Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8808 del 30/04/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 8808 Anno 2015
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso n. 29148 — 2008 R.G. proposto da:
ALBANESE ANGELO — c.f. LBNNGL43M10C421F — ALBANESE DANIELE — c.f.
LBNDNL49H17L331D – rappresentati e difesi in virtù di procura speciale a margine del
ricorso dall’avvocato Bartolo Bellet ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via Lucullo, n.
3, presso lo studio dell’avvocato Nicola Adragna.
RICORRENTI
contro
MICCICHE’ VINCENZO — c.f. MCCVCN18P03C421R – MICCICHE’ SALVATORE — c.f.
MCCSVT23E01C421Y – rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in calce al
controricorso dall’avvocato Antonella Palamara ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via
Montezebio, n. 43, presso lo studio avvocato Giovanni Nervi.
CONTRORICORRENTI
e

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Data pubblicazione: 30/04/2015

MICCICHE’ LUCIA — c.f. MCCLCU38A61E421S — MICCICHE’ GIUSEPPE — c.f.
MCCGPP34E05E421R – rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in calce al
controricorso dall’avvocato Nicola Messina ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via S.
Tommaso d’Aquino, n. 116, presso lo studio dell’avvocato Stefano Fiorelli.
CONTRORICORRENTI

MICCICHE’ SARAH — c.f. MCCSRA71D48G273U — MICCICHE’ DAVID — c.f.
MCCDVD73A13G273R — MICCICHE’ LUCIA — c.f. MCCLCU38A61C421S

(quest’ultima già controricorrente; tutti quali unici eredi di MICCICHE’ ELENA — cf
MCCLNE20E51C4210 — deceduta in Cefalù il 14.5.2009), rappresentati e difesi in virtù di
procura speciale in calce alla memoria in data 4.6.2014 dall’avvocato Francesca Guccione ed
elettivamente domiciliati in Roma, alla via S. Tommaso d’Aquino, n. 116, presso lo studio
dell’avvocato Stefano Fiorelli.
CONTRORICORRENTI
e
MARTINO ANGELO, MARTINO MARIA CARLA, MICCICHE’ MARIA PIA.
INTIMATI
sul ricorso n. 30088 — 2008 R.G. proposto da:
MICCICHE’ SARAH — c.f. MCCSRA71D48G273U — MICCICHE’ DAVID — c.f.
MCCDVD73A13G273R — MICCICHE’ LUCIA — c.f. MCCLCU38A61C421S – (tutti quali
unici eredi di MICCICHE’ ELENA — cf MCCLNE20E51C4210 — deceduta a Cefalù il
14.5.2009), rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in calce alla memoria in data
4.6.2014 dall’avvocato Francesca Guccione ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via S.
Tommaso d’Aquino, n. 116, presso lo studio dell’avvocato Stefano Fiorelli.
RICORRENTI
2

e

contro
ALBANESE ANGELO — c.f. LBNNGL43M10C421F — ALBANESE DANIELE — c.f.
LBNDNL49H17L331D – rappresentati e difesi in virtù di procura speciale a margine del
controricorso dall’avvocato Bartolo Bellet ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via
Lucullo, n. 3, presso lo studio dell’avvocato Nicola Adragna.

e
MARTINO ANGELO, MARTINO MARIA CARLA, MICCICHE’ VINCENZO,
MICCICHE’ GIUSEPPE, MICCICHE’ LUCIA, MICCICHE’ SALVATORE, MICCICHE’
MARIA PIA.
INTIMATI
Entrambi avverso la sentenza n. 969 dei 13.7/25.10.2007 della corte d’appello di Palermo,
Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 22 gennaio 2015 dal consigliere
dott. Luigi Abete,
Udito l’avvocato Nicola Adragna, per delega dell’avvocato Bartolo Bellet, per Angelo e
Daniele Albanese,
Udito l’avvocato Giovanni Nervi, per delega dell’avvocato Antonella Palarnara, per Vincenzo
e Salvatore Miccichè,
Udito l’avvocato Stefano Fiorelli, per delega dell’avvocato Nicola Messina, per Lucia e
Giuseppe Miccichè, e, per delega dell’avvocato Francesca Guccione, per Sarah, David e
Lucia Miccichè,
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Pierfelice
Pratis, che ha concluso, limitatamente al ricorso iscritto n. 29148/2008 R.G., per il rigetto;
limitatamente al ricorso iscritto al n. 30088/2008 R.G., per la declaratoria di estinzione del

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CONTRORICORRENTI

procedimento per intervenuta rinuncia, in subordine, per la declaratoria della cessazione della
materia del contendere per carenza d’interesse,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato in data 24.7/9.8.1986 Angelo e Daniele Albanese, figli ed unici eredi
di Teresa Miccichè, deceduta ab intestato in Palermo il 3.4.1985, citavano a comparire

