Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8799 del 30/04/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 8799 Anno 2015
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: FALASCHI MILENA

ORDINANZA

sul ricorso 5739-2012 proposto da:
PREFETTURA – UFFICIO TERITORIALE del GOVERNO di
REGGIO CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

FALCOMATA’ DOMENICO ANTONIO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 517/2011 del TRIBUNALE di REGGIO
CALABRIA, depositata il 25/03/2011;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del
14/01/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Data pubblicazione: 30/04/2015

CONSIDERATO IN FATTO
Il Tribunale di Reggio Calabria, pronunciando sull’appello avverso la sentenza

emessa dal Giudice di Pace di Bianco n. 680/2007 del 18.2.2008, proposto
dalla Prefettura di Reggio Calabria nei riguardi di Domenico Antonio
FALCOMATA’, con sentenza n. 517/2011 (pubblicata il 25 marzo 2011), lo

gravame evidenziava che l’amministrazione appellante al momento della

costituzione, in data 4.4.2008, aveva depositato solo una copia, c.d. velina,
dell’atto di citazione in appello, priva di qualunque indicazione in ordine
all’avvenuta notifica alla controparte, depositando, poi, l’atto di appello

munito della relata di notifica solo alla prima udienza di trattazione (il giorno
14.10.2008). Concludeva che siffatta costituzione doveva ritenersi invalida per
cui, ai sensi dell’art. 348 c.p.c., andava dichiarata improcedibilità del gravame.
Avverso la menzionata sentenza (depositata il 25 marzo 2011) ha proposto
ricorso ordinario per cassazione (notificato il 27 febbraio 2012 e depositato il
12 marzo successivo) la medesima Prefettura denunciando, con unico motivo,
la violazione e falsa applicazione degli artt. 348, 347, 165 e 156 c.p.c. per avere
il giudice dell’impugnazione ritenuto invalida la costituzione dell’appellante.
L’intimato FALCOMATA’ non ha svolto difese in questa fase.
Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la
relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo raccoglimento del ricorso.

RITENUTO IN DIRITTO
Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla
relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: “Con l’unico motivo
l’Amministrazione denuncia violcqione e falsa applicazione degli artt. 348, 347, 165 e
156 c.p.c. sul presupposto che, nella fattispecie, il Tribunale di Reggio Calabria avrebbe
dovuto ritenere la validità della costituzione di esso ricorrente, nella qualità di appellante,

z

anche se effettuata mediante il deposito della sola copia, an iché dell’originale, dell’atto di
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dichiarava improcedibile. A sostegno dell’adottata decisione il giudice del

appello. A tal proposito la difesa erariale sostiene che la costituzione dell’appellante
attraverso il deposito della cosiddetta velina dell’atto di impugnazione, seguito dal successivo
deposito del conforme originale notificato, si sarebbe dovuta considerare pedèttamente idonea
al raggiungimento dello scopo, non solo perché non determinava alcuna lesione del diritto alla
difesa della controparte, ma anche perché non precludeva al giudice la possibilità di

