Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8792 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 30/03/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 30/03/2021), n.8792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1202/2020 proposto da:

K.N.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARCO TIFFI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CROTONE PRESSO LA

PREFETTURA DI CROTONE, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ope legis in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1474/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 08/07/2019 R.G.N. 949/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con sentenza n. 1474/2019 la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto della domanda di K.N.S., cittadino del (OMISSIS), intesa al riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria;

2. dalla sentenza impugnata emerge che l’odierno ricorrente aveva allegato di essersi allontanato dal Bangladesh per ragioni di famiglia ed economiche (padre malato e necessità di un lavoro) ed anche perchè, avendo trovato in patria un lavoro, era stato scambiato per appartenente ad un partito politico e per questo perseguitato da ignoti; in realtà chi era impegnato in attività politica era il suo datore di lavoro;

3. la Corte di merito ha ritenuto che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato stante la complessiva mancanza di credibilità del racconto del ricorrente in ordine alle effettive ragioni dell’allontanamento dal paese di origine; tanto impediva di configurare il ricorrere delle ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); la protezione sussidiaria non poteva essere riconosciuta neppure ai sensi dell’art. 14 cit., lett. c), in quanto le fonti consultate escludevano una situazione di violenza generalizzata per la presenza di un conflitto armato per essere nel territorio del Bangladesh comunque presente il controllo delle Forze dell’Ordine che avevano cercato di reprimere e prevenire episodi di violenza; del resto, il ricorrente nel proprio racconto non aveva mai fatto riferimento ad atti di violenza indiscriminata caratterizzanti il Paese; quanto alla protezione umanitaria non erano emersi specifici profili di vulnerabilità connessi all’eventuale rientro nel Paese di origine;

3. K.N.S. ha chiesto la cassazione della decisione sulla base di un unico motivo articolato in più profili; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1 Convenzione di Ginevra 28.7.1951, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 lett. e), artt. 3, 4,7,14,16 e 17, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 10 Cost., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 5, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè omesso esame di un fatto decisivo; deduce che non sarebbe stata valutata la posizione del ricorrente alla luce della situazione generale presente in Bangladesh; contesta, inoltre, la valutazione di non credibilità del narrato ed assume di avere fatto il possibile per circostanziare le dichiarazioni rese ed assolvere al proprio onere probatorio; richiama la situazione di instabilità politica del Bangladesh che assume dare luogo ad una vera e propria situazione di emergenza umanitaria configurante specifica condizione di vulnerabilità, ed evidenzia il grado di integrazione sociale desumibile dalla documentazione prodotta;

2. il ricorso è inammissibile in quanto connotato da mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dovendosi escludere alla luce della condivisibile giurisprudenza di questa Corte la possibilità di prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. n. 26784/2018, n. 19443/2011);

2.1. è ancora da rilevare quale concorrente profilo di inammissibilità che la denunzia di violazione e falsa applicazione di norme di diritto non è formulata mediante la indicazione oltre che delle norme assuntivamente violate, anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione, come prescritto (Cass. n. 24298/2016 n. 53535/2007, n. 11501/2006), o l’errore sussuntivo del giudice di merito nel ricondurre la fattispecie per come in concreto accertata a quella regolata dalla norma della quale è denunziata falsa applicazione;

2.2. analogamente, la denunzia del vizio di motivazione non è conforme all’attuale configurazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che esige la individuazione di uno specifico fatto storico-fenomenico, di carattere decisivo, evocato nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (ex plurimis Cass. Sez. Un. 8053/2014), fatto neppure compiutamente identificato;

2.3. le censure articolate risultano, in realtà intese a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento sia della credibilità del ricorrente sia della verifica delle condizioni del Bangladesh con riferimento alla protezione sussidiaria e umanitaria, così sollecitando un sindacato precluso al giudice di legittimità;

3. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

4. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

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