Martino, Elena Miccichè, Maria Pia Miccichè vedova Randisi, Lucia Miccichè in Lucentini,
Vincenzo Miccichè, Giuseppe Miccichè, Salvatore Micciché nonché la nonna materna,
Eleonora Miceli, vedova Miccichè.
Esponevano che in data 23.12.1946 era deceduto ab intestato in Cefalù il nonno materno,
Angelo Miccichè; che il de cuius aveva a sé lasciato quali eredi i figli Fortunata, Elena, Maria
Pia, Lucia, Vincenzo, Giuseppe, Salvatore e Teresa nonché, per i diritti uxori, il coniuge,
Eleonora Miceli.
Chiedevano che l’adito giudice attendesse allo scioglimento della comunione concernente
l’eredità di Angelo Miccichè, con devoluzione ad essi attori della quota di 1/8 di spettanza
della loro comune genitrice.
Si costituivano i convenuti.
Deducevano che antecedentemente all’introduzione del giudizio Vincenzo e Giuseppe
Miccichè avevano citato a comparire innanzi al tribunale di Termini Imerese gli eredi tutti di
Angelo Miccichè, perché l’adito tribunale acclarasse e dichiarasse che essi Vincenzo e
Giuseppe Miccichè avevano usucapito taluni cespiti ricompresi nell’asse ereditario; che il
tribunale di Termini Imerese aveva accolto la domanda con sentenza n. 57/1986, avverso la
quale Angelo e Daniele Albanese avevano interposto gravame; che, inoltre, giusta scrittura
privata in data 5.9.1966, gli eredi tutti di Angelo Miccichè e, dunque, pur la madre degli attori
avevano provveduto amichevolmente alla divisione dell’eredità, attribuendosi i beni in tal
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innanzi al tribunale di Termini Imerese i germani della madre, ovvero Fortunata Miccichè in

guisa divisi ed immettendosi, ciascuno, nel possesso dei cespiti ricevuti in assegnazione,
possesso che si era protratto pacificamente ed ininterrottamente, sicché ciascuno ne aveva
usucapito la proprietà.
Chiedevano, preliminarmente, sospendere il giudizio in attesa della definizione
dell’appello esperito avverso la sentenza n. 57/1986, in ogni caso dichiarare improcedibili le

usucapione da parte di ciascun coerede dei cespiti assegnatigli e posseduti in via esclusiva.
Disposta con ordinanza assunta all’udienza del 10.10.1995 la sospensione del giudizio
introdotto da Angelo e Daniele Albanese con l’atto di citazione notificato in data
24.7/9.8.1986, con sentenza n. 403/1994, confermata da questa Corte di legittimità, la corte
d’appello di Palermo riformava integralmente la sentenza n. 57/1986 del tribunale di Termini
Imerese, così disconoscendo l’acquisto per usucapione che Vincenzo e Giuseppe Miccichè
avevano asserito d’aver per loro conto operato.
Cessata dunque la causa di sospensione, con ricorso depositato in data 1.7.1998 Angelo e
Daniele Albanese instavano per la riassunzione.
Indi, nel prosieguo del giudizio, con sentenza non definitiva dei 11.3/21.6.2002 il
tribunale di Termini Imerese disconosceva la pretesa asserita estinzione del processo e
dichiarava radicalmente nulla la scrittura in data 5.9.1966, disponendo con separata ordinanza
per l’ulteriore corso istruttorio.
In particolare il tribunale di Termini Imerese, con l’anzidetta statuizione non definitiva,
rilevava che la scrittura del 5.9.1996 “conteneva anche una premessa immediatamente
anteposta alla formazione delle quote, consistente in una duplice serie di rinunce a diritti
ereditari” (così sentenza d’appello, pagg. 12

13); che “le rinunzie erano indiscutibilmente

nulle, in primo luogo per il mancato rispetto delle formalità solenni prescritte dall’art. 519
cod. civ., (…) e soprattutto perché parziali, in espressa violazione all’esplicito divieto sancito,
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domande degli attori ed, in via riconvenzionale, dichiarare l’intervenuto acquisto per

a pena di nullità, dall’art. 520 cod. civ.” (così sentenza d’appello, pag. 13); che, “essendo
nulle le rinunzie e le relative accettazioni, ne sarebbe rimasta travolta in ogni sua componente
la divisione stessa, che su di esse si fondava” (così sentenza d’appello, pag. 13).
Avverso la sentenza non definitiva dei 11.3/21.6.2002 proponeva appello Fortunata
Miccichè; si costituivano altresì Vincenzo, Giuseppe e Lucia Miccichè, aderendo alle

