Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8791 del 12/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 12/05/2020, (ud. 16/04/2019, dep. 12/05/2020), n.8791

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7243/2015 proposto da:

P.P., nella qualità di erede di P.S., domiciliato

in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE MISCIONE;

– ricorrente –

contro

RISTORANTE SAN DOMENICO S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNA MACHIRELLI;

ALLIANZ S.P.A. (già S.P.A. R.A.S.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO SPADAFORA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1031/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 15/09/2014 R.G.N. 666/2009.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il Consigliere relatore.

Fatto

RILEVA

che:

con sentenza del 5 marzo – 28 aprile 2009 il giudice del lavoro di Bologna rigettava la domanda proposta da P.S. volta ad ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivati dalla sua involontaria ingestione di acido muriatico ovvero soda caustica presso i locali del ristorante San Domenico in (OMISSIS). Con l’anzidetta pronuncia giudicante riteneva quindi assorbita la richiesta di manleva proposta da parte convenuta nei confronti della compagnia assicuratrice ALLIANZ Subalpina S.p.a.. Avverso la succitata sentenza interponeva gravame P.S., poi nelle more del giudizio di secondo grado deceduto ed al quale perciò subentrava P.P.. L’impugnazione veniva quindi respinta dalla Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 1031 in data 1 luglio – 15 settembre 2014, con il rigetto altresì dell’appello incidentale proposto dalla società Ristorante San Domenico limitatamente al capo della pronuncia che aveva compensato le spese relative al 1^ grado del giudizio. Le spese di 2^ grado venivano, invece, compensate in ragione di 1/3, con la condanna di parte appellante al pagamento della restante quota a favore della S.r.l. Ristorante San Domenico, mentre venivano per intero compensate nei confronti della S.p.a. ALLIANZ, già Allianz Subalpina;

la sentenza d’appello è stata quindi impugnata mediante ricorso per cassazione da P.P., quale erede di P.S., con un solo articolato motivo, cui hanno resistito mediante distinti controricorsi ALLIANZ S.p.a. (già R.A.S. S.p.a., – conferitaria dell’azienda di Allianz Subalpina) e la S.r.l. Ristorante SAN DOMENICO;

