Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8789 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 30/03/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 30/03/2021), n.8789

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1017/2020 proposto da:

T.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DAVIDE VERLATO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA – SEZIONE

DI VICENZA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia ope legis in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. 9627/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato

il 12/11/2019 R.G.N. 5999/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con decreto n. 9627/2019 il Tribunale di Venezia ha respinto il ricorso proposto da T.M. alias T.M., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale aveva respinto la domanda di protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria;

2. dal decreto impugnato emerge che l’odierno ricorrente ha allegato di provenire da una famiglia povera che non gli aveva consentito di studiare e che era stato allevato da persone che non erano i suoi genitori, di essere, sino all’anno (OMISSIS), stato allevato dal maestro del Corano che si prendeva cura di lui al posto dei suoi genitori ma che a volte lo maltrattava; per questo aveva deciso di fuggire e si era recato a (OMISSIS) in cerca di suo padre e colà, identificata l’abitazione del genitore, era stato ospitato per tre anni dalle persone che vi abitavano lavorando con loro nei campi; in seguito, quando aveva espresso il desiderio di sposarsi con una ragazza era stato allontanato da tali persone che gli avevano fatto presente che egli, non essendo proprietario, non aveva diritto di rimanere nell’abitazione e che se non se ne fosse andato gli avrebbero fatto del male; in seguito si era allontanato e aveva vissuto come pescatore; dopo il matrimonio era ritornato presso l’abitazione del padre con la moglie ma dopo due giorni le persone dalle quali era ospitato lo avevano cominciato a minacciare intimandogli di andare via; aveva quindi deciso di lasciare il paese di origine non avendo opportunità di vita in Senegal per cui si era recato in Mali, Burkina Faso ed in Libia; in questi ultimi due paesi era stato imprigionato; qualora avesse fatto ritorno in Senegal temeva di essere ucciso dalle persone che abitavano nella casa del padre;

3. il giudice di merito ha condiviso la valutazione della Commissione territoriale sulla genericità del racconto del ricorrente e sulla scarsa credibilità dello stesso non essendo il T. stato in grado di dettagliare in maniera sufficiente la sua storia nemmeno con le dichiarazioni rese in sede giudiziale ed apparendo inverosimile che all’età di quattordici anni lo stesso avesse deciso di allontanarsi da solo per raggiungere il villaggio del padre e che una volta appreso che questo era morto e la casa abitata da altre persone avesse chiesto loro ospitalità; poco verosimile era anche la circostanza del ritorno al villaggio di (OMISSIS) dopo essersene allontanato per undici anni; per sottrarsi alle minacce dei fratelli maggiori, vale a dire delle persone che, come in seguito specificato, abitavano la casa del padre il richiedente ben avrebbe potuto allontanarsi. Il Tribunale ha, inoltre, evidenziato che nel racconto del ricorrente erano riscontrabili contraddizioni con quanto riferito in sede amministrativa sulla esistenza di fratelli e sorelle; tanto rendeva infondato l’allegato pericolo di minacce; neppure emergeva dal narrato il concreto timore di subire persecuzioni al fine del riconoscimento dello status di rifugiato; in ordine alla protezione sussidiaria, non si ravvisavano i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in quanto da un lato il ricorrente non aveva nemmeno prospettato il rischio di subire una condanna a morte o la esecuzione della pena di morte e, dall’altro, la mancanza di credibilità, per quanto concerne le minacce asseritamente subite, rendeva infondato il rischio di sottoposizione a tortura o ad altra forma di trattamento inumano o degradante; neppure sussistevano i presupposti della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14 cit., lett. c), posto che dalle fonti consultate nella regione di provenienza non emergeva una situazione di violenza assimilabile a quella di conflitto armato ed inoltre le medesime fonti riportavano che nell’ultimo periodo si erano verificate soprattutto manifestazioni pacifiche di protesta; infine, in ordine alla protezione umanitaria, la genericità, contraddittorietà e scarsa credibilità del ricorrente, almeno per quanto concerneva le minacce ricevute impedivano di ricavare la esistenza di particolari elementi di vulnerabilità in caso di ritorno nel Paese di origine; sotto altro profilo neppure era riscontrabile un adeguato livello di integrazione sociale in Italia tenuto conto che non era stata depositata in giudizio alcuna documentazione attestante lo svolgimento di attività lavorativa sufficientemente stabile, fermo restando che la integrazione sociale non costituisce elemento sufficiente per la protezione umanitaria ma circostanza che deve essere valutata unitamente alle altre;

