Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8804 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. II, 30/03/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 30/03/2021), n.8804

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25584/2019 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in Petilia Policastro (KR) via

Arringa n. 60, presso lo studio dell’avv.to GIOVANBATTISTA

SCORDAMAGLIA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

PROCURA DELLA REPUBBLICA CATANZARO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 185/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 01/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/01/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza pubblicata il 1 febbraio 2019, respingeva il ricorso proposto da A.A., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Catanzaro aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. La Corte d’Appello preliminarmente riteneva non necessario procedere all’audizione del richiedente la protezione internazionale. Non essendo state prospettate esigenze specifiche che potessero eventualmente comportare la necessità di una nuova audizione.

Il richiedente dinanzi la commissione territoriale aveva dichiarato che aveva un Hotel-ristorante a (OMISSIS) e che una notte alcuni clienti che, dopo aver mangiato, avevano chiesto di rimanere a dormire si erano rifiutati di fornire i documenti ed erano andati via. Poco dopo erano ritornati in compagnia di un signore che si era offerto di garantire per loro. A quel punto il richiedente gli aveva dato una stanza ma aveva avuto paura e si era insospettito perchè queste persone portavano degli zaini. Il richiedente, dunque, era andato alla polizia dove aveva consegnato le carte d’identità degli sconosciuti che gli sembravano false. La polizia aveva fatto un controllo e ne aveva accertato la falsità così avevano circondato l’hotel per fare una perquisizione agli sconosciuti i quali avevano cominciato a sparare. Alla fine dello scontro la polizia era entrata nell’albergo e aveva trovato due morti mentre altri tre erano riusciti a fuggire. Poichè si trattava di terroristi, per paura della loro vendetta, il richiedente aveva deciso di dormire sul tetto di casa. Un giorno cinque persone avevano scavalcato il muro ed erano entrate in casa sparando alle sue sorelle che erano state ferite gravemente. La minaccia per la sua vita era costante e così aveva deciso di lasciare il paese.

Secondo la Corte d’Appello le dichiarazioni non erano credibili in quanto del tutto generiche, sicchè doveva escludersi la sussistenza di concreti ed oggettivi elementi sulla cui base poter riconoscere all’appellante lo status di rifugiato politico o la protezione sussidiaria con riferimento alle previsioni di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b.

La Corte d’Appello rigettava anche il motivo relativo al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Secondo la Corte d’Appello nonostante la situazione del Pakistan fosse caratterizzata da un alto livello di stabilità non poteva ritenersi sussistente un rischio elevato per la vita e l’incolumità individuale e anche nella zona del Punjab doveva escludersi l’esistenza di una violenza generalizzata o un conflitto armato in atto o comunque l’esistenza di un pericolo o di una minaccia individuale.

Infine, la Corte d’Appello rigettava anche il motivo di impugnazione relativo alla mancata concessione della protezione umanitaria, sia perchè non emergevano concreti indici soggettivi tale da comportare un rischio nel caso di rientro in Pakistan anche in ragione della ritenuta non credibilità del racconto del richiedente. Inoltre, il fatto che egli soffrisse di epatite c non era una condizione sufficiente visto il miglioramento nel livello di assistenza sanitaria e di accesso alle cure mediche avvenuto in Pakistan.

Non vi erano pertanto elementi tali da integrare una condizione di vulnerabilità neanche riguardo l’impossibilità di procurarsi quanto necessario per soddisfare i bisogni alimentari primari in caso di rientro nel paese di origine.

3. A.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di cinque motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4″ per omessa valutazione dei documenti prodotti.

Il ricorrente ha prodotto alcuni documenti probanti il suo racconto quali: la denuncia per la morte delle sorelle, i certificati autoptico di morte delle sorelle medesime, la foto dell’insegna dell’hotel, copia della carta d’identità del ricorrente.

Il collegio non ha motivato sulle ragioni per le quali gli stessi non costituivano elementi sufficienti a giustificare la credibilità del racconto, con ciò violando l’art. 132 c.p.c.. Ciò sia rispetto alla protezione sussidiaria che a quella umanitaria.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, con riferimento ai profili di credibilità, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. e).

La censura attiene alla ritenuta non credibilità del racconto nonostante lo stesso fosse dettagliato in tutti i suoi aspetti ed anche supportato dalla produzione documentale che l’organo giudicante ha giudicato irrilevante ai fini della valutazione del narrato, trattandosi di copie di incerta provenienza, senza attivare i poteri istruttori.