il ricorrente P. e la società ALLIANZ hanno depositato memorie illustrative in vista dell’adunanza fissata in Camera di consiglio per il 16 aprile 2019.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2043 c.c., sostenendo l’erroneità dell’impugnata sentenza poichè il giudice d’appello, con una motivazione illogica e confliggente con i fatti accertati in giudizio aveva escluso la responsabilità aquiliana generica nonchè quella da cose in custodia in capo alla convenuta società San Domenico. I fatti di causa, peraltro mai contestati tra le parti, riguardavano l’accaduto del (OMISSIS), allorchè il sig. P.S., aveva involontariamente ingerito acido muriatico contenuto all’interno di una bottiglia di acqua frizzante posta sopra una mensola. Siccome il predetto veniva impiegato per alcuni lavoretti all’interno del locale, aveva chiesto al giudice adito, previo accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato ovvero autonomo con il ristorante San Domenico, il risarcimento dei danni subiti per effetto dell’infortunio, oltre che ai sensi dell’art. 2087 c.c., anche in relazione a quanto previsto dagli artt. 2043 o 2051 c.c.. La sentenza d’appello, una volta rigettato il motivo di gravame concernente la sussistenza del rapporto di lavoro, avrebbe dovuto argomentare in diritto anche sul 3 motivo relativo alla responsabilità aquiliana ovvero da cose in custodia. Per contro, senza dire nulla, in modo incomprensibile il comportamento di S. era stato giudicato sconsiderato nonchè caratterizzato da intrinseco dinamismo lesivo, perciò escludendo ogni responsabilità in capo alla società convenuta. L’infortunato, secondo il ricorrente, aveva impiegato la consueta cautela che si deve prestare all’interno di un ristorante nel bere da una bottiglia di acqua frizzante. D’altronde, non si comprendeva quale particolare prudenza avrebbe dovuto adottare il P., mosso dalla sete. Comunque, la sentenza d’appello risultava errata soprattutto laddove aveva affermato l’arbitrarietà del comportamento di andare a ricercare prendere da solo 1 bottiglia di acqua frizzante. Tale affermazione era priva di pregio, poichè l’infortunato era libero di muoversi all’interno del locale in quanto amico dei proprietari, sicchè non aveva bisogno di autorizzazioni per prendere un bicchiere d’acqua. In realtà, appariva evidente pure da quanto emerso in sede istruttoria che la bottiglia d’acqua frizzante era stata una fatale insidia per il sig. P.. Nel caso di specie non vi era stato alcun intrinseco dinamismo lesivo. Semmai il ristorante San Domenico, avendo posto all’interno del c.d. office (locale in cui erano riposte tutte le bottiglie d’acqua) una bottiglia di acqua frizzante riempita con acidi nocivi, aveva colposamente causato l’incidente. Pertanto, non poteva escludersi la responsabilità di parte convenuta, a nulla valendo le considerazioni per cui la bottiglia d’acqua era riposta su di uno scaffale o avrebbe avuto l’etichetta con la scritta “sapone”. Infatti, la pericolosità di un prodotto come l’acido muriatico doveva necessariamente essere rilevabile tramite l’etichetta industriale possa sul suo originale contenitore, come imposto la legge. Inoltre, l’etichetta scritta a mano, nella specie piccola e illeggibile, non avrebbe potuto evitare l’incidente, poichè era stata la stessa bottiglia posta nella stanza in cui vi erano situate altre bottiglie d’acqua minerale, ad aver ingannato il malcapitato, il quale pertanto era stato indotto in errore dall’insidia e trabocchetto. Nel caso in esame, infatti, era indubbio che la bottiglia contenente acido, ma posta vicino ad altre bottiglie di acqua minerale, costituiva di per sè un’insidia. La motivazione della sentenza d’appello risultava, altresì, erronea per violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., anche nel punto in cui, confermando la pronuncia di primo grado, non aveva ravvisato della condotta della società San Domenico elementi di colpa. Infatti, il collegio giudicante aveva arbitrariamente disapplicato criteri consolidati in tema di danno da cose in custodia, che prevedono l’imputabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c., al di là della colpa del custode, trattandosi di responsabilità oggettiva, che presuppone non la colpa del custode, ma la mera esistenza di un nesso causale tra la cosa e il danno, come da citata giurisprudenza. Nel caso in esame la Corte d’Appello aveva dunque erroneamente valutato i fatti di causa escludendo la responsabilità del custode, ossia della società convenuta, in effetti senza motivazione. Infatti, la Corte territoriale avrebbe dovuto analizzare il nesso eziologico sussistente tra l’evento danno e l’insidia causata da una bottiglia d’acqua frizzante contenente acido;

tanto premesso, le anzidette doglianze vanno disattese, siccome in effetti volte a ricostruire in punto di fatto la dinamica del sinistro in modo diverso da quanto contro ritenuto, peraltro motivatamente, dalla Corte di merito, ciò che non è consentito in sede di legittimità, tanto più – come nel caso di specie – allorquando il ricorso per cassazione si limiti a denunciare pretesi errori di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, e non anche possibili vizi (ex art. 360 c.p.c., n. 5), derivanti da omesso esame di circostanze fattuali decisive, nè carenze motivazionali rilevanti (ex art. 360 c.p.c., n. 4) ai sensi dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4 e artt. 118 disp. att. c.p.c.;