4. T.M. alias T.M. ha chiesto la cassazione della decisione sulla base di due motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva;

5. parte ricorrente ha prodotto documentazione rappresentata da contratto di lavoro e buste paga, pervenuta il 16.11.2020.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione dell’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in tema di disponibilità e valutazione delle prove in sede processuale; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3 e violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e c), in tema di criteri applicabili all’esame della domanda di protezione; denunzia che la decisione di rigetto era stata assunta sulla base di un’istruttoria carente e incompleta, in violazione dell’onere di cooperazione istruttoria gravante sul giudice di merito;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla domanda di concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari; censura in particolare la omessa considerazione del lungo periodo di tempo trascorso dal richiedente una volta allontanatosi dal Senegal prima di raggiungere l’Italia; in particolare denunzia la omessa verifica di una situazione di vulnerabilità connessa all’arresto ed alla detenzione subiti dapprima in (OMISSIS) e quindi in (OMISSIS); non era stata considerata la situazione complessiva del paese di origine ancora instabile ed insicuro ed i gravi limiti all’esercizio delle libertà fondamentali in caso di rientro forzato in Senegal così come era stata omessa la considerazione, al fine della integrazione in Italia, della proroga del contratto di tirocinio formativo del richiedente;

3. preliminarmente occorre darsi atto della inammissibilità della produzione documentale pervenuta all’Ufficio in data 17.11.2020 in quanto oltre che tardiva non attinente alla nullità della sentenza o all’ammissibilità del ricorso del controricorso, come prescritto dall’art. 372 c.p.c. (Cass. 9685/2020, n. 10967/2013);

4. il primo motivo di ricorso è infondato;

4.1. il decreto è infatti conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in tema di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (cfr. Cass. n. 15794/2019); – tale impostazione, riferita alla protezione internazionale nel suo complesso, si attaglia come tale tanto alla domanda volta al conseguimento dello status di rifugiato, quanto a quella diretta ad ottenere la protezione sussidiaria in ciascuna delle tre ipotesi contemplate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; – ne consegue che, anche in relazione alla protezione sussidiaria, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (così, Cass., n. 33096/2018); – con riguardo all’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte ne ha esclusa l’applicabilità alla specie e ha ritenuto non sussistere alcuna situazione di violenza indiscriminata in Senegal ed in particolare nella regione di provenienza del richiedente sulla base delle fonti puntualmente richiamate;

4.2. la giurisprudenza di legittimità in relazione a tale ultima ipotesi ha precisato che il giudice di merito, nel fare riferimento alle c.d. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata, nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449/2019, n. 11312/2019, n. 13450/2019, n. 13452/2019, n. 13451/2019 e Cass. n. 13452/2019);

4.3. il decreto impugnato è conforme a tali indicazioni posto che esso indica le fonti in concreto utilizzare dal giudice di merito e consente in tal modo alla parte la duplice verifica della provenienza e della pertinenza dell’informazione; le censure al contenuto di tale accertamento sono inammissibili in quanto formulate in termini del tutto generici, non apparendo sufficiente a tal fine il riferimento al rapporto di Amnesty International aggiornato all’anno 2017/2018, evocato senza il rispetto delle prescrizioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e pertanto intrinsecamente inidoneo a dare contezza, sulla base del solo esame del ricorso per cassazione, dell’errore in tesi ascritto al giudice di merito;

5. il secondo motivo di ricorso è fondato;

5.1. il collegio ritiene di dare continuità alla giurisprudenza di questa Corte la quale, muovendo dal presupposto che il permesso di soggiorno per motivi umanitari costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, ha affermato la necessità, al fine della verifica della condizione di vulnerabilità, di prendere in considerazione anche le violenze subite nel paese di transito e di temporanea permanenza, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere su tale condizione (Cass. n. 24351/2020; n. 13758/2020, n. 13096/2019);

5.2. la decisione impugnata non è coerente con tali indicazioni posto che omette qualsiasi verifica relativa a specifici profili di vulnerabilità scaturiti dalla esperienza sofferta nei paesi di transito, e cioè nello specifico della detenzione subita in (OMISSIS) e in (OMISSIS), oggetto di tempestiva allegazione da parte del richiedente;

5.3. da tanto consegue, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, assorbito l’esame delle ulteriori censure sviluppate, la cassazione in parte qua del decreto, con rinvio al Tribunale di Venezia in diversa composizione, al quale è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo e rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Venezia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

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