Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8788 del 30/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 30/03/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 30/03/2021), n.8788

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1012/2020 proposto da:

K.S.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DAVIDE VERLATO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA SEZIONE DI

VICENZA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ope legis in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1989/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 15/05/2019 R.G.N. 3022/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con sentenza n. 1989/2019 la Corte di appello di Venezia ha confermato il rigetto della domanda di protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria presentata da K.S.A. alias K.S., cittadino (OMISSIS);

1.1. dalla sentenza di appello emerge che l’odierno ricorrente a sostegno della domanda aveva allegato di essersi dovuto allontanare dal paese di origine nell’anno (OMISSIS) perchè una setta, denominata (OMISSIS), pretendeva di affiliarlo, entrando in casa sua e minacciando di ucciderlo, ove non avesse aderito; egli allora era fuggito in Libia dove era caduto nelle mani di un gruppo criminale fino a che nel corso dell’anno (OMISSIS) era riuscito a raggiungere l’Italia;

1.3. secondo la Corte di merito correttamente il primo giudice aveva affermato la scarsa verosimiglianza delle allegazioni del richiedente, risultate contraddittorie, intrinsecamente implausibili e del tutto lacunose, quanto alla natura e alle caratteristiche della setta che avrebbe preteso di affiliarlo; correttamente aveva, inoltre, escluso che la vicenda potesse essere ricondotta alla persecuzione dello Stato o comunque da parte di forze governative nei confronti del richiedente. La Corte ha, inoltre, rilevato il difetto di specificità dell’appello in particolare in ordine al profilo relativo alla non credibilità della narrazione; quanto alla protezione sussidiaria ha evidenziato che il richiedente non aveva mai fatto alcun cenno alla situazione generale del suo Paese quale fonte di effettivo pericolo per la sua incolumità in caso di rimpatrio; pertanto, non risultando una condanna a morte nè pericolo di sottoposizione a tortura o ad altri trattamenti inumani o degradanti non sussistevano i presupposti per la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); quanto all’ipotesi di cui dell’art. 14 cit., lett. c), dalle fonti consultate emergeva che la regione di provenienza del richiedente – l’Edo State – non era interessata dall’occupazione di forze ribelli, concentrate nella zona nord est del paese; infine, non si configuravano i presupposti per la protezione umanitaria mancando qualsiasi elemento, anche a livello di allegazione, idoneo a definire la presumibile durata di un’esposizione ad uno specifico rischio. Il riconoscimento della protezione umanitaria trovava ostacolo insuperabile nella valutazione di non credibilità della narrazione del ricorrente;

2. K.S.A. alias K.S., ha proposto ricorso per la cassazione della decisione affidato a tre motivi;

3. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva;

4. parte ricorrente ha prodotto ulteriore documentazione rappresentata da contratto di lavoro e buste paga, pervenuta all’Ufficio in data 16.11.2020.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione ai punti 8, 9 e 10 della motivazione con riferimento ai principi giurisprudenziali relativi alla materia istruttoria, a quelli contenuti nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e a quelli contenuti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e relativi all’esame del richiedente asilo, alla valutazione del materiale probatorio con necessità di acquisizione di ufficio di tutte le informazioni necessarie per integrare gli elementi non offerti dal ricorrente; lamenta che la Corte, sulla base della presunta mancanza di credibilità del richiedente, non aveva acquisito, come dovuto, le necessarie informazioni in ordine alla setta dalla quale questi asseriva di essere stato minacciato; il giudice di appello aveva, inoltre, errato nell’omettere di verificare se la setta in questione presentasse i caratteri di una vera e propria organizzazione criminale;

2. con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione ai punti 11 e 13 della motivazione, censurando la sentenza impugnata per non avere fatto una corretta applicazione dei principi relativi alla materia istruttoria ai fini della concessione della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); era mancato l’accertamento relativo al sistema giudiziario e sanitario della Nigeria ed alla condizione delle carceri, con riferimento alla tutela dei diritti umani; era mancato, inoltre, l’accertamento sulla situazione attuale;

3. con il terzo motivo di ricorso denunzia omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria e umanitaria; denunzia, inoltre violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3;

4. preliminarmente occorre darsi atto della inammissibilità della produzione documentale pervenuta all’Ufficio in data 17.11.2020 in quanto oltre che tardiva non attinente alla nullità della sentenza o all’ammissibilità del ricorso del controricorso, come prescritto dall’art. 372 c.p.c. (Cass. 9685/2020, n. 10967/2013);

5. il primo motivo” di ricorso non è da accogliere;