invero, la Corte di merito con la pronuncia de qua ha, preliminarmente, respinto le censure mosse dall’appellante principale circa la pretesa omessa pronuncia, ovvero l’asserita carenza di motivazione della sentenza gravata, laddove la stessa rispondeva, in modo stringato e per argomenti prevalenti, al complesso delle alternative prospettazioni di parte ricorrente, in conformità alle previsioni di cui agli artt. 112 e 132 c.p.c., nonchè art. 118 relative disp. att.. Gli spezzoni di deposizioni testimoniali e le sintesi di verbalizzazione delle stesse, su cui fondava le proprie ragioni l’appellante per sostenere un diverso quadro probatorio rispetto a quello valorizzato dal primo giudicante (peraltro con sostanziale acquiescenza alla esclusa sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l’attore e la società convenuta), non sortivano l’effetto sperato. Le deposizioni rese dai quattro testi escussi erano state univoche e concordanti nell’escludere l’instaurazione di un rapporto di lavoro, ovvero la committenza di specifici incarichi da parte del ristorante San Domenico nei confronti del P., del quale era dunque riprovata l’assoluta episodicità e occasionalità ed il carattere puramente amicale e per diporto della presenza del pensionato presso i locali dell’esercizio e del suo interessamento, talora, a piccole manutenzioni. Tali circostanze di netta discontinuità e discrezionalità non consentivano di ritenere integrata neppure una forma di collaborazione parasubordinata ovvero autonoma in via di fatto nei rapporti tra le parti in difetto di prova di un qualsivoglia coordinamento dei saltuari “lavoretti” o “servizi” prestati con l’attività aziendale. Solo ad abundantiam occorreva richiamare gli argomenti svolti per escludere comunque la ricorrenza nel caso in esame degli estremi di imputazione della responsabilità del D.Lgs. n. 626 del 1994, ex art. 7;

pertanto, ad avviso della Corte bolognese, muovendosi discrezionalmente nei locali del ristorante, quale amico e conoscente dei titolari nonchè del personale e occasionale loro commensale, il P. non era creditore di informative sui pericoli connessi ad un ambiente di lavoro a cui era estraneo, essendo bensì tenuto alla normale prudenza e cautela che fa carico ad ogni consociato in ogni aspetto del vivere civile. Del tutto arbitrario era stato, dunque, il suo comportamento di andare a ricercare e a prendere da solo una bottiglia di acqua frizzante, posizionata non ad immediata portata di mano (in quanto si trovava su di uno scaffale posto in alto sopra la lavabicchieri e non era confusa con altre bottiglie azzurre di acqua frizzante), sita in un locale di servizio, che non era la cucina o il magazzino vivande: donde la irrilevanza dell’accessibilità dei locali e la circostanza di cui al 3^ motivo di appello (con il quale era stata censurato il preteso equivoco incorso nel ritenere che la bottiglia contenente sapone per lavastoviglie, del tipo destinato all’acqua minerale di colore blu con etichettato il predetto contenuto, posta su mensola sovrastante la macchina la bicchieri- si trovasse in locale di servizio diverso da quello dove il personale del ristorante consumava i pasti e con esso il P. – cfr. pagg. 2 e 4 della sentenza d’appello). Nella descritta dinamica dell’incidente, verificatosi mediante l’ingestione di acido nonostante la particolare collocazione della bottiglia contenente la specifica indicazione sulla stessa del contenuto, stava la sufficienza della motivazione della sentenza di 1^ grado, che aveva escluso la responsabilità aquiliana generica e quella da custodia di cose, in difetto di colpa ravvisabile nei gestori del ristorante e di intrinseco dinamismo lesivo insorto nella cosa – atteso che la lesività era integralmente riconducibile alla condotta sconsiderata del P.;

