Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8806 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. II, 30/03/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 30/03/2021), n.8806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25566-2019 proposto da:

H.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PRINCIPE

EUGENIO, 15, presso lo studio dell’avvocato MARCO MICHELE PICCIANI,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE REGGIO CALABRIA;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA, depositata il

23/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/01/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Reggio Calabria con decreto pubblicato il 23 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da H.S., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il richiedente aveva raccontato di essere espatriato perchè accusato di avere ucciso la moglie, una giovane ex prostituta il cui cadavere era stato ritrovato nei pressi di un lago il 10 settembre del 2016. I sospetti erano caduti su di lui benchè accanto al corpo fosse stata rinvenuta una bottiglietta di veleno e fosse quindi assai concreta l’ipotesi del suicidio per avvelenamento. I suoi concittadini erano convinti che egli avesse spinto la consorte a prostituirsi contro la sua volontà e che l’avesse uccisa quando si era rifiutata di continuare a farlo. Egli inoltre non si era presentato sul luogo del ritrovamento del cadavere e nei giorni successivi si era reso irreperibile alla polizia il che ovviamente aveva rafforzato i sospetti su di lui. Per questo motivo era partito in aereo per la Libia dove cinque mesi dopo era entrato regolarmente nel territorio italiano.

Il Tribunale reputava generica e contraddittoria la narrazione effettuata dal richiedente e, dunque, non credibile. Di conseguenza il collegio giudicante rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che dal racconto sulle circostanze che avevano indotto il ricorrente a lasciare il paese non emergevano elementi tali da determinare uno stato di persecuzione idoneo al riconoscimento dello status di rifugiato.

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), c), per la non verosimiglianza del racconto sui motivi dell’espatrio. Il richiedente non aveva allegato che, in caso di rimpatrio, poteva rischiare la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generale e indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato e, sulla base delle fonti internazionali il (OMISSIS) non poteva ritenersi un paese soggetto ad una violenza generalizzata.

Infine, quanto alla richiesta di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale evidenziava che non erano stati allegati fatti diversi rispetto a quelli posti a fondamento della domanda di protezione internazionale. L’unico elemento allegato al ricorso risultava essere l’aver svolto attività lavorativa che tuttavia non rappresentava una condizione sufficiente per il riconoscimento della protezione umanitaria.

3. H.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19; Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1417; Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7.

La censura attiene da un lato alla errata valutazione di non credibilità del racconto del richiedente che invece aveva tutti presupposti affinchè lo si potesse ritenere veritiero e dall’altro all’erronea valutazione della sua situazione sociopolitica del (OMISSIS) come risultante anche da fonti qualificate.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il tribunale avrebbe dovuto tenere nella dovuta considerazione non razione in merito alla totale integrazione nel paese come dimostrata anche con produzione di idonea documentazione.

3. Il ricorso è inammissibile per mancata esposizione del fatto e per genericità della censura.

L’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, prescrive a pena di inammissibilità che il ricorso per cassazione debba essere corredato dall’esposizione “sommaria” dei fatti di causa.

Si tratta, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dei fatti della controversia, sia sostanziali sia processuali, i quali vanno esposti, peraltro, solo in quanto rilevanti per la decisione di legittimità e, in ogni caso, in modo sommario, ossia riassuntivo. Vanno narrate, cioè, ma con adeguata sintesi, le domande introduttive, le vicende del giudizio di merito: il tutto, quale premessa per l’esposizione dei motivi del ricorso. Il citato art. 366 c.p.c. è difatti posto a tutela dell’imprescindibile esigenza di chiarezza espositiva e completezza del ricorso, che deve contenere quanto occorre al giudice di legittimità per comprendere la questione di diritto portata al suo esame.

Di recente questa Corte ha ribadito che per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., n. 3, non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sè stante del ricorso, ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi.

Nella specie l’esposizione sommaria dei fatti da un lato manca del tutto come parte autonoma del ricorso e dall’altro non è ricavabile neanche dai motivi del ricorso che non contengono tutti gli elementi utili perchè il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, così da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi delle doglianze prospettate.

Inoltre, le doglianze articolate nei due motivi sono formulate in modo del tutto generico, senza alcun elemento di specificità riferito al caso concreto, limitato solo alla provenienza del richiedente dal (OMISSIS) e senza alcun altro riferimento concreto alla vicenda narrata e alle ragioni della richiesta di protezione.

4. In conclusione il ricorso è inammissibile.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13,art. 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

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