Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8803 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. II, 30/03/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 30/03/2021), n.8803

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25075/2019 proposto da:

W.C., elettivamente domiciliato in Lamezia Terme, via G. Da

Fiore, n. 73, presso lo studio dell’avv.to FRANCESCO GIAMPA’, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE CROTONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 215/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 07/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/01/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza pubblicata il 7 febbraio 2019, respingeva il ricorso proposto da W.C., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Catanzaro aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. La Corte d’Appello preliminarmente evidenziava che le questioni concernenti la regolarità degli atti del procedimento amministrativo tenutosi dinanzi alla commissione territoriale non assumevano alcuna rilevanza. Infatti, in materia di protezione internazionale, trattandosi di diritti soggettivi ed essendo il processo finalizzato al riconoscimento degli stessi, le nullità del procedimento amministrativo non potevano avere autonoma rilevanza. Peraltro, tali eccezioni erano del tutto nuove, in quanto non sollevate con l’appello e di contenuto generico anche in relazione al lamentato omesso approfondimento da parte della commissione territoriale di quanto avvenuto in Libia in danno del richiedente, non essendo infatti specificato quali fatti avrebbero dovuto essere approfonditi nè la rilevanza degli stessi, ai fini del riconoscimento della protezione internazionale.

La Corte d’Appello, inoltre, riteneva non necessario procedere all’audizione del richiedente la protezione internazionale, non essendo state prospettate esigenze specifiche che potessero eventualmente comportarne la necessità, anche tenuto conto di quanto affermato in relazione al periodo trascorso in Libia.

La Corte d’Appello evidenziava che non era possibile accogliere la domanda di regresso del giudizio dinanzi al Tribunale di Catanzaro a seguito dell’erronea motivazione del provvedimento che aveva fatto riferimento al Niger anzichè alla Nigeria. Al riguardo la Corte osservava che il vizio di motivazione dei provvedimenti appellati non assume rilievo assorbente nel senso che il giudice del secondo grado una volta ravvisato il vizio deve comunque esaminare la domanda ed eventualmente integrare la motivazione difettosa del primo giudice senza avere il potere di disporre regresso del procedimento previsto solo in casi eccezionali e tassativi.

Il richiedente aveva riferito di essere originario della città di (OMISSIS), di aver lasciato il paese in quanto il distributore di carburante in cui lavorava aveva preso fuoco per colpa di un cliente poco avveduto e il fuoco aveva distrutto ogni cosa, causando la morte di molti clienti e dipendenti, il suo datore di lavoro disperato per la vendita della sua attività e intenzionato a suicidarsi aveva ucciso i suoi dipendenti superstiti e voleva uccidere anche il richiedente tanto che si era recato a casa sua e non avendolo trovato, preso dalla rabbia, aveva ucciso il padre, lasciando un biglietto con una minaccia di morte nei suoi confronti egli, pertanto, aveva deciso di partire senza neanche rivolgersi alla polizia.

Secondo la corte d’appello le dichiarazioni non erano credibili in quanto del tutto generiche ed inverosimili e, in ogni caso, rappresentavano fatti non rilevanti in tema di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale. Quanto alla persecuzione in Libia questa era un’allegazione nuova, riferita ad un periodo di soli quattro mesi e non rispetto allo stato di provenienza e del tutto generica.

Sicchè doveva escludersi la sussistenza di concreti ed oggettivi elementi sulla cui base poter riconoscere all’appellante lo status di rifugiato politico. Lo stesso doveva dirsi quanto alla protezione sussidiaria con riferimento alle previsioni di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

La Corte d’Appello rigettava anche il motivo relativo al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Secondo la Corte nonostante la situazione della Nigeria fosse caratterizzata da un alto livello di stabilità non vi era, tuttavia, un rischio così elevato per la vita o per l’incolumità delle persone e doveva escludersi l’esistenza di un conflitto armato in atto e, comunque, l’esistenza di un rischio così elevato da costituire una minaccia individuale per l’appellante.

Infine, la Corte d’Appello rigettava anche il motivo di impugnazione relativo alla mancata concessione della protezione umanitaria perchè non emergevano concreti indici soggettivi tale da comportare un rischio nel caso di rientro in Nigeria. Nessuna allegazione riferibile al soggetto era stata effettuata nell’atto di appello rispetto alla situazione di vulnerabilità necessaria per il riconoscimento di tale tipo di protezione, anche in ragione della ritenuta non credibilità del racconto.

3. W.C. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

La censura attiene al rigetto del motivo di appello con il quale il ricorrente aveva evidenziato che il giudizio di primo grado aveva giudicato su fatti inesistenti particolare circa la provenienza dal Niger del richiedente e su fonti qualificate relativi a tale ultimo paese e non quello di provenienza effettiva del richiedente che era invece la Nigeria. Sulla base di tale erronea decisione il processo doveva regredire in primo grado in modo da ripristinare i diritti costituzionali del giusto presso del contraddittorio e della difesa. Inoltre, la corte d’appello non avrebbe tenuto in considerazione l’attuale condizione di insicurezza dell’effettiva zona di provenienza del ricorrente e il collegio non avrebbe consultato fonti aggiornate, datate al massimo al 2016, mentre il ricorrente aveva descritto analiticamente la situazione aggiornata del sud della Nigeria) citando sia l’articolo di (OMISSIS) dal titolo “non è Boko Haram la vera minaccia per la Nigeria” sia il report (OMISSIS) redatto alla Farnesina del 15 giugno 2017.

