Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8797 del 30/04/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 8797 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 21697-2008 proposto da:
DI CICCO GIOVANNI REMO, elettivamente domiciliato in
ROMA, Via ODERISI DA GUBBIO 78, presso lo studio
dell’avvocato LUCIANO ELIGIO LIBERATORE, rappresentato
e difeso dall’avvocato GABRIELE TEDESCHI, giusta
delega in atti;
– ricorrente –

2015
859

contro

TEKNOFORM S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;
– intimata –

avverso la sentenza n. 340/2008 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 30/04/2015

di

L’AQUILA,

depositata

il

05/05/2008

R.G.N.

1188/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
4

udienza del 19/02/2015 dal Consigliere Dott. ADRIANO
PIERGIOVANNI PATTI;

Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso
per accoglimento parziale del primo motivo,
inammissibilità del resto.

A

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado (che aveva
dichiarato illegittimo il recesso di Teknoform s.r.l. e condannato questa al pagamento, in
favore del suo dirigente a tempo determinato Giovanni Di Cicco a titolo risarcitorio, della

pagamento, in favore del secondo, di € 4.780,00 oltre accessori.
Ribadita l’illegittimità del licenziamento intimato per mancato superamento del periodo di
prova, per la nullità del relativo patto, attesa la positiva valutazione datoriale del lavoratore
nel pregresso rapporto lavorativo, sempre avente ad oggetto l’incarico di direttore dello
stabilimento di Sulmona, la Corte territoriale riduceva tuttavia l’entità della condanna
risarcitoria nella misura suindicata, per la necessitata conclusione comunque del rapporto di
lavoro, risolto con decorrenza 27 febbraio 2006, in data 17 marzo 2006 per cessazione
dell’attività aziendale, a seguito di procedura di mobilità ai sensi della legge n. 223/91 e messa
in liquidazione della società: comportante il venir meno della retribuzione fino alla scadenza
del contratto a tempo determinato del 31 luglio 2006.
Con atto notificato il 5 settembre 2008, Giovanni Di Cicco ricorre per cassazione con due
motivi; resta intimata Teknoform s.r.l. in liq.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5 c.p.c., per omessa giustificazione dell’implicito rigetto delle voci retributive di
luglio 2005, ferie non godute, tredicesima mensilità, T.f.r. e per contraddittorietà della ritenuta
cessazione dell’attività di impresa il 17 marzo 2006, nonostante le contrarie risultanze
istruttorie, nel senso della sua cessazione nel marzo 2007, dopo la scadenza del contratto a
termine del dirigente.
Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1463 c.c., in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per implicita applicazione della norma
denunciata senza alcun accertamento sulla possibilità di diversa collocazione aziendale del
lavoratore e pertanto di una sopravvenuta impossibilità totale e non solo parziale, con
esclusione della risarcibilità del residuo periodo lavorativo a tempo determinato.

somma di € 43.969,66, oltre accessori), con sentenza 5 maggio 2008, condannava la prima al

Il primo motivo, relativo a vizio di motivazione per omessa giustificazione dell’implicito
rigetto delle voci retributive di luglio 2005, ferie non godute, tredicesima mensilità, T.f.r. e
per contraddittorietà della ritenuta cessazione dell’attività di impresa il 17 marzo 2006, è
parzialmente fondato.
La Corte territoriale non ha, infatti, punto considerato le voci retributive anteriori al 17 marzo

13 febbraio 2006, somme del periodo dovute a titolo di ferie non godute, tredicesima e T.f.r.),
limitando senza alcuna giustificazione le differenze retributive liquidabili al lavoratore al
periodo dal 14 febbraio 2006, di decorrenza del licenziamento, al 17 marzo 2006, di
cessazione dell’attività di impresa (come si evince dalla lettura del terzo e quarto capoverso di
pg. 3 della sentenza): sicchè, in tali limiti il mezzo può essere accolto.
Esso è invece infondato in riferimento al periodo successivo, per la congruità
dell’accertamento in fatto e della valutazione probatoria della Corte territoriale, pur succinta
(a pg. 3 della sentenza), insindacabili in sede di legittimità: posto che, in riferimento al vizio
in esame, al giudice di legittimità spetta, non già il riesame nel merito dell’intera vicenda
processuale, ma la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e
formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità
del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n.
27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 marzo 2007, n. 5066). Soltanto il secondo
avendo il compito in via esclusiva di individuare le fonti del proprio convincimento, di
assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra
le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
veridicità dei fatti, liberamente attribuendo prevalenza all’una o all’altra (Cass. 21 aprile 2006,
n. 9368).
Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 1463 c.c., per implicita
applicazione della norma denunciata senza alcun accertamento sulla possibilità di diversa
collocazione aziendale del lavoratore, è invece inammissibile e comunque infondato.
Esso difetta, nella sua formulazione, di coerenza con il vizio denunciato nella rubrica, per
inconfigurabilità dei requisiti suoi propri, di erronea sussunzione della fattispecie concreta in
quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni
in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con

2006 indicate nel ricorso introduttivo del giudizio (luglio 2005, giornate lavorative dall’I al

le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla
giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: Cass. 26 giugno 2013, n. 16038;
Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).
Il mezzo è poi dedotto con prospettazione generica, in violazione art. 366, primo comma, n. 4
c.p.c. (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio

cessazione dell’attività di impresa: “dalla documentazione versata in atti e dalle deposizioni

dei testi escussi è emerso che l’attività aziendale è cessata il 17/3/2003, a seguito della
procedura di mobilità ai sensi della legge n. 223/1991 e messa in liquidazione della società”
(così a pg. 3 della sentenza). Da tale circostanza la Corte ha correttamente tratto la
conseguenza della necessitata conclusione del rapporto lavorativo in esame alla data
suindicata, non avendo più Di Cicco avuto diritto alla percezione della retribuzione da essa
fino alla scadenza del contratto a tempo determinato (31 luglio 2006),

“poiché, per

impossibilità sopravvenuta non imputabile al datore, quest’ultimo, a partire dal 17/3/2006,
non avrebbe potuto utilizzare la prestazione della controparte” (ancora a pg. 3 della
sentenza).
Ed una tale conclusione appare in linea con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui tutte
le volte che l’imprenditore è privato dell’opportunità di utilizzare la prestazione della
controparte a seguito della perdita della disponibilità della struttura aziendale, si realizza una
situazione che, al pari della cessazione dell’azienda, fa venir meno lo stesso substrato della
prestazione lavorativa, per cui il datore è legittimato a recedere dal rapporto, ormai estinto
per impossibilità sopravvenuta ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c. (Cass. 26 luglio 2002, n.
11121; Cass. 6 agosto 1996, n. 7189).
Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente, in accoglimento per quanto di
ragione del primo mezzo e per il resto rigettato il ricorso, la cassazione della sentenza
impugnata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio, per l’accertamento delle differenze
retributive liquidabili a Giovanni Di Cieco in riferimento al periodo fino al 17 marzo 2006 e
per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di L’Aquila, in
diversa composizione.

P.Q.M.

2008, n. 18202), elusiva dell’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale, di

La Corte
accoglie il primo motivo per quanto di ragione, rigetta nel resto il ricorso; cassa la sentenza
impugnata, con rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla
Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione.

Il Pre dente

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2015

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