vanno, altresì, richiamate le argomentazioni poste a fondamento della sentenza di primo grado, condivise, ancorchè per relationem, dai giudici di appello, riportate peraltro alle pagine 12, 13 e 14 dello stesso ricorso per cassazione, laddove tra l’altro è stato precisato che il giorno dell’infortunio il P. si trovava nel ristorante soltanto perchè era venuto a salutare uno dei soci e che in ogni caso non gli era permesso di accedere ai locali di servizio. Inoltre, era stata accertata l’esistenza sulla bottiglia in argomento della etichetta che ne indicava chiaramente il contenuto e che si trovava in un locale di servizio ove era collocata la lavastoviglie, sicchè la causa dell’infortunio andava individuata nell’incauto comportamento del ricorrente, che senza alcuna autorizzazione, si era recato in un locale al quale non poteva accedere, bevendo quindi il contenuto di una bottiglia già aperta, che si trovava nei pressi di una lavastoviglie, senza neppure leggere l’etichetta. Non era, quindi, ravvisabile alcuna responsabilità della convenuta, nè ai sensi dell’art. 2051 c.c., atteso che l’infortunio non era stato causato dalla cosa in custodia, ma dall’incauto uso che ne aveva fatto l’attore, nè ai sensi dell’art. 2043 c.c., poichè nessun comportamento colposo o impudente poteva muoversi alla convenuta; pertanto, alla luce delle anzidette motivate ricostruzioni, in punto di fatto, relative all’incidente di cui è processo, conformemente operate dagli aditi giudici di merito, insindacabili in questa sede, non si ravvisano errori di diritto in ordine all’applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., di cui non venivano ravvisati gli estremi per poter addebitare alla parte convenuta la responsabilità del sinistro e quindi delle sue dannose conseguenze, visto in particolare che queste ultime sono state ricollegate esclusivamente al comportamento, giudicato incauto, tenuto dall’infortunato, piuttosto che alla condotta nell’occorso osservata dalla società San Domenico nella conservazione in un luogo appartato (situato vicino alla macchina lavabicchieri o lavastoviglie) della bottiglia, già aperta e contenente il liquido nocivo ingerito dal P., nonchè recante un’etichetta che ne differenziava comunque il contenuto rispetto all’acqua minerale contenuta in analoghe bottiglie, però allocate separatamente. In altri termini, i giudici di merito nel caso in esame hanno escluso non solo qualsiasi rapporto contrattuale tra le parti, tale da imporre rigorose cautele e specifiche misure di sicurezza o particolari presidi antiinfortunistici a carico della società, ma anche un nesso di diretta causalità materiale tra la condotta (di tipo massimamente omissivo) mantenuta dalla convenuta ed il comportamento dell’infortunato, sostanzialmente per contro considerato imprudente, imprevedibile ed anomalo, se non addirittura abnorme, per un ospite, occasionale, del pubblico esercizio, che vi si avventuri nei locali alla ricerca di una bottiglia d’acqua minerale, incautamente bevendone il contenuto, senza avvedersi della sua vera sostanza, nonostante pure l’apposita indicazione esistente sulla stessa (invero, come chiarito da Cass. III civ. n. 21244 del 29/09/2006, in tema di responsabilità da custodia, facendo eccezione alla regola generale di cui al combinato disposto degli artt. 2043 e 2697 c.c., art. 2051 c.c., determina un’ipotesi caratterizzata da un criterio di inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del custode la possibilità di liberarsi della presunzione di responsabilità a suo carico mediante la prova liberatoria del fortuito, risultando a tale stregua agevolata la posizione del danneggiato, rimanendo sul custode il rischio del fatto ignoto. Cfr. in senso analogo anche Cass. n. 3651 del 20/02/2006 circa l’onere probatorio a carico del danneggiato che domanda il risarcimento del pregiudizio sofferto in conseguenza dell’omessa o insufficiente manutenzione delle strade o di sue pertinenze, secondo le regole generali in tema di responsabilità civile, dimostrando che il pregiudizio subito sia derivano dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto. Tale prova consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, e può essere data anche con presunzioni, non essendo il danneggiato viceversa tenuto a dare la prova anche della presenza di un’insidia o di un trabocchetto -estranei alla responsabilità ex art. 2051 c.c. – o dell’insussistenza di impulsi causali autonomi ed estranei alla sfera di controllo propria del custode o della condotta omissiva o commissiva del medesimo. Facendo eccezione alla regola generale di cui al combinato disposto degli art. 2043 e 2697 c.c., art. 2051 c.c., determina infatti un’ipotesi caratterizzata da un criterio di inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del custode la possibilità di liberarsi dalla responsabilità presunta a suo carico mediante la prova liberatoria del fortuito, dando cioè, in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa gli attribuisce, la dimostrazione che il danno si è verificato in modo non prevedibile nè superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso. E’ allora sul piano del fortuito, quale esimente di responsabilità, che possono assumere rilievo anche i caratteri dell'”estensione” e dell'”uso diretto della cosa” da parte della collettività che, estranei alla “struttura” della fattispecie e pertanto non configurabili come presupposti di applicazione della disciplina ex art. 2051 c.c., possono valere ad escludere la presunzione di responsabilità ivi prevista ove il custode dimostri che l’evento dannoso presenta i caratteri dell’imprevedibilità e della inevitabilità non superabili con l’adeguata diligenza, come pure l’evitabilità del danno solamente con l’impiego di mezzi straordinari.