incidentale relativamente al capo della sentenza di prime cure che aveva disatteso l’eccezione
di estinzione del giudizio.
Resistevano Angelo e Daniele Albanese, chiedendo la conferma della statuizione non
definitiva dei 11.3/21.6.2002.
A seguito del decesso di Fortunata Miccichè si costituivano i di lei figli Angelo e Maria
Carla Martino.
Non si costituivano e venivano dichiarati contumaci Elena Miccichè, Salvatore Miccichè e
Maria Pia Miccichè.
Con sentenza n. 969 dei 13.7/25.10.2007 la corte d’appello di Palermo, in parziale riforma
della statuizione non definitiva dei 11.3/21.6.2002 del tribunale di Termini Imerese, così
stabiliva: “rigetta la domanda di divisione formulata da Albanese Angelo e Albanese Daniele
per lo scioglimento dell’eredità relitta da Miccichè Angelo, deceduto il 23 dicembre 1946, e
dichiara che la comunione sull’eredità anzidetta si è sciolta per effetto della scrittura privata in
data 5.9.1966, sottoscritta da Miccichè Fortunata, Miccichè Vincenzo, Miccichè Elena,
Miccichè Salvatore, Miccichè Teresa, Miccichè Maria Pia ved. Randisi, Miccichè Giuseppe e
Miccichè Lucia in Lucentini. Conferma nel resto la sentenza impugnata e condanna gli
appellati Albanese (…), in solido al pagamento delle spese del giudizio di appello (…)” (così
sentenza d’appello, pag. 28).

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doglianze dell’appellante principale; Giuseppe e Lucia Miccichè, inoltre, spiegavano appello

In ordine all’appello incidentale esperito da Giuseppe e Lucia Miccichè e concernente il
rigetto dell’eccezione preliminare di estinzione del giudizio, eccezione correlata all’asserita
tardiva notificazione a Vincenzo Miccichè dell’atto di riassunzione del giudizio dell’1.7.1998,
il giudice del gravame evidenziava che rivestiva rilievo concludente la “considerazione che la
notificazione dell’atto di riassunzione (…) venne correttamente eseguita nel termine stabilito

con procura conferitagli a margine del ricorso per sequestro giudiziario” (così sentenza
d’appello, pag. 16); che il “professionista, infatti, risultava investito della difesa del Miccichè
Vincenzo anche , sicché tanto il mandato che la
conseguente elezione di domicilio dovevano ritenersi estesi al giudizio di merito” (così
sentenza d’appello, pag. 16).
In ordine all’appello principale esperito da Fortunata Miccichè il giudice del gravame
evidenziava che, quantunque l’estensore della scrittura in data 5.9.1966 avesse impiegato il
termine “rinunzia”, l’ipotesi della rinuncia all’eredità “è del tutto estranea alla presente
fattispecie, laddove è per converso configurabile un esempio scolastico di accettazione
dell’eredità per facta concludentia: subito dopo il decesso del genitore, avvenuto nel 1946, i
germani Miccichè divisero di fatto tra loro i beni da questi relitti, con scrittura privata che, se
non poteva avere effetti giuridici ai fini della divisione de jure, essendo due di essi, Giuseppe
e Lucia, ancora minorenni, costituì tuttavia la base per una situazione di fatto protrattasi per
circa vent’anni, alla quale aderirono, dopo il compimento della maggiore età, anche gli
anzidetti Giuseppe e Lucia” (così sentenza d’appello, pag. 21); che “peraltro, (…) anche a
voler ritenere che i condividenti non fossero stati eredi, lo sarebbero comunque diventati in
forza della disposizione di cui all’art. 478 cod. civ., secondo cui la rinunzia in favore di alcuni
soltanto dei chiamati importa accettazione dell’eredità” (così sentenza d’appello, pagg. 21 —
22); che, “se rinunzia vi era stata, questa non poteva allora che riferirsi ai singoli beni ed ai
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dalla legge al procuratore del Miccichè Vincenzo (…), ancorché lo stesso fosse stato officiato

singoli diritti che costituivano il complesso dei rapporti inerenti il compendio ereditario” (così
sentenza d’appello, pag. 23); che infatti “nella stragrande maggioranza degli atti di divisione è
configurabile a carico di ciascuno dei condividenti una rinunzia a propri diritti o a determinate
posizioni, ma siffatta rinunzia, connaturale allo stesso atto di divisione è in re ipsa, e perciò
non assume una autonoma connotazione, seguita dall’esigenza di configurare un diverso

“del resto non è possibile operare una divisione (…), senza che alcuno dei condividenti debba
rinunziare a qualcosa, anche sotto il semplice profilo qualitativo” (così sentenza d’appello,
pag. 24); che “fondata appare, pertanto, la tesi (…) secondo cui la scrittura privata di
divisione del 5.9.1966 debba essere inquadrata nella fattispecie della cd. transazione
divisoria” (così sentenza d’appello, pag. 25); che, in dipendenza del rigetto della domanda di
divisione formulata da Angelo e Daniele Albanese, si imponeva lo scioglimento della
comunione ereditaria alla stregua della scrittura in data 5.9.1966 e, quindi, “l’effetto che
ciascuno degli otto eredi del de cuius Miccichè Angelo debba essere riconosciuto titolare della
quota a lui assegnata” (così sentenza d’appello, pag. 26).
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso Angelo e Daniele Albanese; ne hanno
chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in
ordine alle spese di lite.
Giuseppe e Lucia Miccichè hanno depositato controricorso; hanno chiesto rigettarsi
l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.
Vincenzo e Salvatore Miccichè hanno depositato controricorso; del pari hanno chiesto
rigettarsi l’avverso ricorso con condanna dei ricorrenti al risarcimento dei danni ex art. 96
c.p.c. e con il favore delle spese del giudizio di legittimità.
Gli intimati Angelo e Maria Carla Martino, Elena e Maria Pia Miccichè non hanno svolto
difese.
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negozio collegato a quello di effettiva disposizione” (così sentenza d’appello, pag. 23); che

