Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8798 del 12/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 12/05/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 12/05/2020), n.8798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23141-2018 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante in

persona del pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO TOSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1063/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 31/05/2018 R.G.N. 133/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2020 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per inammissibilità, in subordine

rigetto;

udito l’Avvocato SERGIO GALLEANO;

udito l’Avvocato FRANCESCA BONFRATE per delega verbale Avvocato PAOLO

TOSI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale della medesima sede L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 57, ha – con sentenza n. 1063 del 31.5.2018 – respinto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato con lettera del 21.1.2016 da Poste Italiane s.p.a. a C.S., Responsabile di struttura complessa con mansioni di Responsabile gestione operativa della filiale di (OMISSIS), per aver posto in essere una pluralità di operazioni irregolari volte all’emissione di un vaglia postale senza immediato versamento della provvista mediante il coinvolgimento spontaneo di altre dipendenti di cui ha carpito la fiducia.

2. La Corte, ritenendo sussistente la giusta causa del licenziamento (derubricato, dal Tribunale, in licenziamento per giustificato motivo soggettivo) ha respinto il reclamo proposto dal lavoratore, rilevando che i fatti, pienamente accertati in sede istruttoria (di fonte testimoniale e documentale), dovevano ritenersi integrare gli estremi della giusta causa, e in specie la previsione dell’art. 54, comma 6, lett. k) c.c.n.l. di settore, essendo emerso che il C., pur di far fronte ad un proprio debito personale, non aveva esitato a porre in essere e a far porre in essere una serie di operazioni contrarie alle leggi, regolamenti e doveri di ufficio, carpendo la fiducia riposta nei suoi confronti dagli altri colleghi in ragione sia della stima nutrita sia della posizione sovraordinata e di responsabilità rivestita in azienda (seppur non direttamente nei loro confronti).

3. Per la cassazione di tale sentenza C.S. ha proposto ricorso affidato a due motivi. La società resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1364,1365,1369,2106 c.c. in connessione con l’art. 54 c.c.n.l. Poste (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente escluso la ricorrenza delle fattispecie tipizzate dalla contrattazione collettiva con sanzione conservativa (art. 54, comma 4), a fronte della insussistenza di un ruolo gerarchico nei confronti delle dipendenti della filiale di appartenenza e della condotta del C. tesa – seppur tramite procedure irregolari ad evitare un danno alla società ripianando nel più breve tempo possibile l’ammanco da lui non voluto nè tantomeno programmato, del quale ha assunto consapevolezza solo a posteriori.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1364,1365,1369 e 2106 c.c. in connessione con l’art. 54, comma 5, lett. D) c.c.n.l. Poste (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente escluso la sussistenza della condotta nell’ambito delle fattispecie punite con licenziamento per giustificato motivo soggettivo, essendo emerso un occultamento di fatti da parte del C. con esclusione di una diretta pressione del lavoratore nei confronti dei propri colleghi.

3. Il primo motivo è inammissibile.

Deve rimarcarsi che, in tema di ricorso per cessazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. nn. 16698 e 7394 del 2010).

Nella specie è evidente che il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge (in specie, del contratto collettivo) in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) bensì un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che nella versione ratione temporis applicabile – lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).

Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, nè gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori.

La sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i fatti controversi ed accertato che “dall’indagine interna di Poste e dall’istruttoria svolta in sede dibattimentale, è emerso che il C., al momento dell’emissione del vaglia, era ben consapevole di non avere la relativa provvista…..La concatenazione dei due fatti sopra indicati (l’offerta di aiuto economico da parte della collega P. e la dichiarazione del C. alle colleghe Z. e B. di avere la provvista sul proprio libretto di risparmio) dimostra in maniera oggettiva che il C., consapevolmente e volontariamente, ha dato vita all’operazione di emissione del vaglia essendo ben consapevole di non avere la relativa provvista, tant’è vero che non l’ha corrisposta contestualmente all’emissione del vaglia”.

La Corte distrettuale ha, pertanto, concluso che “La condotta del reclamante è sicuramente stata posta in essere in violazione dei principi di onestà, correttezza e trasparenza ed assume particolare rilievo in relazione alla posizione di responsabilità ricoperta dallo stesso e del servizio di pubblica rilevanza svolto da Poste”.

La tesi della buona fede del C., tale da attenuare gli aspetti soggettivi ed oggettivi della fattispecie, è, dunque, risultata smentita dal materiale probatorio acquisito in giudizio.

4. Il secondo motivo di ricorso è, del pari, inammissibile.

L’art. 54, comma 5, lett. D), invocato dal ricorrente prevede il licenziamento con preavviso nella seguente ipotesi:

“Per avere occultato fatti e circostanze relativi ad illecito uso, manomissione, distrazione o sottrazione di somme o beni di spettanza o di pertinenza della società o ad essa affidati”.

Il ricorrente, circoscrivendo la condotta tenuta dal C. alle sole operazioni di occultamento della temporanea appropriazione di somme di denaro (con esclusione dell’accertato abuso di fiducia nutrito dalle colleghe e del rilievo derivante dalla qualifica sovraordinata rivestita in azienda), ritiene sia integrata la previsione contrattuale, con conseguente obbligo del giudice di applicare la sanzione ivi correlata (nella specie, licenziamento con preavviso).

Il ricorrente, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio realmente rilevante sotto il profilo dell’interpretazione delle clausole contrattuali (come invocato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito.

Come già evidenziato, la Corte territoriale ha accertato la complessità dei comportamenti tenuti dal C. consistenti non solo nel compimento di operazioni irregolari posti in essere con la consapevolezza di non avere la necessaria provvista per ottenere l’emissione del vaglia, ma altresì nell’aver carpito, senza alcuno scrupolo, la fiducia di tre colleghi indotti ad assecondarlo in considerazione dell’ascendente esercitato dal collega per il ruolo di responsabilità ricoperto in azienda e per la fiducia nello stesso riposta.

5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.

6. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2020

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