Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8790 del 30/04/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 8790 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DE MARINIS NICOLA

SENTENZA

sul ricorso 10544-2012 proposto da:
D’AMICO GIUSEPPE C.F. DMCGPP53A02F147S, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 25, presso
lo studio dell’avvocato GIOVANNI MORTELLITI,
rappresentato e difeso dagli avvocati RUGGERO ZEBITO,
ANTONINO LA MALFA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
contro

467

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE

C.F.

80078750587

in

persona

del

suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in

Data pubblicazione: 30/04/2015

proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S.,
C.F. 05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

D’ALOISIO, giusta delega in atti;
– controri correnti
non chè contro

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589,
MONTEPASCHISERIT S.P.A.;
– intimati –

avverso la sentenza n. 588/2011 della CORTE D’APPELLO
di MESSINA, depositata il 16/06/2011 R.G.N.
1593/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/01/2015 dal Consigliere Dott. NICOLA
DE MARINIS;
udito l’Avvocato CILIBERTI GIUSEPPE per delega LA
MALFA ANTONINO;
udito l’Avvocato MARITATO LELIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avvocati LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI, CARLA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 16 giugno 2011, la Corte d’Appello di Messina, in riforma della
decisione resa dal Tribunale di Barcelona, rigettava l’opposizione proposta, con distinti
ricorsi poi riuniti, da Giuseppe D’Amico avverso il verbale ispettivo, poi seguito dalla
relativa cartella di pagamento, con cui l’INAIL gli aveva contestato la violazione dell’art.

dovuta per rapporti di lavoro in essere tra il 1996 ed il 2000 su un numero di ore
settimanali inferiori a quelle contrattuali, avendo escluso le ore non retribuite a seguito di
sospensione del rapporto derivante da accordo bilaterale e non da motivi indipendenti dalla
volontà del datore.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto la disposizione di
cui all’art. 29 1. n. 341/1995, che, nel fissare l’obbligo del minimale contributivo per i
datori di lavoro esercenti attività edile, esonera il datore di lavoro dall’obbligo di versare la
contribuzione in assenza della prestazione lavorativa solo nel caso in cui il rapporto di
lavoro sia sospeso ex lege, norma di strta interpretazione insuscettibile di interpretazione
estensiva o analogica sì da comportare l’inammissibilità di un tale esonero ove la
sospensione sia concordata tra le parti.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il D’Amico, affidando l’impugnazione a quattro
motivi cui resiste, con controricorso, l’INPS.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 29 d.l. 244/1995 convertito nella legge
n. 341/1995, che, con il primo motivo, il ricorrente solleva in relazione agli artt. 3, 41 e 53,
deve ritenersi manifestamente infondata.
Ciò alla luce dell’orientamento a riguardo accolto da questa Corte con la sentenza
1.4.2011, n. 7590.
Ivi la Corte ha, in primo luogo, ribadito il principio di diritto accolto in proprie precedenti
pronunzie (v. Cass. 29324/2008 e Cass. 21700/2009), secondo cui, in tema di
contribuzione dovuta dai datori di lavoro esercenti attività edile, la previsione dell’art. 29
del d.l. n. 244/1995, convertito nella legge n. 341/1995 – che, nel determinare la misura
dell’obbligo contributivo previdenziale ed assistenziale in riferimento ad una retribuzione
commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro
stabilito dalla contrattazione collettiva, prevede l’esclusione dall’obbligo contributivo di
una varietà di assenze, tra di loro accomunate dal fatto che vengono in considerazione

29 d.l. n. 244/1995, convertito nella legge n. 341/1995, per aver calcolato la contribuzione

situazioni in cui è la legge ad imporre di sospendere il rapporto – implica che, ove la
sospensione del rapporto derivi da una libera scelta del datore di lavoro e costituisca il
risultato di un accordo tra le parti, attesa l’assenza di una identità di ratio tra le situazioni
considerate tale da escludere la possibilità di una sua interpretazione estensiva o,
comunque, analogica (tanto più che la disposizione, avente carattere eccezionale, regola
espressamente la possibilità e le modalità di un ampliamento dei casi di esonero da

contributivo continua a rimanere intatto. In secondo luogo, ha ritenuto tale esito
interpretativo insuscettibile di determinare alcun