V. ancora Cass. III civ. n. 8229 del 7/4/2010, secondo cui la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall’art. 2051 c.c., prescinde dall’accertamento del carattere colposo dell’attività o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento; tale responsabilità prescinde, altresì, dall’accertamento della pericolosità della cosa stessa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato – con effetto liberatorio totale o parziale – anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l’evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno. In senso conforme Cass. n. 28811 del 5/12/2008.

D’altro canto, Cass. III civ. n. 9754 del 10/5/2005 ha pure chiarito che l’accertamento del nesso causale tra il fatto illecito e l’evento dannoso rientra tra i compiti del giudice del merito ed è sottratto al sindacato di legittimità della S.C., la quale, nei limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è legittimata al solo controllo sull’idoneità delle ragioni addotte dal giudice del merito a fondamento della propria decisione. In applicazione del suindicato principio, con riferimento a ricorso avverso il rigetto di domanda di risarcimento dei danni sul presupposto che, nel mentre la danneggiata si trovava nei locali di un grande magazzino e si apprestava all’acquisto di un rossetto, era caduta a causa di un gradino “nascosto dalla continuità dello “stand””, procurandosi gravi lesioni, è stata quindi confermata la sentenza del giudice di merito, considerata adeguatamente motivata, sia sotto il profilo della responsabilità per custodia “ex” art. 2051 c.c., in ordine alla quale aveva ravvisato l’evento in questione sostanzialmente attribuibile alla scarsa attenzione prestata dalla danneggiata, sia avuto riguardo all’art. 2043 c.c., essendo dall’istruttoria espletata in prime cure emerso il difetto di prova in ordine ad un comportamento colposo del grande magazzino, non risultando dimostrata la mancata adeguata segnalazione del gradino, e, quindi, la sussistenza del dedotto “trabocchetto”.

Cfr., altresì, per un caso in qualche modo simile a quello di cui si discute in questo procedimento la sentenza di Cass. III civ. n. 16718 del sette maggio – 17 luglio 2009, che confermava il rigetto dell’azionata pretesa risarcitoria, relativa a lesioni personali subite nella discoteca gestita da parte convenuta, dove parte attrice, mentre si stava sedendo su un divano, aveva urtato con il gomito destro un bicchiere vuoto sul tavolo, che si era rotto, provocandole la sezione del nervo ulnare. Il giudice di primo grado, pur riconoscendo che la convenuta era custode anche dei bicchieri sui tavoli nel suo locale, escludeva però la pericolosità dell’oggetto in sè, perchè la penombra determinata dal tipo di illuminazione avrebbe dovuto rendere la parte rimasta lesa più attenta, e perciò la sua disattenzione escludeva la responsabilità del custode. La Corte d’Appello rigettava il gravame dell’attore, poichè in base alle acclarate circostanze di fatto il custode risultava esente da responsabilità sia a norma dell’art. 2051 c.c., che dell’art. 2043 c.c., dovendosi peraltro escludere l’insidia della cosa in custodia o un pericolo occulto per la non visibilità o non prevedibilità del bicchiere collocato su un ripiano in un locale pubblico notturno, sicchè la presenza di esso era stata mera occasione dell’evento determinato da un fattore esterno fortuito. I motivi addotti a sostegno del ricorso venivano, quindi, giudicati infondati. Infatti, ribadito che lo stesso comportamento della vittima, se eccezionale ed imprevedibile, può integrare il c.d. fortuito incidentale, idoneo ad interrompere il collegamento causale tra la cosa in custodia ed il danno, con la conseguenza di escludere la responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 c.c., e che il giudizio sull’autonoma idoneità causale di tale fattore esterno alla cosa va rapportato alla natura di essa ed alla sua pericolosità, nel senso che tanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno (Cass. 584/2001, 2563/2007), i giudici di appello avevano applicato tali principi alla fattispecie. Inoltre, i giudici di appello, in base alle testimonianze rese proprio dagli amici dell’infortunato, avevano accertato che costui, malaccortamente, aveva allargato il braccio nell’atto del sedersi in modo non solo da attingere il bicchiere posto sul tavolino adiacente al divano, ma con forza tale da frantumarlo contro il muro posto dietro di esso, ed in modo talmente repentino da non poter evitare che il vetro gli recidesse il nervo ulnare e pertanto, con motivazione immune da vizi logici, avevano ritenuto questo comportamento anomalo, imprevedibile e tale da relegare a rango di mera occasione la circostanza che il cameriere non avesse tolto il bicchiere dal tavolino prima che l’attore si sedesse sul divano che lo fiancheggiava.