5.1. parte ricorrente non si confronta specificamente con la autonoma – ratio decidendi alla base della conferma della valutazione di non credibilità del racconto del richiedente rappresentata dalla genericità dell’appello sul punto (v. sentenza, pag. 6, punto 9);

5.2. in coerenza con la definitività della valutazione di non credibilità del narrato, scaturita dal difetto nell’atto di gravame,di idonea censura destinata a scardinarla, si pone il mancato approfondimento istruttorio delle allegazioni del ricorrente in ordine alla domanda di protezione internazionale e alla domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in quanto, come chiarito da questa Corte, in materia di protezione internazionale, una volta esclusa la credibilità intrinseca della narrazione offerta dal richiedente asilo alla luce di riscontrate contraddizioni, lacune e incongruenze, non deve procedersi al controllo della credibilità estrinseca – che attiene alla concordanza delle dichiarazioni con il quadro culturale, sociale, religioso e politico del Paese di provenienza, desumibile dalla consultazione di fonti internazionali meritevoli di credito – poichè tale controllo assolverebbe alla funzione meramente teorica di accreditare la mera possibilità astratta di eventi non provati riferiti in modo assolutamente non convincente dal richiedente (Cass. 24575/2020);

6. il secondo motivo di ricorso è inammissibile;

6.1. la sentenza impugnata, sulla base delle richiamate fonti, ha escluso che la regione di origine del ricorrente – Edo State – fosse interessata da una situazione di violenza generalizzata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); tale affermazione non risulta validamente incrinata dai riferimenti articolati in ricorso (v. pag. 5 e sgg.), in ordine alle diverse conclusioni circa le condizioni dell’area geografica di provenienza dell’Edo State alle quali sono pervenute altri giudici di merito, risolvendosi tale prospettazione in una mera contrapposizione alla valutazione della sentenza impugnata di una diversa valutazione, prospettazione intrinsecamente inidonea a dare contezza dell’errore in tesi ascritto alla Corte di merito;

6.2. analogamente, in ordine alla verifica dei presupposti per la protezione umanitaria il giudice di appello, con affermazione solo genericamente contrastata in ricorso, ha evidenziato l’assenza di qualsiasi elemento, anche a livello di allegazione, idoneo a definire la presumibile durata di un’esposizione ad uno specifico rischio e tale carenza di indicazione rende coerente il mancato approfondimento istruttorio circa le condizioni del sistema giudiziario e sanitario del Paese di origine del richiedente nonchè la verifica delle condizioni di detenzione nel paese di origine, mancato approfondimento del quale si duole il ricorrente;

7. il terzo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile;

7.1. in primo luogo, la denunzia di vizio di motivazione non è articolata in conformità dell’attuale configurazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, posto che non è indicato il fatto, da intendersi come accadimento storico fenomenico da evocarsi nel rispetto delle indicazioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – del quale è denunziato l’omesso esame, come prescritto (ex plurimis Cass. Sez. Un. 8053/2014); parte ricorrente si limita ad evocare infatti la necessità di approfondimento istruttorio relativo alla setta dalla quale il richiedente sarebbe stato minacciato, trascurando di considerare che la necessità di cooperazione istruttoria a riguardo era venuta meno alla luce della complessiva non credibilità del narrato, secondo quanto già osservato in sede di esame del primo motivo di ricorso;

7.2. le ulteriori censure articolate dal ricorrente con il motivo in esame risultano generiche in quanto non si confrontano specificamente con l’affermazione della Corte di merito circa la carenza di allegazioni idonee da parte del ricorrente a configurare una specifica situazione di vulnerabilità; in tale contesto risulta inammissibile il riferimento allo svolgimento di attività lavorativa in Italia quale elemento rivelatore del livello di integrazione del richiedente, sia perchè l’eventuale radicamento in Italia non è di per sè solo sufficiente a giustificare la protezione umanitaria in assenza di specifici elementi di vulnerabilità allegati con riferimento al rientro nel paese di origine (Cass. n. 17072/2018) sia perchè parte ricorrente non chiarisce se, in che termini e in quale atto aveva allegato lo svolgimento di attività di lavoro in Italia, oggi invocato a sostegno dell’assunto dell’avvenuta integrazione;

7.3. in relazione alla formale denunzia di violazione e falsa applicazione di norme di diritto si rileva, quale ulteriore profilo di inammissibilità, che le censure articolate non vertono sul significato e sulla portata applicativa delle norme delle quali è denunziata violazione e falsa applicazione ma risultano incentrate sulla ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e si sostanziano nella richiesta di un diverso apprezzamento degli elementi relativi alla integrazione in Italia, sindacato precluso al giudice di legittimità;

8. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

9. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021

 

 

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