Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8807 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/03/2021, (ud. 06/11/2020, dep. 30/03/2021), n.8807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9953-2016 proposto da:

CAVI COSTRUZIONI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SARDEGNA

29, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FERRARA, rappresentata

e difesa dagli avvocati CARMINE LAURI, BIAGIO LAURI;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE SALERNO – AGENZIA DELLE

ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8411/2015 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SALERNO, depositata il 24/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/11/2020 dal Consigliere Dott. MELE MARIA ELENA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con atto notarile in data 9 luglio 2010, la società CA.VI. Costruzioni srl acquistava due terreni edificabili ricadenti nel Parco nazionale del Cilento.

L’Agenzia delle entrate rettificava il valore dichiarato in tale atto e notificava avviso di liquidazione avverso il quale la società proponeva ricorso avanti alla Commissione tributaria provinciale di Salerno, sostenendo che il valore degli immobili compravenduti fosse inferiore a quello indicato dall’Ufficio, attesa l’inedificabilità degli stessi in quanto ricadenti in zona protetta. A sostegno delle censure depositava perizia di stima nella quale si rideterminava il valore economico dei terreni in considerazione di tale caratteristica.

La CTP accoglieva in parte il ricorso quantificando il valore dei cespiti in Euro 65,00 al mq “in considerazione degli elementi che emergevano dalla perizia di parte ricorrente”.

Avverso tale sentenza la contribuente proponeva appello alla Commissione tributaria regionale di Napoli, sez. distaccata di Salerno, censurando l’omessa motivazione in ordine ai motivi del ricorso di primo grado, ed in particolare l’omessa specificazione del percorso logico seguito dal giudice di primo grado per addivenire alla quantificazione del valore al metro quadro dei terreni, riproponendo in sede di gravame le medesime censure svolte nell’atto introduttivo del giudizio.

Il giudice d’appello rigettava il gravame.

La società ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza affidato a due motivi.

Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia sul motivo di impugnazione riguardante la nullità della sentenza di primo grado. In particolare, la CTP non si sarebbe pronunciata sui motivi di appello, e in specie, sulla denunciata incomprensibilità del percorso logico giuridico seguito dai giudici di primo grado per addivenire alla determinazione del valore al metro quadro del terreno.

Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa pronuncia si concreta nel difetto del momento decisorio, sicchè “per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti. Per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio” (Cass., Sez. L., n. 5730 del 2020, Rv. 657560-01; n. 3388 del 2005, Rv. 579433-01).

In sostanza, il richiamo alle argomentazioni, ragioni o motivi esposti per ottenere un provvedimento giurisdizionale – come avvenuto nella specie – è estraneo al vizio “omessa pronuncia” il quale “si concreta nel difetto del momento decisorio, mentre il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti, eventualmente svolte nei motivi di appello, può integrare un vizio di natura diversa relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (Cass. n. 5730 del 2020 cit.; Cass. n. 22177 del 2019).

Nella specie, la sentenza impugnata ha specificamente esaminato la censura svolta dalla contribuente sotto il profilo della incomprensibilità della decisione cui era pervenuta la CTP, richiamando e descrivendo, sia pure sinteticamente, il percorso argomentativo seguito dai primi giudici e condividendolo.

Con il secondo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 116 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, deducendo la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione, ovvero per motivazione apparente, perplessa e incomprensibile, non avendo il giudice d’appello esplicitato le ragioni logico-giuridiche in base alle quali aveva rigettato l’impugnazione.

Il motivo è infondato.

Occorre premettere che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile con il ricorso per cassazione, quale vizio di legittimità, il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Sez. 6-3, n. 22598 del 2018, Rv. 650880-01; Sez. un., n. 8053 del 2014, Rv. 629830-01).

Nella specie, come si è detto esaminando il primo motivo di ricorso, la CTR, richiamando la sentenza di primo grado, ne ha ribadito e condiviso il percorso argomentativo sviluppato attraverso la valutazione della correttezza dell’operato dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, la considerazione della impossibilità di applicare il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, trovandosi il terreno in zona a sviluppo turistico, nonchè attraverso la valutazione della perizia prodotta dalla parte ricorrente e degli elementi per la riduzione del valore del terreno in essa indicati.

Pertanto, la sentenza impugnata risulta adeguatamente motivata, avendo il giudice d’appello dato conto dei passaggi logici attraverso i quali è addivenuta alla decisione di rigetto dell’impugnazione, sicchè non sussiste il vizio denunciato.

Ove poi, attraverso tale censura, la ricorrente intendesse sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio operata dalla CTR, in particolare sotto il profilo della qua ntificazione del valore dell’immobile, essa è inammissibile, essendo tale valutazione riservata al giudice di merito (Cass., Sez. un., 34476 del 2019, Rv. 656492-03; n. 33373 del 20199).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate nel dispositivo, devono essere poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 6 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

 

 

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