Il Collegio avrebbe ignorato anche la più recente produzione documentale dell’appellante, senza che peraltro l’avvocatura dello Stato avesse effettuato alcuna contestazione sul punto e, dunque, anche in violazione dell’art. 115 c.p.c..

1.1 Il primo motivo è inammissibile.

Il ricorrente propone due diverse doglianze una prima riguardante il rigetto della richiesta di remissione della causa al giudice di primo grado e una seconda avente ad oggetto la valutazione della situazione socio-politica della Nigeria sulla base di fonti non aggiornate.

Deve premettersi che: “In materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (Sez. U., Sent. n. 9100 del 2015).

La prima censura è inammissibile, dovendosi dare continuità al seguente principio di diritto: “In applicazione dei principi della tassatività delle ipotesi di rimessione di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. e della conversione nei motivi di nullità in motivi di impugnazione (art. 161 c.p.c., comma 1), con la conseguente possibilità per le parti di svolgere ugualmente nel grado superiore le loro difese, il giudice di appello, in caso di prospettata violazione dell’art. 112 c.p.c., nei motivi di gravame, non deve rimettere la causa al giudice di primo grado, nè limitarsi a dichiarare la nullità della sentenza, ma deve decidere la causa nel merito” (Sez. 2, Sent. n. 27516 del 2016).

La Corte d’Appello, pertanto, correttamente ha evidenziato che non ricorreva alcuna ipotesi per rimettere la causa al Tribunale e che il vizio fatto valere con il motivo di appello comportava la necessità di esaminare la domanda del richiedente.

La seconda doglianza relativa alle fonti citate dalla Corte d’Appello è inammissibile in quanto il ricorrente non indica altre fonti idonee a smentire quanto affermato nel provvedimento impugnato. Deve, dunque, darsi continuità al seguente principio di diritto: In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate (Sez. 1, Ord. n. 4037 del 2020).

Le fonti indicate nel secondo motivo, attinenti alla ripresa del terrorismo da parte del gruppo dei vendicatori del delta del Niger non sono tali da scalfire il giudizio espresso dettagliatamente dalla Corte d’Appello in relazione alla non configurabilità di una situazione riconducibile del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 17.

Il ricorrente riporta fonti qualificate relative al 2018 dalle quali trae la convinzione che la zona di provenienza non può essere considerata come sicura per il rimpatrio del richiedente che meriterebbe dunque la protezione internazionale, quantomeno nella forma della protezione sussidiaria.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, artt. 2 e 8 CEDU e degli artt. 2 e 10 Cost., nonchè dell’art. 112c.p.c., art. 132c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c..

La censura attiene al rigetto della domanda di protezione umanitaria, come evidenziato in sede di appello vi sarebbe una situazione di vulnerabilità rilevante a causa della povertà dell’inquinamento e della zona di provenienza del richiedente dove l’aspettativa di vita non supera i quarant’anni e la disoccupazione oscilla tra il 75% il 95%.

Il Collegio non avrebbe applicato i principi in materia di protezione umanitaria, il dato lavorativo non andava preso quale unico parametro e andava analizzato insieme alle ulteriori circostanze allegate dell’estrema povertà della Nigeria e della zona di origine del richiedente.

Il ricorrente censura anche la ritenuta non credibilità del racconto, nonostante lo stesso fosse dettagliato in tutti i suoi aspetti ed anche supportato dalla denuncia inoltrata dal fratello del ricorrente per la morte della madre. Inoltre, il collegio non avrebbe attivato i propri poteri officiosi per acquisire la completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello stato di provenienza in attuazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria.

3. Il secondo e terzo motivo di ricorso, che stante la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La Corte d’Appello, come si è detto in riferimento al primo motivo, ha fatto esplicito riferimento a fonti qualificate dalle quali ha tratto la convinzione che la Nigeria non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito e anche non idonea, quanto ai restanti fatti rappresentati (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che, in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2019).

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che, in tal caso, non si impone l’esercizio dei poteri officiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

Quanto alla protezione umanitaria deve evidenziarsi che la decisione del Tribunale è fondata sulla mancata allegazione da parte del richiedente di situazioni di vulnerabilità e la mancanza di individualizzazione dei motivi umanitari non può essere surrogata dalla situazione generale del paese di provenienza. Tale statuizione è conforme all’orientamento consolidato di questa Corte. Il racconto del ricorrente, peraltro, non è stato ritenuto credibile in relazione alle ragioni che hanno dato origine alla partenza e la situazione del paese non è stata ritenuta soggetta ad una violenza indiscriminata.

4. In conclusione il ricorso è inammissibile.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

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