Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8805 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. I, 15/04/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 15/04/2011), n.8805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12354/2009 proposto da:

V.M. ((OMISSIS)), in qualità di erede del Sig.

G.U., D.G.C. ((OMISSIS)), in qualità

di erede della Sig.ra R.P., C.M.

((OMISSIS)), in qualità di erede del Sig. R.

G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANDREA DORIA 48,

presso lo studio dell’avvocato ABBATE Ferdinando Emilio, che li

rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto nei procedimenti nn. 53753, 53754, 53755/06

R.G.A.D. della CORTE D’APPELLO di ROMA del 24/09/07, depositato il

27/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito l’Avvocato Roda Ranieri, (delega avvocato Ferdinando Emilio

Abbate), difensore dei ricorrenti che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE che nulla

osserva.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che C.M. – quale erede di R.G., – V.M. – quale erede di G.U. – e D.C. G. – quale erede di R.P., con ricorso del 9 maggio 2009, hanno impugnato per cassazione deducendo due motivi di censura, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, il decreto della Corte d’Appello di Roma depositato in data 27 marzo 2008, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dei predetti ricorrenti – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Presidente del Consiglio dei ministri – il quale ha concluso per l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare a ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 8.000,00, oltre gli interessi dalla data del decreto al saldo, a titolo di equa riparazione, ed ha liquidato le spese del giudizio, determinandole in Euro 1.360,00, di cui Euro 600,00 per diritti ed Euro 700,00 per onorari;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 10.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 5 luglio 2006 era fondata sui seguenti fatti: a) i danti causa degli odierni ricorrenti, aspiranti all’adeguamento triennale dell’indennità giudiziaria, avevano proposto – con ricorso dell’aprile 1993 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio; b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza del 9 dicembre 2004;

che la Corte d’Appello di Napoli, con il suddetto decreto impugnato – detratti tre anni e sei mesi di ragionevole durata del processo presupposto – ha liquidato per i residui otto anni di irragionevole ritardo, a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale, la somma di Euro 8.000,00, sulla base di un parametro annuo di Euro 1.000,00.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati per gruppi di questioni -, vengono denunciati come illegittimi: a) la affermata decorrenza degli interessi sul liquidato indennizzo dalla data del decreto, anzichè dalla data della proposizione della domanda di equa riparazione; c) la violazione dei minimi tariffar forensi nella liquidazione delle spese di giudizio di merito;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito indicati;

che, in particolare, la censura sub a) è fondata, perchè questa Corte ha già ripetutamente affermato che, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, il diritto ad un’equa riparazione in caso di mancato rispetto del termine ragionevole del processo, avente carattere indennitario e non risarcitorio, non richiede l’accertamento di un illecito secondo la nozione contemplata dall’art. 2043 cod. civ., nè presuppone la verifica dell’elemento soggettivo della colpa a carico di un agente, essendo invece ancorato all’accertamento della violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cioè di un evento ex se lesivo del diritto della persona alla definizione del suo procedimento in una durata ragionevole, e l’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione configurandosi non già come obbligazione ex delicto ma come obbligazione ex lege, riconducibile, in base all’art. 1173 cod. civ., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico, con la conseguenza che dal carattere indennitario di tale obbligazione discende che gli interessi legali possono decorrere, semprechè richiesti, dalla data della domanda di equa riparazione, in base al principio secondo cui gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda, nonostante il carattere di incertezza e di illiquidità del credito prima della pronuncia giudiziaria, mentre, in considerazione del predetto carattere indennitario dell’obbligazione, nessuna rivalutazione può essere accordata (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 8712 del 2006 e 2248 del 2007);

che la censura sub b) è conseguentemente assorbita;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2;

che, in applicazione di detto principio, a ciascuno dei ricorrenti spetta l’indennizzo di Euro 8.000,00 per gli otto anni di irragionevole durata del giudizio presupposto, oltre gli interessi a decorrere dalla data di proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, ai fini della liquidazione delle spese processuali, il processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, nè rientra tra quelli speciali di cui alla tabelle A) e B) allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127 (rispettivamente voce 50, paragrafo 7 e voce 75, paragrafo 3), per tali dovendo intendersi, ai sensi dell’art. 11 della tariffa allegata a detto decreto ministeriale, i procedimenti in Camera di consiglio ed in genere i procedimenti non contenziosi (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 25352 del 2008);

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 2.050,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 800,00 (Euro 600,00+Euro 200,00 per gli altri due ricorrenti) per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisene antistatari;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Presidente del Consiglio al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 8.000,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore delle parti ricorrenti, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 2.050,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 800,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisene antistatari, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dello stesso avv. Abbate, dichiaratosene antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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