Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 880 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 17/01/2011, (ud. 28/10/2010, dep. 17/01/2011), n.880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

G.M.A., rappresentata e difesa, in forza di

procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. PACOR Sergio,

elettivamente domiciliata nello studio dell’Avv. Fabrizio Schiavone

in Roma, Via Riccardo Grazioli Lante, n. 16;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO DI (OMISSIS), in

persona dell’amministratore pro tempore C.C.,

rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del

controricorso, dagli Avv. MOZE Sergio e Sebastiano Mastrobuono,

elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultimo in Roma, Via

Fabio Massimo, n. 60;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Trieste in data 22 luglio

2009.

Udita, la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28 ottobre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentito l’Avv. Sergio Pacor;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso: “aderisce

alla relazione”.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il consigliere designato ha depositato, in data 15 aprile 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.: ” G.M.A., proprietaria di un appartamento nell’edificio condominiale di (OMISSIS), ha chiesto al Tribunale di Trieste, ai sensi dell’art. 1105 cod. civ., u.c., l’adozione degli opportuni provvedimenti a seguito della mancata esecuzione, da parte dell’amministratore del condominio, di quanto deliberato dall’assemblea in ordine alla rimozione di installazioni effettuate da alcuni condomini senza autorizzazione del condominio.

Si è costituito l’amministratore pro tempore, C.C..

Decidendo in Camera di consiglio con il procedimento di cui all’art. 737 cod. proc. civ., e segg., il Tribunale adito, con decreto, ha respinto il ricorso, condannando la ricorrente al rimborso delle spese in favore del condominio.

La Corte d’appello di Trieste, con decreto depositato il 22 luglio 2009, ha dichiarato l’inammissibilità del reclamo interposto dalla G., rilevando che – poichè la controversia andava introdotta, in primo grado, con il rito ordinario contenzioso ed il provvedimento impugnato, al di là del nomen iuris adottato, andava qualificato come sentenza – il rimedio esperibile era, non il reclamo, ma l’appello.

Per la cassazione di detto decreto la G. ha proposto ricorso, sulla base di quattro motivi.

Vi resiste l’intimato amministratore.

I primi tre motivi attengono alla statuizione di inammissibilità del reclamo. Si censura che tale decisione è erronea: in tesi, perchè, trattandosi di un’azione promossa, ai sensi dell’art. 1105 cod. civ., u.c., a seguito della mancata completa attuazione di una deliberazione assembleare, correttamente era stato intrapreso il procedimento in camera di consiglio ex art. 737 cod. proc. civ., con conseguente esperibilità del reclamo, ai sensi dell’art. 739 cod. proc. civ.; in subordine, perchè la Corte territoriale aveva adottato una pronuncia a sorpresa, rilevando d’ufficio il vizio, senza attivare il contraddittorio sul punto.

I motivi non possono essere scrutinati, non essendo il decreto della Corte d’appello, in questa parte, impugnabile con il ricorso per cassazione.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, i decreti emessi dal giudice, anche in sede di reclamo, in ordine ai provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune a norma dell’art. 1105 cod. civ., u.c., sono soltanto suscettibili di revoca o di modificazione, e non impugnabili con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., in quanto aventi natura di provvedimenti di volontaria giurisdizione (Sez. 1^, 18 marzo 1997, n. 2399; Sez. 2^, 29 dicembre 2004, n. 24140; Sez. 2^, 16 giugno 2005, n. 12881).

Nè la carenza di attitudine al giudicato del provvedimento impugnato viene meno in ragione della dedotta violazione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione, ed in particolare del diritto al riesame da parte di un giudice diverso, in quanto la pronuncia sull’osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, i modi ed i tempi con i quali la domanda può essere portata all’esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato e, pertanto, non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo, se di tali caratteri quell’atto sia privo (Cass., Sez. Un., 15 luglio 2003, n. 11026;

Cass., Sez. 2^, 6 maggio 2005, n. 9516). Il ricorso è invece ammissibile avverso la statuizione, contenuta nel decreto impugnato, relativa alla condanna alle spese del procedimento (cfr. Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2004, n. 20957).

Ma la censura, articolata con il quarto motivo, è infondata, perchè la Corte d’appello ha fatto applicazione del principio di soccombenza, mentre nessuna disposizione di legge imponeva a quel giudice di disporre la compensazione solo perchè la questione della inesperibilità del reclamo era stata sollevata d’ufficio.

Il ricorso può essere avviato alla decisione in Camera di consiglio, se il collegio condividerà le suesposte considerazioni”.

Letta la memoria della ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio fa propri argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che le critiche della ricorrente alla detta relazione non sono condivisibili;

che deve ribadirsi che i decreti emessi dal giudice ordinario, anche in sede di reclamo, in ordine ai provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune a norma dell’art. 1105 cod. civ., u.c., hanno natura di provvedimenti di volontaria giurisdizione, come tali suscettibili in ogni tempo di revoca o di modificazione, a norma dell’art. 742 cod. proc. civ.: essi, pertanto, non sono impugnabili con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.;

che questa conclusione non è destinata a mutare neppure se il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione, in quanto la pronunzia sull’osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, i modi e i tempi con i quali la domanda può essere portata all’esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato e, pertanto, non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo, se di tali caratteri quell’atto sia privo, stante la natura strumentale della problematica processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione sul merito (cfr. Cass., Sez. 1^, 14 maggio 2010, n. 11756);

che, quanto alle spese, va ribadito che l’essere stata la questione relativa alla inesperibilità del reclamo sollevata d’ufficio non precludeva al giudice di pronunciare sulle spese in applicazione del principio di soccombenza;

che, pertanto, il ricorso deve essere in parte dichiarato inammissibile e in parte, relativamente al quarto motivo, rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile e, in parte, relativamente al quarto motivo, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.200,00 di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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