Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8804 del 12/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 12/05/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 12/05/2020), n.8804

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22481-2014 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA,

388, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ZOPPI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONIO PESELLI;

– ricorrente –

contro

M.F., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato DANIELA PATRIARCHI;

– controricorrente –

e contro

ENPAM – ENTE NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA MEDICI ED

ODONTOIATRI;

– intimato –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’Avvocato FILIPPO

MANGIAPANE;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 45/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 30/05/2014 R.G.N. 115/2014.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 45 del 2014, la Corte d’appello di Genova ha respinto l’appello proposto da S.G. ed ha accolto l’appello incidentale proposto da M.F. avverso la sentenza del Tribunale di Massa che aveva sancito, nei confronti dell’INPDAP (cui è succeduto ex lege l’INPS) e dell’ENPAM, la ripartizione delle due pensioni di reversibilità relative al dottor I.V. erogate dai due istituti, assegnando alla M. (ex coniuge divorziata) la quota del 75% ed alla S. (coniuge superstite) la restante quota;

la Corte territoriale, sul presupposto che l’accordo che le parti avevano raggiunto in via stragiudiziale nel quantificare la quota della pensione spettante alla coniuge divorziata nel medesimo importo dell’assegno divorzile, seppure ammissibile, non era mai stato formalizzato, ha condiviso la sentenza di primo grado in punto di determinazione delle rispettive quote;

ha considerato che il primo matrimonio era durato 42 anni ed il secondo solo due, ma che le convivenze dell’ I. con le due parti avevano avuto durata paritetica di 22 anni; le condizioni economiche delle due donne vedevano una forte sperequazione a danno della M. per cui, in coerenza con la giurisprudenza costituzionale, che aveva temperato il rigore del criterio di legge della mera durata dei matrimoni, ha affermato che andava pure valorizzata l’entità dell’assegno divorzile a suo tempo riconosciuto alla M. (Euro 1.100,00 nel 2008);

inoltre, la Corte territoriale ha accolto l’appello incidentale proposto dalla M. e relativo al riconoscimento della decorrenza del diritto a percepire la quota del trattamento sin dalla data di decesso dell’ I.;

avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione S.G. affidandolo a quattro motivi: 1) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’omesso esame del contenuto del messaggio di posta elettronica del 23 aprile 2013, prodotto in primo grado, ed al cui contenuto la parte aveva aderito nelle conclusioni rassegnate; 2) violazione dell’art. 112 c.p.c., sempre richiamando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver omesso l’esame della comparsa di costituzione e risposta e delle rispettive conclusioni di primo grado; 3) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver omesso l’esame del contenuto delle dichiarazioni verbalizzate dalle parti in primo grado; 4) violazione degli artt. 112 e 189 c.p.c. in quanto il motivo di appello incidentale relativo alla decorrenza del diritto a percepire la quota del trattamento pensionistico di reversibilità, sin dalla data di decesso dell’ I., era stato formulato per prima volta in grado appello e la ricorrente aveva dichiarato di non accettare il contraddittorio sul punto; l’INPS, quale successore di INPDAP, ha depositato procura speciale;

ENPAM è rimasto intimato;

in data 10.10.2016, è stata depositata comparsa di nuovo difensore per la ricorrente;

M.F. e S.G. hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

I primi tre motivi, con i quali sono stati denunciati vizi di motivazione lamentando l’omissione di esame di atti del processo di merito (quali messaggi di posta elettronica, verbali d’udienza e memorie di parte dai quali si sarebbe dovuto evincere l’accordo intercorso tra le parti), sono inammissibili perchè incidono su affermati vizi della sentenza non coperti dalla previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella formulazione vigente;

deve al riguardo considerarsi che il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c. n. 5 applicabile alla fattispecie ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

la parte ricorrente deve dunque indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22/9/2014 n. 19881, Cass. sez. un. 7/4/2014 n. 8053);

inoltre si è affermato che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all’esistenza della motivazione in sè, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”;

nel caso in esame ci si duole che la sentenza non abbia valutato, ai fini della quantificazione della quota nel senso richiesto dalla ricorrente, le dichiarazioni contenute nel messaggio di posta elettronica proveniente dall’avvocato Patriarchi, nonchè le richieste contenute nelle conclusioni della comparsa di costituzione della M. e le dichiarazioni rese dalle parti nei verbali d’udienza, ma tali atti non sono ” fatti storici, principali o secondari, decisivi per il giudizio”;

va osservato che, in disparte la considerazione che la Corte territoriale ha ritenuto tali contenuti come non produttivi, nel processo, dell’effetto transattivo auspicato dalla ricorrente, quelli che si indicano come illegittimamente non valutati, sono documenti o atti processuali di parte indicati come confermativi di un accordo stragiudiziale, negato dalla Corte di merito, che neanche nella prospettazione della parte rivestono la funzione di fatti, principali o secondari, dimostrativi del diritto ad una certa quota della pensione;

si tratta, dunque, di mere deduzioni difensive, insuscettibili di integrare il presupposto richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per l’operatività del vizio di motivazione;

anche l’ultimo motivo è inammissibile perchè privo di specificità;

la ricorrente si duole che la sentenza impugnata, accogliendo l’appello incidentale proposto da M.F. in punto di decorrenza del trattamento, sin dalla data di decesso dell’ I., e di corresponsione degli arretrati, non abbia accolto le proprie difese in punto di novità delle domande, non formulate in primo grado;

il motivo, che evidentemente denuncia violazione di norme processuali ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), non riproduce gli atti dai quali questa Corte di cassazione possa trarre il convincimento sulla fondatezza delle affermazioni oggetto di denuncia, nè indica il luogo ed il momento nei quali le vicende del processo che rappresenta si siano verificate ed in quale punto del proprio fascicolo di parte tali atti siano reperibili;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo in favore della contro ricorrente, mentre non si deve provvedere in ordine alle parti rimaste intimate.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della parte contro ricorrente, che liquida in Euro 1300,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2020

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