dovesse avvenire antecedentemente alla prima udienza, come, invece, erroneamente ritenuto
dal giudice di «elio. In altri termini, la costituzione dell’appellante mediante deposito di
copia, anziché dell’originale recante la
relata di notificazione, dell’atto di impugnazione non avrebbe potuto determinare
l’improcedibilità dell’appello, integrando una mera irregolarità suscettibile di sanatoria
mediante il deposito dell’onginale entro la prima udienza di trattazione, che si identifica con
il momento in cui il giudice è chiamato a compiere la verifica della regolare costituzione in
giudizio. La difesa erariale ha, inoltre, prospettato che l’applicazione degli esposti principi al
caso di specie rende evidente l’inammissibilità della riconducibilità dell’ipotesi di costituzione
mediante la c. d. velina alla diversa fattispecie di omessa tempestiva costituzione, che sola
varrebbe a giustificare la pronuncia di improcedibilità. Ed invero ad una siffatta
declaratoria si potrebbe pervenire — nell’ottica delineata dal Ministero ricorrente — solo in
caso di accertata difformità tra la copia depositata al momento dell’iscrizione a ruolo e
l’originale notificato dell’atto di impugnazione, depositato soltanto successivamente, ma ove
non sia in discussione — come nella fattispecie — la conformità tra i due atti, si dovrebbe
ritenere che il deposito della velina in luogo dell’originale una mera irregolarità, non
integrando tale deviazione dal modello legale una costituzione priva dei requisiti necessari al
raggiungimento dello scopo dell’atto e non comportando essa alcuna violazione dei diritti
difensivi della parte appellata.
Occorre osservare che il Tribunale reggino, nel dichiarare l’improcedibilità
dell’appello con la sentenza impugnata, si è conformato ad uno specifico orientamento emerso
nella giurisprudenza di questa Corte, espressosi soprattutto nelle sentenze n. 18009 del
2008 e n. 10 del 2010. Secondo queste due pronunce, infatti, il deposito dell’atto di
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riscontrare la corretta instaurazione del giudizio, essendo da escludere che tale riscontro

citazione in appello privo della notifica alla controparte, all’atto della costituzione nel
giudizio di secondo grado, determinerebbe l’ improcedibilità del gravame ex art. 348 cp.c.,
essendo privo di effetti sananti l’eventuale deposito tardivo dell’atto notificato in prima
udienza, oltre il termine perentorio stabilito dalla legge. Per come ampiamente motivato nella
sentenza oggetto del ricorso (nella quale è stato ripercorso l’intero iter logico-sistematico posto

dell’appellante con il deposito di un atto non notificato (ovvero non recante la prova
documentale allegata della richiesta od eseguita notificazione) sarebbe sprovvista del
necessario requisito per il raggiungimento dello scopo cui è destinato il controllo di
procedibilità che la legge conferisce al giudice dell’impugnazione, con la conseguenza che, sulla
scorta di una lettura sistematica e coordinata degli artt. 347 e 348 cp.c., l’atto di appello
dovrebbe essere dichiarato improcedibile allorquando l’appellante non depositi, nel termine
stabilito per la sua costituzione (in relazione al richiamato art. 165 c.p.c.), l’atto di
impugnazione notificato ad almeno una delle controparti.
Ed era proprio questa la situazione processuale che si era venuta a verificare nel caso di
specie, laddove la Prefettura appellante, al momento della sua costituzione nel termine di
legge, aveva depositato semplicemente una copia (“velina”) dell’atto di citazione in appello, la
quale, tuttavia, era priva di qualsiasi indicazione in ordine alla richiesta od avvenuta
notifica ione alla controparte, mentre solo in corso di causa aveva depositato l’originale
dell’atto di appello notificato (ovvero munito del riscontro documentale dell’intervenuta
notificazione).
Secondo

giurisprudenziale al quale ha aderito il Tribunale reggino, la sanzione

della improcedibilità starebbe ad esprimere una valutazione normativa in ordine alla
necessità di un adempimento – la costituzione in giudizio entro il termine – che il giudice è
chiamato ad accertare d’ufficio al fine poter dare seguito e sviluppo al procedimento. D’altra
parte, la perentorietà del termine di costituzione in appello e la sua rilevabilità d’ufficio in
caso di inosservanza comporterebbero l’impossibilità di sanare ovvero di considerare mere
irregolarità, suscettibili in quanto tali di successiva regolarizzazione, impedèzioni e