L’organo giudicante pertanto non avrebbe addotto alcun elemento idoneo a confutare la veridicità dei documenti prodotti che, in assenza di prova contraria e di contraddizioni interne, non potevano essere pretermessi nello scrutinio dell’attendibilità del ricorrente.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 5, art. 14, comma 1, lett. c), in riferimento alla protezione sussidiaria.

Il ricorrente riporta quanto esposto negli atti introduttivi del giudizio circa la sussistenza dei gravi rischi che egli patirebbe in caso di rientro in Pakistan e ritiene violata la norma citata in rubrica per non aver considerato le persecuzioni di natura terroristica e l’inefficienza delle istituzioni nel fronteggiare il fenomeno, tenuto conto anche della connivenza delle forze politiche di polizia. Tali elementi integrano il fondato timore di subire torture o trattamenti inumani e degradante da parte di soggetti non statuali secondo il disposto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 1.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) e d), con riferimento alla protezione sussidiaria per violenza indiscriminata.

La censura attiene all’erronea valutazione della situazione del Pakistan e in particolare della zona di (OMISSIS) dove si sono svolti i fatti narrati. La Corte d’Appello avrebbe preso in esame solo la zona del Punjab.

In tal senso il ricorrente richiama fonti qualificate dalle quali emerge una situazione di forte instabilità nella zona indicata. La Corte d’Appello pertanto non avrebbe valutato adeguatamente le circostanza relative alla situazione del Pakistan che rileverebbero anche in caso di non credibilità del racconto del richiedente.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, erronea valutazione delle condizioni di salute e violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, per mancata comparizione tra integrazione sociale condizione personale del richiedente.

La censura attiene al rigetto della domanda di protezione umanitaria nonostante il richiedente avesse dimostrato di soffrire di epatite C. Il divieto di espulsione dello straniero per motivi di salute non si limita solo all’area del pronto soccorso o dell’intervento di urgenza ma è esteso ad ulteriori trattamenti in assenza della possibilità di cure adeguate nel paese di origine e dell’irreparabile nocumento che, per effetto del rimpatrio, il ricorrente potrebbe patire. Questo è il caso dimostrato dal ricorrente che ha evidenziato che a causa del rimpatrio potrebbe subire un irreparabile pregiudizio data l’esigenza indifferibile di ricevere prestazioni sanitarie essenziali. Peraltro, il richiedente ha prodotto documentazione che attesta la sua attività lavorativa in qualità di bracciante agricolo, dimostrando un ottimo percorso di integrazione sociale.

5.1 I cinque motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente sono inammissibili.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ord. n. 3340 del 2019).

5.2 La Corte d’Appello di Catanzaro ha motivato ampiamente le ragioni della ritenuta non credibilità del racconto sulla base di una valutazione complessiva. Peraltro, la mancata valutazione di documenti non integra una violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, ma, al più ricorrendone le condizioni, un omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

In proposito deve richiamarsi il consolidato principio di diritto secondo cui: “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Sez. 1, Sent. n. 16056 del 2016).

La Corte di merito ha effettuato una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, sufficientemente e logicamente argomentata, fondando il proprio convincimento sugli elementi ritenuti più attendibili senza essere tenuta ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448; Cass., Sez. L, sentenza n. 42 del 7 gennaio 2009, Rv. 606413; Cass., Sez. L., sentenza n. 2404 del 3 marzo 2000, Rv. 534557).

5.3 Inoltre, la Corte d’Appello ha fatto esplicito riferimento a fonti qualificate dalle quali ha tratto la convinzione che il Pakistan non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito e anche non idonea, quanto ai restanti fatti rappresentati (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che, in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2019).

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che, in tal caso, non si impone l’esercizio dei poteri officiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

5.4 In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato sulle condizioni sanitarie del Pakistan evidenziando che dai rapporti più recenti emerge come il suddetto paese si sia dotato di specifici programmi di cura per le epatiti, accessibili anche ai meno abbienti, riducendo la spesa dei farmaci per tale patologia a meno dell’1% di quello degli Stati Uniti.

Ne consegue che il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso, con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, l’esistenza di una situazione di vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta, una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

In particolare, deve nuovamente evidenziarsi che il ricorrente non ha allegato alcuna effettiva condizione di integrazione e che la condizione di vulnerabilità è stata esclusa sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello oggettivo in relazione alla situazione generale del Pakistan.

La pronuncia impugnata, dunque, risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Il racconto del ricorrente peraltro non è stato ritenuto credibile in relazione alle ragioni che hanno dato origine alla partenza e la situazione del paese non è stata ritenuta soggetta ad una violenza indiscriminata.

6. In conclusione il ricorso è inammissibile.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

 

 

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