuente e quindi confermato la pronuncia di primo grado, che aveva parzialmente accolto il ricorso annullando in parte l’atto impugnato, avviso di accertamento per IRES, IRAP ed IVA 2006;

– ricorre a questa Corte la società contribuente con atto affidato a un unico motivo; l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il solo motivo di ricorso della contribuente denuncia dapprima l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la CTR completamente in primo luogo del tutto ignorata la circostanza relativa all’omessa considerazione da parte dell’Ufficio dei costi indiretti di trasporto e imballaggio sostenuti dalla società, diversi da quelli espressamente indicati nelle fatture di trasporto;

– il motivo è inammissibile, in quanto difettoso sul piano dell’autosufficienza dei motivi di ricorso in cassazione; parte ricorrente non trascrive in atto nè indica il locus processuale nel quale i fatti la trattazione dei quali assume omessa sarebbero stati proposti in primo grado e poi ribaditi in grado di appello (a pag. 6 del ricorso ci si limita a riportare stralci di quanto affermato dall’Ufficio, dai quali peraltro emerge che si è tenuto conto dei costi di trasporto e d’imballaggio indicati nelle fatture e alle pagine 13-14 si menziona la produzione di un’unica fattura, nonchè una memoria illustrativa, della quale non si riporta il contenuto, se non in sintesi estrema e insufficiente); pertanto questa Corte non è posta in grado di verificarne l’effettiva, adeguata tempestiva proposizione;

– il motivo è poi carente sul piano della specificità, poichè, trattandosi di accertamento di tipo analitico – induttivo (come riferisce la sentenza impugnata, citando l’atto di appello del contribuente a pag. 3, nelle prime righe), secondo questa Corte (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5079 del 28/02/2017; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9888 del 19/04/2017; Sez. 5, Ordinanza n. 22868 del 29/09/2017; Sez. 5, Ordinanza n. 31024 del 28/12/2017) l’accertamento di maggiori ricavi derivanti da un’attività di impresa non comporta l’automatico e forfettario riconoscimento degli elementi negativi del reddito, incombendo sul contribuente l’onere di provare la certezza dei costi e la loro inerenza all’attività, e prima, di allegarli specificamente;

– ne deriva che comunque il motivo è privo anche di fondamento; questa Corte ancora di recente ha ulteriormente confermato come (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 30366 del 21/11/2019) in tema di imposte sui redditi delle società l’onere di provare e documentare l’imponibile maturato e dunque l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto d’impresa, grava sul contribuente;

– non solo: si è anche precisato come (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18401 del 12/07/2018) l’abrogazione, ad opera del D.P.R. n. 917 del 1996, art. 5, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 6, che impediva la deduzione dei costi non regolarmente registrati nelle scritture contabili, non ne determina l’automatica deducibilità, dovendo l’imprenditore dimostrare di averli effettivamente sostenuti. Tale prova, tuttavia, non può essere fornita, ad esempio, esclusivamente mediante le annotazioni del libro giornale, in quanto le stesse, per un verso, non fanno fede della veridicità dei dati in esso esposti e, per un altro, non costituiscono prova a favore dell’imprenditore ai sensi dell’art. 2709 c.c.;

– orbene, nel presente caso i costi dei quali il contribuente lamenta il mancato riconoscimento, sono unicamente dedotti come sostenuti;

essi sono indicati da questi stesso come non presenti nelle fatture passive e pertanto era onere del contribuente dimostrare e dedurre di aver fornito nel corso del processo documentazione anche extracontabile idonea (specie in forza del precedente appena citato) a dar prova della loro esistenza, quantificazione, inerenza e quant’altro; il che non è avvenuto;

– inoltre, nel medesimo unico motivo di ricorso, la ricorrente denuncia anche l’omesso esame di altro fatto decisivo, consistente nel mancato esame e nella mancata applicazione delle metodologie di controllo indicate dal sito dell’Agenzia delle Entrate per la determinazione delle percentuali di ricarico;

– pure questo profilo del motivo è sia inammissibile, sia privo di fondamento;

– l’inammissibilità deriva dal fatto, dichiarato dalla stessa parte ricorrente in ricorso a pag. 14 penultima riga del proprio atto, che la questione risulta, a leggere il ricorso, posta unicamente in appello; non risultando neppure qui trascritto il ricorso di fronte alla CTP, deve ritenersi l’articolazione del motivo sprovvista di autosufficienza non potendo la Corte verificare la tempestiva proposizione della questione in sede di ricorso di fronte al giudice di primo grado;

– in ogni caso l’esame del motivo ne disvela la sua infondatezza;

– questa Corte ha espresso un orientamento ormai consolidato nel ritenere (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21154 del 06/08/2008) che di fronte alle norme tributarie l’Amministrazione Finanziaria ed il contribuente si trovano su un piano di parità, per cui la c.d. “interpretazione ministeriale”, sia essa contenuta in circolari o in risoluzioni, non vincola nè i contribuenti, nè i giudici, nè costituisce fonte di diritto. Gli atti ministeriali medesimi, quindi, possono dettare agli uffici subordinati criteri di comportamento nella concreta applicazione di norme di legge, ma non possono imporre ai contribuenti nessun adempimento previsto dalla legge nè, soprattutto, attribuire all’inadempimento del contribuente alle prescrizioni di una “risoluzione” un effetto non previsto da una norma di legge;

– venendo poi al profilo specifico denunciato, riferito all’asserita efficacia vincolante di circolari come quella presa in esame nel motivo in sede di comportamenti e valutazioni da adottarsi da parte dei verificatori, questa Corte che pure chiarito (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6185 del 10/03/2017) come le istruzioni impartite dall’Agenzia delle entrate con circolare operino nei confronti dei verificatori in fase accertativa, ma non possano influenzare il giudizio sulla legittimità dell’accertamento compiuto, salva ovviamente al più – ove ne sussistano le condizioni – la responsabilità degli stessi in sede disciplinare;

– in definitiva, il motivo si traduce in una censura d’insufficienza della motivazione, inibita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al regime del quale l’impugnazione della sentenza era soggetta ratione temporis, e comunque infondata;

– conclusivamente, il ricorso va rigettato;

– la soccombenza regola le spese;

– sussistono i presupposti processuali per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato per atti giudiziari.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 10.000,00 per compensi oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

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