Avverso la sentenza n. 969/2007 della corte d’appello di Palermo ha proposto separato
ricorso Elena Miccichè; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni
susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.
Angelo e Daniele Albanese hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi
inammissibile e, comunque, rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio

Gli intimati Angelo e Maria Carla Martino, Vincenzo, Giuseppe, Lucia, Salvatore e Maria
Pia Miccichè non hanno svolto difese.
Con memoria in data 4.6.2014 si sono costituiti (sia nel procedimento scaturito dal
ricorso iscritto al n. 29148/2008 R.G. sia nel procedimento scaturito dal ricorso iscritto al n.
30088/2008 R. G.) Sarah Miccichè, Lucia Miccichè e David Miccichè, quali unici eredi di
Elena Miccichè, deceduta in data 14.5.2009.
I medesimi Sarah, Lucia e David Miccichè hanno dichiarato di rinunciare ex art. 390 c.p.c.
al ricorso a questa Corte esperito dalla loro dante causa.
Lucia e Giuseppe Miccichè hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Angelo e Daniele Albanese del pari hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti Angelo e Daniele Albanese deducono “violazione e falsa
applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, c. 1°, n. 4, c.p.c.; omessa pronuncia
sulla eccezione di nullità sollevata dai già appellati ed oggi ricorrenti, Angelo e Daniele
Albanese, in relazione alla divisione stipulata tra i coeredi mediante scrittura privata del 5
settembre 1966, perché recante donazioni da parte delle cinque sorelle Fortunata, Teresa,
Elena, Maria Pia e Lucia Miccichè, in favore dei fratelli Vincenzo e Giuseppe Miccichè” (così
ricorso iscritto al n. 29148/2008 R.G., pag. 11).

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di legittimità.

Adducono che nel costituirsi nel giudizio d’appello avevano con la comparsa di risposta
espressamente prefigurato – siccome avevano già prospettato in prime cure – la radicale nullità
della scrittura in data 5.9.1966 sia per i vizi rilevati e dichiarati dal primo giudice sia perché
mercé la medesima scrittura risultavano compiuti atti di donazione in evidente spregio
dell’onere della forma pubblica; che tal specifica ragione di nullità dalla corte di merito “non

ricorso iscritto al n. 29148/2008 R. G., pag. 18);

che, invero, “emerge (…) dall’intera

motivazione della decisione (…) che la Corte ha limitato il proprio esame ai profili di nullità
rilevati d’ufficio dal Tribunale in relazione alle rinunzie espresse da taluni dei coeredi in seno
alla scrittura divisoria” (così ricorso iscritto al n. 29148/2008 R.G., pag. 17).
Con il secondo motivo i ricorrenti Angelo e Daniele Albanese deducono “violazione e
falsa applicazione degli artt. 782, 1325 n. 4, 1418, 1419, 1420, 1421 cod. civ. in relazione
all’art. 360, c. 1°, n. 3, c.p.c.; accoglimento della domanda riconvenzionale avente ad oggetto
la pronuncia di inefficacia della scrittura di divisione ereditaria, nonostante la stessa fosse
inficiata da nullità rilevabile d’ufficio” (così ricorso iscritto al n. 29148/2008 R.G., pagg. 18 19).

Adducono che “la Corte d’Appello (…) non avrebbe potuto mancare di rilevare che la
pretesa divisione discendeva dall’avere taluni dei coeredi disposto, in favore di alcuni altri di
loro, contestualmente accettanti, dei propri diritti ad un terzo dell’intero asse ereditario, che ne
veniva di conseguenza ridotto e quindi diviso per tale parte residua: cioè da un atto di
liberalità per il quale sarebbe occorsa la forma solenne del rogito notarile (se non altro perché
avente ad oggetto anche immobili), in concreto non adottata, con l’effetto di rendere
interamente ed irreparabilmente nulla la convenzione intercorsa tra le parti” (così ricorso
iscritto al n. 29148/2008 R. G., pagg. 19

20).

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è stata in alcun modo esaminata, neanche per essere respinta, neppure implicitamente” (così

Con il terzo motivo i ricorrenti Angelo e Daniele Albanese deducono “violazione e falsa
applicazione degli artt. 782, 1325, n. 4, 1362, 1363, 1418, 1419, 1420, 1421 cod. civ. in
relazione all’art. 360, c. 1°, n. 3, c.p.c.; violazione e falsa applicazione delle norme di diritto
concernenti la interpretazione, gli effetti, la validità, l’efficacia e la forma dei contratti, tra
questi segnatamente la donazione, nonché violazione e falsa applicazione delle norme in tema

n. 29148/2008 RG., pag. 20).