V. ancora, più recentemente, Cass. III civ. n. 2480 in data 1/2/2018, secondo cui in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicchè, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro. Conforme Cass. Sez. 6-3, ordinanza n. 9315 del 3/4/2019, ed in senso analogo v. altresì Cass. Sez. 3, sentenza n. 15761 del 29/7/2016, secondo cui sulla responsabilità dell’ente proprietario di una strada aperta al pubblico può influire la condotta della vittima, la quale, però, assume efficacia causale esclusiva ove sia qualificabile come abnorme, cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell’art. 1227 c.c.. Parimenti, secondo Cass. III civ. n. 25837 del 31/10/2017, la condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia costituisce “caso fortuito”, idoneo ad escludere la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c., ove sia colposa ed imprevedibile. V. altresì similmente Cass. Sez. 6-3, ordinanza n. 27724 del 30/10/2018: il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva. Conforme id. n. 30775 del 22/12/2017.

V. ancora Cass. n. 5254 del 10/03/2006: sia con riguardo all’esercizio di attività pericolosa, sia in tema di danno cagionato da cose in custodia, è indispensabile, per l’affermazione di responsabilità, rispettivamente, dell’esercente l’attività pericolosa e del custode, che si accerti un nesso di causalità tra l’attività o la cosa e il danno patito dal terzo. A tal fine, deve ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell’evento, nel senso che quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie del fatto, e che l’antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un fatto di per sè idoneo a determinare l’evento. Pertanto, anche nell’ipotesi in cui l’esercente dell’attività pericolosa non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, realizzando quindi una situazione astrattamente idonea a fondare una sua responsabilità, la causa efficiente sopravvenuta che abbia i requisiti del caso fortuito – cioè la eccezionalità e l’oggettiva imprevedibilità – e sia idonea, da sola, a causare l’evento, recide il nesso eziologico tra quest’ultimo e l’attività pericolosa, producendo effetti liberatori, e ciò anche quando sia attribuibile al fatto del danneggiato stesso o di un terzo. Conforme, tra le altre, Cass. III civ. n. 8457 del 4/5/2004.

Ancora in senso analogo, v. Cass. Sez. 6-3, ordinanza n. 24549 del 30/10/2013: con riguardo all’esercizio di attività pericolosa, anche nell’ipotesi in cui l’esercente non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, in tal modo realizzando una situazione astrattamente idonea a fondare una sua responsabilità, la causa efficiente sopravvenuta, che abbia i requisiti del caso fortuito e sia idonea – secondo l’apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione – a causare da sola l’evento, recide il nesso eziologico tra quest’ultimo e l’attività pericolosa, producendo effetti liberatori, e ciò anche quando sia attribuibile al fatto di un terzo o del danneggiato stesso. Conforme Cass. III civ. n. 25 del 5/1/2010);

nei sensi di cui sopra, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della parte rimasta soccombente al rimborso delle relative spese in favore delle controparti;

visto, infine, l’esito negativo dell’impugnazione de qua, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte RIGETTA il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida, a favore di ciascuna società controricorrente, in Euro 3000,00 (tremila/00) per compensi professionali ed in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, in favore della società controricorrente. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2020

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