vulnus al principio di capacità

contributiva né irragionevoli disparità di trattamento tra datori di lavoro, in base alla
considerazione per cui il principio della corrispondenza tra retribuzione e contribuzione,
operante nell’ambito dell’ordinamento pensionistico ed infortunistico, include
necessariamente un limite inferiore a salvaguardia della funzionalità delle garanzie
apprestate dall’ordinamento medesimo, di cui lo stesso art. 29 in questione costituisce
evidente espressione.
A tale stregua va, dunque, ritenuta la legittimità del principio di diritto sopra enunciato
idoneo a sostenere la decisione della Corte territoriale che risulterebbe corretta ove anche
si accedesse a quell’orientamento più risalente di cui a Cass. 19.5.2008, n. 12624, secondo
il quale “Tra le ipotesi di esenzione dal minimale contributivo in edilizia elncate dall’art.
29 d.l. n. 244/1995, convertito nella legge n. 341/1995 e dal D.M. 16.12.1996, da
considerare tassative, vanno ricomprese anche le sospensioni di attività aziendale senza
l’intervento della Cassa integrazione guadagni, purchè preventivamente comunicate agli
enti previdenziali in modo da consentirne gli opportuni controlli, determinando l’omessa
comunicazione l’inefficacia dell’esenzione e la vigenza dell’obbligo contributivo”, attesa
nella specie, appunto, il difetto di tale comunicazione.
Ciò posto, si deve ritenere altresì l’infondatezza del secondo motivo che, nel denunciare la
violazione e falsa applicazione dell’art. 29 in questione nonché dell’art. 12 1. n. 153/1969 e
degli artt. 1460 e 2099 c.c., mira essenzialmente a confutare, sotto il profilo
dell’ammissibilità di un’interpretazione estensiva o, comunque, analogica della norma,
l’orientamento conforme al richiamato principio di diritto fatto proprio dalla Corte
territoriale.
Inammissibile deve, viceversa, ritenersi il terzo motivo, rubricato “Violazione dell’art.
2697 e 2700 c.c. in relazione agli artt. 113, 115, 116 e 416 c.p.c.. Vizio per difetto di
motivazione” dal momento che la censura mossa all’impugnata sentenza, con riferimento

contribuzione, rimettendone la definizione ad appositi decreti interministeriali), l’obbligo

al convincimento erroneamente espresso circa l’assolvimento da parte dell’INPS
dell’onere della prova della sussistenza del credito azionato per difetto di contestazione,
non risulta, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, supportata dalla
trascrizione in esso dei passi recanti la contestazione in fatto del dato in questione né
dall’indicazione della collocazione in atti della documentazione relativa,
E ciò anche a prescindere dall’infondatezza del conseguente rilievo per cui la svolta

presunzioni ex art. 2770 c.c., infondatezza che emerge in relazione all’orientamento
accolto da questa Corte (v. Cass. 29324/2008) secondo cui “Ove l ‘INPS pretenda da
un’impresa edile differenze contributive sulla retribuzione virtuale, ai sensi dell’art. 29 d. 1.
244/1995, convertito nella legge n. 341/1995, il suo onere probatorio è assolto mediante
l’indicazione, non contestata, dell’attività edile espletata e con l’invocazione dell’art. 29
citato; è onere dell’impresa edile allegare e provare le ipotesi eccettuative dell’obbligo
contributivo previste dallo stesso art. 29 e dal decreto ministeriale cui esso rinvia”.
Infondato è dal canto suo il quarto motivo con il quale, denunciando la violazione dell’art.
91 c.p.c. nonché il vizio di contraddittoria motivazione, il ricorrente lamenta l’incongruità
dell’attribuzione a suo carico delle spese dei due gradi di giudizio non potendosi ravvisare
la sua totale soccombenza in base alla quale, invece, la Corte territoriale ha motivato la
pronunzia di condanna. Ciò in quanto la riforma integrale della sentenza di primo grado
con la conferma del verbale ispettivo dell’INAIL e la dichiarata fondatezza della pretesa
contributiva dell’INPS configura, in termini sostanziali, stante la marginalità della
dichiarata nullità della successiva cartella di pagamento, quella totale soccombenza che, ai
sensi dell’art. 91 c.p.c., giustifica la pronunziata condanna.
Il ricorso va, dunque, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento nei confronti dell’INPS
delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00 per esborsi ed

a2km

euro 3.500,00 per compensi oltre accessori di legge. Nulla spese nei confronti delletarti
intimate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 gennaio 2015
Il Consigliere est.

Il ‘fé-sr9nte

contestazione vanificherebbe, con riguardo al medesimo dato, l’operatività della prova per

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