Adducono che “la rinuncia operata dalle cinque sorelle in favore di due soltanto degli altri
tre fratelli coeredi comportò per i beneficiari un vantaggio patrimoniale che (…) costituì (…)
l’effetto diretto dell’accettazione di tale rinuncia, contestualmente ed espressamente
manifestata dai medesimi beneficiari” (così ricorso iscritto al n. 29148/2008 R.G., pagg. 27

28); che “un negozio del genere null’altro è se non una donazione diretta” (così ricorso
iscritto al n. 29148/2008 R.G., pag. 28), “cioè un negozio soggetto ai requisiti di forma

prescritti dall’art. 782 cod. civ., in quanto non solo di non modico (…) valore (un terzo
dell’intero asse), ma pure perché avente ad oggetto quote di proprietà immobiliare” (così
ricorso iscritto al n. 29148/2008 R.G., pag. 29); che “la nullità della pattuita donazione,

peraltro, aveva avuto ed ha nel contempo l’effetto di travolgere la convenzione divisoria non
solo quanto al trasferimento ai condividenti Vincenzo e Giuseppe della terza parte dell’eredità
spettante alle sorelle Fortuna, Lucia, Teresa, Maria Pia ed Elena, ma anche nella sua interezza,
perché proprio sulla base di tale previo trasferimento si procedette poi alla divisione dell’asse
ereditario” (così ricorso iscritto al n. 29148/2008 R.G., pagg. 30 31); che “non è per nulla

vero, infatti e perciò, che la divisione avrebbe comunque avuto ed avrebbe una sua autonomia
rispetto all’atto di cessione gratuita da taluni ad altri coeredi” (così ricorso iscritto al n.
29148/2008 R.G., pag. 31); che “nella specie (…) si è in presenza, piuttosto che di negozi

collegati, di un unico complesso negozio” (così ricorso iscritto al n. 29148/2008 R. G., pag.
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di contratti plurilaterali e dei principi in materia di contratti collegati” (così ricorso iscritto al

33); che “siffatta conclusione non consente di ricondurre la fattispecie all’ipotesi contemplata
dall’art. 1419 cod. civ., poiché l’atto di liberalità compiuto dalle cinque sorelle in favore dei
fratelli Vincenzo e Giuseppe (…), non rappresentò un negozio collaterale, autonomo e
distinto rispetto alla divisione, ma costituì (…) la base stessa ed il presupposto di tale
divisione” (così ricorso iscritto al n. 29148/2008 R. G., pag. 36); che “in ogni caso (…)

del negozio (…) perché (…) appare (…) indiscutibile che le parti non sarebbero addivenute
alla divisione poi in concreto attuata senza la previa cessione gratuita dei diritti ad un terzo
dell’intera eredità” (così ricorso iscritto al n. 29148/2008 R. G., pag. 36).
Con il quarto motivo i ricorrenti Angelo e Daniele Albanese deducono “violazione e falsa
applicazione degli artt. 1965, 2697, 2727, 2729 cod. civ., 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, c.
1 0 , n. 3 e n. 4, c.p.c.; violazione e falsa applicazione delle norme di diritto concernenti i
principi in tema di prova e di limiti della domanda” (così ricorso iscritto al n. 29148/2008
R.G., pag. 38).

Adducono che con l’inquadramento della fattispecie nella cosiddetta transazione divisoria
“la Corte territoriale ha anzitutto introdotto in giudizio una questione non sollevata nel grado
precedente, come tale assolutamente inammissibile” (così ricorso iscritto al n. 29148/2008
R.G., pag. 39); che “la conclusione cui è giunto il Giudice d’appello è peraltro in ogni caso

palesemente non corretta sub specie juris” (così ricorso iscritto al n. 29148/2008 R. G., pag.
39); che “basta leggere la (…) scrittura del 5 settembre 1966 (…) per rendersi conto che, a

fronte delle dichiarate dalle cinque sorelle coeredi, accettate dai due fratelli
beneficiati e da ciascuno di questi in proporzione diversa, di nessuna concessione in favore
delle prime sia fatta menzione, né si comprende quale avrebbe potuto essere l’oggetto
dell’ipotetica lite, della quale, del resto, nemmeno è fatto cenno” (così ricorso iscritto al n.
29148/2008 R. G., pag. 40).

12

resterebbero inapplicabili i principi stabiliti dalla citata disposizione in tema di conservazione

Con l’ unico motivo Elena Miccichè deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 83,
ult. co., 297 e 307, 3° co., c.p.c. e 125, ult. co ., disp. att. c.p.c..
******
Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione del ricorso iscritto al

proposti avverso la medesima sentenza.