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a fondamento della citata sentenza n. 18009 del 2008), la costituzione in giudizio

mancanze della costituzione in giudizio dell’appellante tali da impedire l’accertamento della
validità ed efficacia dello stesso atto di impugnazione.
Sulla scorta di tali argomentazioni il giudice di secondo grado ha rilevato che la
pro.spettazione dell’inapplicabilità della sanzione dell’improcedibilità e della configurabilità
di una mera irregolarità nella predetta situazione processuale relativa all’attività di

possibile regolatizzazione avrebbe, comunque, presupposto che la costituzione, pur potendo
avvenire con il deposito di una mera copia dell’atto di appello, sarebbe dovuta, in ogni caso,
intervenire nel termine di cui all’art. 165 c.p.c. con l’ allegazione della idonea indicazione e
del relativo riscontro documentale in ordine all’effettuata rituale richiesta od avvenuta
esecuzione della notificazione.
Il complessivo impianto nomentativo che sorregge la sentenza impugnata non sia
condivisibile.
La questione sottoposta al vaglio de/giudice di legittimità (come precisata anche nella parte
conclusiva del ricorso della Prefettura) è la seguente: “dica la Corte se violi gli arti. 348,
347, 165 e 156 cp.c., la sentenza del Tribunale che abbia dichiarato improcedibile
l’appello ritualmente nogicato e iscritto a ruolo a mezzo di c.d. “velina”, rilevando che il
deposito dell’atto di citazione in appello privo della notifica alla controparte, all’atto della
costituzione nel giudizio di secondo grado, determina l’improcedibilità del gravame ex art.
348 cp.c., considerato che l’accertamento dell’avvenuto deposito, al momento della
costituzione in giudizio dell’appellante, di una copia (o velina) dell’atto di appello in
sostituzione dell’originale contenente la relata dell’avvenuta notifica, non comporta la
sanzione dell’improcedibilità dell’appello”.
Contrariamente a quanto rilevato dal Tribunale di Reggio Calabria, la prevalente
giutisprudenza di questa Corte è schierata nel senso che l’accertamento dell’avvenuto
deposito, al momento della costituzione in giudizio dell’appellante, di una copia (o velina)
dell’atto di appello in luogo dell’originale contenente la relata dell’avvenuta notificazione
dello stesso atto, non comporta la sanzione dell’improcedibilità del gravame (cfr. Cass. 9
dicembre 2004, n. 23027; Cass. 24 agosto 2007, n. 17958; Cass. 29 luglio 2009, n.
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costituzione in appello della Prefettura non potevano considerarsi degne di rilievo perché la

17666, ord.; Cass. 17 novembre 2010, n. 23192; Cass. 8 maggio 2012, n. 6912 e, da
ultimo,Cass. 23 novembre 2012, n. 20789, ord.).
Questo condivisibile orientamento è, infatti, saldamente basato sull’indiscusso principio di
tassatività delle cause dì improcedibilità (tra le quali, per l’appunto, non è previsto —
all’atto dell’iscrizione a ruolo della causa da parte dell’appellante – il deposito dell’originale

di costituzione dell’appellante (da intendersi rifèriti a quelli contemplati dall’art. 165 c.p.c.,
per il giudizio di primo grado, in virtù del rimando trasparente nel primo comma dell’art.
347 cp.c.) e non anche alle forme; sulla non configurabilità di un pregiudizio del diritto di
difesa e dell’instaurazione del contraddittorio per effetto dell’avvenuta notificazione. Del
resto, la possibilità di provvedere alla costituzione in giudizio da parte dell’attore (e,
corrispondentemente, da parte dell’appellante in secondo grado) e alla contestuale iscrizione a
ruolo della causa prima del pedezionamento della notificazione (mediante il deposito della
c. d. “velina”) è un dato che deve ritenersi acquisito alla luce della lettura (costituzionalmente
orientata) operata dal Giudice delle leggi (ffr. sentenza 2 aprile 2004, n. 107, ed ordinanza
12 aprile 2005, n. 154, ma già prima v., in senso analogo, l’ordinanza 23 giugno 2000,
n. 239), secondo cui tale ultimo adempimento si ped e. ziona per il notificante sin dalla
consegna dell’atto all’ufficiale

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