Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8801 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. I, 15/04/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 15/04/2011), n.8801

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12762/2006 proposto da:

C.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI

35, presso lo studio dell’avvocato COZZI ARIELLA, rappresentato e

difeso dall’avvocato BALDASSINI Rocco, quale procuratore

antistatario, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto n. 50992/04 R.G.A.D. della CORTE D’APPELLO di ROMA

del 24/01/05, depositato il 07/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.U., con ricorso del 12 aprile 2006, ha impugnato per cassazione – deducendo due motivi di censura -, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, il decreto della Corte d’Appello di Roma depositato in data 7 marzo 2005, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del C. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Presidente del Consiglio dei ministri – il quale ha concluso per l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso -, ha respinto la domanda di equa riparazione;

che non resiste, il Presidente del Consiglio dei ministri;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale per l’irragionevole durata del processo presupposto, proposta con ricorso dell’8 luglio 2004, era fondata sui seguenti fatti: a) il C., asseritamente creditore di differenze retributive nei confronti della Regione Lazio, aveva proposto, con ricorso del 2 marzo 1990, la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio; b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza dell’11 giugno 1992 in senso favorevole al ricorrente; c) l’appello della Regione Lazio era stato definito dal Consiglio di Stato con sentenza di rigetto del 26 settembre 2001;

d) sulla base di dette sentenze, il C. aveva promosso il giudizio di ottemperanza dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio con ricorso del 19 novembre 2003; d) tale giudizio non si era ancora concluso alla data della proposizione della domanda di equa riparazione;

che la Corte d’Appello di Roma, con il suddetto decreto impugnato, nel dichiarare inammissibile la domanda ha affermato che: a) i giudizi dinanzi al Tribunale amministrativo ed al Consiglio di Stato vanno tenuti distinti dal giudizio di ottemperanza, diverso ed autonomo rispetto ad essi; b) tali giudizi sono stati definiti con la menzionata sentenza del Consiglio di Stato del 26 settembre 2001, con la conseguenza che la domanda di equa riparazione, proposta l’8 luglio 2004, è largamente intempestiva rispetto al termine semestrale di decadenza di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4;

che il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati per gruppi di questioni -, vengono denunciati come illegittimi: a) l’affermazione della non cumulabilità – ai fini della determinazione della durata complessiva del processo presupposto – della durata del processo di cognizione e di quella del processo di ottemperanza; b) l’esclusione dell’indennizzo;

che il ricorso non merita accoglimento;

che, in particolare, la censura sub a) è manifestamente infondata, perchè, secondo il diritto vivente, in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, questo va identificato, in base all’art. 6 della CEDU, sulla base delle situazioni soggettive controverse ed azionate sulle quali il giudice adito deve decidere, situazioni che, per effetto della suddetta norma sovranazionale, sono “diritti e obblighi” ai quali, avuto riguardo agli artt. 24, 111 e 113 Cost., devono aggiungersi gli interessi legittimi di cui sia chiesta tutela ai giudici amministrativi, con la conseguenza che, in rapporto a tale criterio distintivo, il processo di cognizione e quello di esecuzione, regolati dal codice di procedura civile, e quello cognitivo del giudice amministrativo e il processo di ottemperanza teso a far conformare la P.A. a quanto deciso in sede di cognizione, devono considerarsi, sul piano funzionale (oltre che strutturale), tra loro autonomi, in relazione appunto alle differenti situazioni soggettive azionate in ciascuno di essi, con le ulteriori conseguenze che, in ragione di siffatta autonomia, le durate dei predetti giudizi non possono sommarsi per rilevarne una complessiva dei due processi (di cognizione, da un canto, e di esecuzione o di ottemperanza, dall’altro) e che, perciò, solo dal momento delle decisioni definitive di ciascuno degli stessi processi, è possibile, per ognuno di essi, domandare, nel termine semestrale previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, l’equa riparazione per violazione del citato art. 6 della CEDU, con conseguente inammissibilità delle relative istanze in caso di sua inosservanza (cfr., da ultima, la sentenza n. 27348 del 2009, pronunciata a sezioni unite);

che, nella specie, i Giudici a quibus si sono conformati a tale “diritto vivente”, anche se formatosi successivamente al decreto impugnato;

che la censura sub b) è assorbita;

che le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate per intero tra le parti, in ragione della circostanza che la richiamata sentenza delle sezioni unite ha composto un precedente contrasto tra le sezioni semplici sulla questione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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