Va del pari preliminarmente dato atto della rituale costituzione di Sarah Miccichè, di
David Miccichè e di Lucia Miccichè (quest’ultima già controricorrente nel procedimento
scaturito dal ricorso iscritto al n. 29148/2009 R.G.), quali unici eredi di Elena Miccichè,
deceduta in Cefalù in data 14.5.2009.
Al riguardo riveste valenza l’insegnamento di questa Corte.
Ovvero l’insegnamento secondo cui nel caso di morte della parte durante il giudizio di
legittimità, avvenuta dopo la sua costituzione in giudizio mediante deposito del ricorso o del
controricorso, il successore ha facoltà di intervenire nel giudizio, con un atto avente natura
sostanziale di atto di intervento (nel quale può essere rilasciata la procura a difensore iscritto
nell’albo speciale) che deve essere notificato alla controparte, in vista dell’assicurazione del
contraddittorio sulla nuova manifesta legittimazione, non potendo l’intervento detto aver
luogo con il mero deposito di un atto nella cancelleria della Suprema Corte e stante l’esigenza
di assicurare a tale atto una forma simile a quella del ricorso e del controricorso (cfr. Cass.
31.3.2011, n. 7441; cfr. anche cfr. Cass. sez. un. 22.4.2013, n. 9692).
E secondo cui, ulteriormente, la nullità derivante dall’omissione della notificazione è
sanata se le controparti costituite accettino il contraddittorio senza eccezioni (cfr. Cass.
31.3.2011, n. 7441; cfr. anche cfr. Cass. sez. un. 22.4.2013, n. 9692).
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n. 30088/2008 R.G. al ricorso iscritto al n. 29148/2008 R.G., ricorsi invero separatamente

Su tale scorta rilevasi, in ogni caso, che segnatamente Angelo e Daniele Albanese non
hanno formulato contestazioni di sorta, in tal guisa accettando il contraddittorio.
In particolare nulla hanno eccepito in proposito né nella memoria ex art. 378 c.p.c.
depositata in data 16.1.2015 né nel corso dell’udienza di discussione.

unici eredi di Elena Miccichè, hanno dichiarato di rinunciare ex art. 390 c.p.c. al ricorso a
questa Corte proposto dalla loro dante causa.
Non si ha, a rigore, riscontro della piena ritualità della rinuncia anzidetta.
Pur tuttavia nulla osta alla declaratoria di inammissibilità del ricorso n. 30088/2008 R.G..
La rinuncia, invero, costituisce indice sufficiente ed inequivocabile della sopravvenuta
carenza di interesse di Sarah, David e Lucia Miccichè a conseguire qualsivoglia statuizione da
parte di questa Corte in ordine al merito del ricorso n. 30088 — 2008 R.G. (cfr. Cass. sez. un.
18.5.2000, n. 368, secondo cui, quando nel corso del giudizio di legittimità intervenga una
transazione od altro fatto che determini la cessazione della materia del contendere, il ricorso
deve essere dichiarato inammissibile, essendo venuto meno l’interesse alla definizione del
giudizio e, quindi, ad una pronuncia sul merito dell’impugnazione).

11 primo motivo del ricorso principale non merita seguito
Va ribadito che la ragione di censura de qua agitur risulta espressamente ed univocamente
formulata ed ancorata alla previsione del n. 4) del 10 co. dell’art. 360 c.p.c..
Su tale scorta si rimarca che la corte di Palermo ha rigettato il gravame.
E’ da escludere, pertanto, che omessa pronuncia vi sia stata. Ciò, ben vero, al di là
dell’eventuale riscontro della carenza, insufficienza od incongruenza della motivazione.

14

Con la memoria in data 4.6.2014 Sarah Miccichè, David Miccichè e Lucia Miccichè, quali

Nei termini esposti, dunque, questa Corte non può che reiterare il proprio insegnamento,
alla cui stregua il vizio di omessa pronuncia è configurabile soltanto in ipotesi di mancanza di
una decisione in ordine ad una domanda o ad un assunto che richieda una statuizione di
accoglimento o di rigetto; il che non si verifica quando la decisione adottata in contrasto con
la pretesa fatta valere dalla parte comporti il rigetto di tale pretesa anche se manchi in

7653; Cass. 15.5.1996, n. 4498; Cass. 11.4. 1975, n. 1397).

Il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale risultano strettamente
connessi.
Se ne giustifica pertanto l’esame congiunto.
I motivi de quibus comunque sono immeritevoli di seguito.
Nel segno della dicotomia “divisione transattiva — transazione divisoria”, ancorata alla
complessiva previsione dell’art. 764 c.c., l’una, ex art. 764, 1° co., c.c., rescindibile l’altra, ex
art. 764, 2° co., c.c., no (e neppure ex art. 1969 c.c. annullabile per errore) (cfr. Cass.
3.6.2012, n. 13942), va condivisa senz’altro la qualificazione operata dalla corte di merito,

alla cui stregua la scrittura privata datata 5.9.1966 integra un’ipotesi di “transazione
divisoria”, come tale non postulante “per la sua validità alcuna formalità ulteriore rispetto a
quella della semplice scrittura privata” (così sentenza d’appello, pag. 25).
Più esattamente, va premesso che il discrimen tra l’una e l’altra figura è ricercare non già
nell’attitudine a definire in via transattiva una contesa divisionale, profilo ben vero ricorrente
e nell’una e nell’altra fattispecie, quanto piuttosto nella proporzionalità tra le attribuzioni
patrimoniali e le quote di ciascuno dei partecipanti alla comunione, che connota la prima e
non già la seconda (cfr. Cass. 3.8.2012, n. 13942; Cass. 6.8.1997, n. 7219).

