Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8792 del 30/04/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 8792 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DE MARINIS NICOLA

SENTENZA

sul ricorso 12847-2012 proposto da:
PAPPALARDO MARCO CRISTIANO C.F. PPPMCC79L25L219T,
domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA
CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato ETTORE MARIA
GLIOZZI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
666

contro

HOLDING DEI GIOCHI S.P.A.

C.F.

08985630154,

in

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO

Data pubblicazione: 30/04/2015

GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO
HERNANDEZ, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato MASSIMO GOFFREDO, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1120/2011 della CORTE

175/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/02/2015 dal Consigliere Dott. NICOLA
DE MARINIS;
udito l’Avvocato HERNANDEZ FRANCESCO per delega
HERNANDEZ FEDERICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

D’APPELLO di TORINO, depositata il 30/11/2011 R.G.N.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 12 ottobre 2011, la Corte d’Appello di Torino, confermava la decisione
con cui il Tribunale di Torino aveva rigettato la domanda proposta da Marco Cristiano
Pappalardo nei confronti della Holding dei Giochi S.p.A., alle cui dipendenze aveva
prestato la propria attività lavorativa con mansioni di commesso/magazziniere ed

conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla Società datrice
per giusta causa, quale sanzione massima a fronte dell’insubordinazione contestatagli a
seguito del diverbio litigioso occorso con il proprio superiore gerarchico e connotato da
grida, insulti, atteggiamenti di sfida e minacciosi da parte del lavoratore davanti a clienti e
dipendenti, anche a motivo della recidiva plurima, derivante da precedenti contestazioni per
mancanze di vario genere, anche della stessa natura di quella da ultimo addebitatagli, mai
in precedenza e neppure nell’instaurato giudizio impugnate dal Pappalardo..
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa, non diversamente dal
giudice di prime cure, disatteso, sulla base della valutazione delle risultanze istruttorie, la
versione dei fatti offerta dall’odierno ricorrente, il quale non solo negava di aver
fisicamente aggredito il superiore ma ne contestava le modalità e comunque la
proporzionalità alla condotta della sanzione irrogata che riconduceva ad più generale clima
di ostilità nei suoi confronti attestato dalla pluralità dei provvedimenti disciplinari
comminatigli e, di contro, ritenuto, previa formulazione del giudizio sulla gravità della
condotta addebitata e della sua idoneità a ledere il vincolo fiduciario anche alla luce della
contestata recidiva, la piena riconducibilità della condotta medesima all’ipotesi
dell’insubordinazione verso i superiori accompagnata da contegno oltraggioso indicata nel
codice disciplinare come fattispecie punibile appunto con il licenziamento per giusta causa.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il Pappalardo, affidando l’impugnazione a due
motivi, cui resiste, con controricorso, la Società, la quale ha poi presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i formulati due motivi di impugnazione, rubricati, il primo, “Contraddittoria
motivazione circa punti decisivi della controversia nonché violazione di legge” e, il
secondo, “Omessa motivazione circa punti decisivi della controversia”, il ricorrente
lamenta l’incongruità dell’iter logico giuridico seguito dalla Corte territoriale, che approda
al convincimento della ricorrenza nella specie dell’invocata giusta causa di recesso per
quanto, con riguardo ai comportamenti in cui si sostanziava la mancanza contestata, sia

inquadramento nel V livello del CCNL del settore Terziario, distribuzione e servizi, volta a

dichiaratamente addivenuta all’accertamento negativo di quello relativo all’aggressione
fisica del proprio superiore gerarchico da parte dell’odierno ricorrente e ritenuto provato,
sulla base di una soltanto delle testimonianze tra le tante, di diverso e perplesso tenore,
assunte in sede istruttoria, quello consistente nell’aver tenuto nei confronti dello stesso
superiore un atteggiamento intimidatorio e rivolto a questi frasi irriguardose e offensive.
Entrambi i motivi muovono, con tutta evidenza, da una tesi pregiudiziale, non a caso
esposta dal ricorrente in premessa alla formulazione degli stessi, tesi per cui l’addebito

fatto oggetto di contestazione disciplinare e posto a base del successivo provvedimento
espulsivo non si identifica nel fatto in sé, dato dallo stesso verificarsi dell’episodio di
insubordinazione, bensì nelle specifiche modalità di svolgimento che quell’episodio è
andato in concreto ad assumere, individuate dalla Società appunto nell’aggressione fisica,
nell’atteggiamento minaccioso, negli insulti cui l’odierno ricorrente si sarebbe abbandonato
nel corso del diverbio avuto con il proprio superiore.
Sennonché, quella tesi è sostenuta prescindendo dall’essenziale supporto del riferimento
alla lettera di contestazione nella quale soltanto essa poteva trovare riscontro, lettera di cui
il ricorrente non. riporta qui il testo né indica la collocazione agli atti del giudizio, con la
conseguenza dell’inammissibilità di entrambi i motivi per violazione del principio di
autosufficienza del ricorso.
Dovendo così prescindere dall’esame della lettera di contestazione e, versando, perciò,
nell’impossibilità di verificare la reale consistenza della tesi prospettata dal ricorrente e

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delle censure su quella fondate, questa Corte non può che prendere atto dell’opzione
interpretativa accolta, con riguardo al contenuto della lettera di contestazione, dalla Corte
territoriale ed intesa ad assumere a riferimento dello scrutinio di legittimità del recesso,
sotto il profilo della giustificazione del medesimo, il fatto stesso dell’insubordinazione,
considerato in sé e nel contesto più generale del comportamento complessivo del ricorrente,
stante la recidiva plurima, anche relativa a condotte della medesima natura, parimenti
contestatagli. E, da qui, giungere a ritenere la congruità del giudizio espresso dalla Corte
territoriale e a rilevarne la coerenza, del resto conclamata, con l’orientamento in materia
accolto da questa Corte (vedi Cass. 22.6.2009, n. 14586 e Cass. 15.2.2008, n. 3865 citate in
motivazione) nella misura in cui, valutata la non rispondenza al canone del diligente
adempimento della prestazione lavorativa della condotta in sé e, in relazione ai precedenti,
il suo essere espressione di un più generale atteggiamento di renitenza alla disciplina
aziendale, conclude per l’idoneità della condotta medesima a compromettere in via
definitiva il vincolo fiduciario e, così, ad integrare gli estremi della invocata giusta causa.

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Il ricorso va, dunque, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
.4

PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi, oltre spese
generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 febbraio 2015.

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