15

proposito una specifica argomentazione (cfr. Cass. 6.4.2000, n. 4317; Cass. 16.5.2012, n.

Rectiu,s, l’elemento distintivo è da individuare nella circostanza per cui nella “transazione
divisoria” l’accordo transattivo, regolando ogni controversia, anche potenziale, in ordine alla
determinazione delle porzioni corrispondenti alle quote ereditarie, ha ad oggetto proprio le
questioni costituenti presupposto ed oggetto dell’azione di rescissione (cfr. Cass. 3.9.1997, n.
8848) ovvero nella circostanza per cui l’attribuzione compiuta da uno o da taluni dei

quota a quest’ultimo, a quest’ultimi spettante ha da esser pienamente consapevole (cfr. Cass.
10.3.1976, n. 836).
In tal ultima evenienza il consapevole squilibrio tra porzioni attribuite e quote
astrattamente spettanti non vale a far trasmodare l’operazione oltre l’ambito della transazione,
sì da connotarla in guisa di un’operazione liberale (il negozio con cui si scioglie una
comunione incidentale ereditaria, ove posto in essere senza tener conto della proporzionalità
tra valore dell’asse e quota attribuita (elemento essenziale del negozio divisorio) per dirimere
o prevenire controversie insorgenti dallo stato di comunione, integra una transazione in
senso proprio, la quale, sebbene attuata in occasione della divisione, si pone come fonte
autonoma regolatrice del rapporto in luogo del titolo preesistente e produce effetti novativi:
cfr. Cass. 10.7.1985, n. 4106; Cass. 17.5.1972, n. 1496). In tal ultima evenienza,
conseguentemente, non si impone affatto ex art. 782 c.c. l’onere della forma pubblica.
Nel quadro degli astratti rilievi testé operati va rimarcato che sono i medesimi ricorrenti,
Angelo e Daniele Albanese, a prospettare che all’atto della sottoscrizione della scrittura in
data 5.9.1966 vi fu piena consapevolezza da parte dei condividenti e, evidentemente, pur da
parte della madre, loro dante causa, Teresa Miccichè, in ordine all’attribuzione a Vincenzo e
Giuseppe Miccichè di beni di valore significativamente superiore a quello della quota
ereditaria a costoro spettante (“una siffatta , però, risolvendosi nella diminuzione
patrimoniale di una parte e nel corrispondente arricchimento senza corrispettivo dell’altra,
16

condividenti a favore dell’altro o degli altri di beni avente valore superiore a quello della

come tale espressamente voluto da entrambe le parti contraenti (le cinque coeredi
da un lato ed i due coeredi destinatari del beneficio dall’altro), (..)”: così
ricorso iscritto al n. 29148/2008 R. G., pag. 29).
In questi termini, dunque, per nulla si fuoriesce dall’alveo della transazione, recte della
transazione divisoria.

segnata dalla giustapposizione nel contenuto precettivo di un unico negozio di più elementi,
ciascuno dei quali, isolatamente considerato, rientra nel contenuto di un distinto negozio
giuridico tipico o atipico; all’unità del negozio corrisponde l’unità della causa e la disciplina
applicabile è quella corrispondente al contenuto negoziale tipico di maggior rilievo nella
finalità perseguita dalle parti: cfr. Cass. 28.3.1977, n. 1205).
E, si soggiunge, nemmeno si prospetta la necessità di far ricorso alla figura della
donazione – semmai – indiretta (la differenza tra donazioni dirette e donazioni indirette non
consiste nella diversità dell’effetto pratico che da esse deriva, ma nel mezzo con il quale è
attuato il fine di liberalità, che, per le prime, è il contratto previsto dall’art. 769 c. c. e, per le
seconde, è un fatto o un negozio giuridico che, pur non essendo rivolto, nella sua finzione
immediata ad attuare il suddetto fine, lo realizza, tuttavia, indirettamente, come uno scopo
ulteriore e diverso rispetto alla sua causa tipica: cfr. Cass. 3.5.1969, n. 1465), donazione per
la cui validità non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza
delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità (dato
che l’art. 809 c.c., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di
liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c. c., non richiama l’art.
782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione; cfr. Cass. 16.3.2004, n. 5333; Cass.
19.2.1985, n. 1446).

17

In questi termini, inoltre, neppur si trapassa sul terreno del contratto complesso (figura

Per altro verso, segnatamente in ordine alle prospettazioni di cui al quarto motivo, si
rappresenta ulteriormente quanto segue.
In primo luogo, che, in materia di procedimento civile, l’applicazione del principio iura
novit curia, di cui all’art. 113, 1° co., c.p.c., fa salva la possibilità per il giudice di assegnare

una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione

sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi
da quelli erroneamente richiamati dalle parti (cfr. Cass. sez. lav. 24.7.2012, n. 12943).
In secondo luogo, in ordine alle “reciproche concessioni” postulate dall’art. 1965, 1° co.,
c.c., che vanno correlate alla posizione assunta dalle parti in rapporto alle rispettive pretese o
contestazioni non già ai diritti effettivamente spettanti (cfr. Cass. 11.6.2003, n. 9348), che
possono avere il più vario contenuto, sicché possono consistere anche nella rinuncia ad un
diritto (cfr. Cass. 6.5.2003, n. 6861), che sussistono indipendentemente da qualsiasi rapporto
di equivalenza fra datum e retentum (cfr. Cass. 22.2.2000, n. 1980), che non è necessario che
siano specificamente indicate nel documento che reca il testo della transazione, ma possano
emergere pur dal complesso dell’atto nonché da elementi eventualmente ad esso esterni (cfr.
Cass. 8.6.2007, n. 11389).

In terzo luogo, che per la validità della transazione è necessaria la sussistenza della res
litigiosa, ma a tal fine non occorre che le rispettive tesi delle parti abbiano assunto la

determinatezza propria della pretesa, essendo sufficiente l’esistenza di un dissenso potenziale,
anche se ancora da definire nei più precisi termini di una lite e non esteriorizzata in una
rigorosa formulazione (cfr. Cass. sez. lav. 11.3.1983, n. 1846).
Alla luce delle operate puntualizzazioni a nulla rileva addurre che nessuna concessione in
favore delle sorelle Vincenzo e Giuseppe Miccichè ebbero ad operare con la scrittura data
5.9.1966, né che risulta indefinito l’oggetto dell’ipotetica lite.

18

esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie

Non è da escludere invero che Giuseppe e Vincenzo Miccichè si reputassero ancor più
significativamente beneficiati alla stregua di una presunta diversa paterna volontà mortis
causa — volontà paterna cui, del resto, le sorelle Miccichè intesero con la scrittura in data
5.9.1966 rendere espresso ossequio (cfr. ricorso iscritto al n. 29148/2008 R.G., pag. 22) — ed
abbiano al contempo rinunciato ad asserite ancor più ampie e cospicue pretese in ordine al

una eventuale divisione per via giudiziale.

Non vi è margine per far luogo alla condanna dei ricorrenti Angelo e Daniele Albanese al
risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. (la domanda ex art. 96 c.p.c. può essere proposta
anche in sede di legittimità per i danni che si assumono derivanti dal giudizio di cassazione:
cfr. Cass. sez. un. 17.8.1990, n. 8363).
Invero, i controricorrenti Vincenzo e Salvatore Miccichè non hanno fornito dimostrazione
alcuna quanto meno in ordine all’ an del pregiudizio di cui ha invocato il ristoro (cfr. in
proposito Cass. 1.12.1995, n. 12422, secondo cui l’accoglimento della domanda ex art. 96, 1°
co., c.p.c. presuppone l’accertamento sia dell’elemento soggettivo dell’illecito – mala fede o
colpa grave – sia dell’elemento oggettivo – danno sofferto; ne consegue che, ove dagli atti del
processo non risultino elementi obiettivi dai quali desumere la concreta esistenza del danno,
nulla può essere liquidato a tale titolo, neppure ricorrendo a criteri equitativz).

Si giustifica in dipendenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso iscritto al n.
30088/2008 R.G. e del rigetto del ricorso iscritto al n. 29148/2008 R.G. l’integrale
compensazione delle spese del presente grado nel rapporto processuale tra Angelo e Daniele
Albanese, da un lato, e Sarah, David e Lucia Micciché (unici eredi di Elena Micciché),
dall’altro.
19

patrimonio ereditario, pretese evidentemente azionabili — ecco la res litigiosa – nel contesto di

Angelo e Daniele Albanese vanno condannati in solido a rimborsare a Vincenzo e
Salvatore Micciché nonché a Lucia e Giuseppe Micciché le spese del giudizio di legittimità.
Le liquidazioni seguono come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI

dispone riunirsi, così come riunisce, il ricorso iscritto al n. 30088/2008 R.G. al ricorso iscritto
al n. 29148/2008 R.G.;
dichiara inammissibile il ricorso iscritto al n. 30088/2008 R.G.;
rigetta il ricorso iscritto al n. 29148/2008 R.G.;
rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c. proposta da Vincenzo e Salvatore Miccichè;
compensa integralmente le spese del presente grado nel rapporto processuale tra Angelo e
Daniele Albanese, da un lato, e Sarah, David e Lucia Miccichè (unici eredi di Elena
Miccichè), dall’ altro;
condanna Angelo e Daniele Albanese, in solido, a rimborsare a Vincenzo e Salvatore
Miccichè le spese del grado di legittimità, che si liquidano nel complesso in euro 4.800,00, di
cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario, i.v.a. e cassa come per legge;
condanna Angelo e Daniele Albanese, in solido, a rimborsare a Lucia e Giuseppe Miccichè le
spese del grado di legittimità, che si liquidano nel complesso in euro 4.800,00, di cui euro
200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario, i.v.a. e cassa come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

La Corte così provvede:

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