Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8788 del 12/05/2020

Cassazione civile sez. II, 12/05/2020, (ud. 27/01/2020, dep. 12/05/2020), n.8788

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 456/2018 R.G. proposto da:

P.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Claudia Eleuteri

per procura a margine del ricorso, elettivamente domiciliato in Roma

presso il suo studio alla via Modesta Rossi Palletti n. 41;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso ex

lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma

presso

gli uffici della stessa alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, n. 995,

depositata il 16 maggio 2017.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Enrico Carbone

nell’udienza pubblica del 27 gennaio 2020;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso, in subordine il rigetto;

udito l’Avv. Claudia Eleuteri.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 25 gennaio 2013 il Ministero dell’Economia e delle Finanze emetteva nei confronti di P.E. i decreti dirigenziali n. 127083 e n. 127084 recanti sanzioni amministrative di Euro 208.064,00 ed Euro 215.844,00 per violazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 1, comma 1, conv. L. n. 197 del 1991.

Gli illeciti concernono l’acquisizione in trasferimento di denaro contante e il successivo trasferimento senza tramite di intermediario abilitato, per aver il P., nell’agosto 2007, dapprima acquisito presso terzi e dopo consegnato a terzi won nordcoreani di importo equivalente ad oltre due milioni di Euro, per l’esattezza l’equivalente di Euro 2.158.241,00 acquisito in una busta recuperata presso un capannone in (OMISSIS), del quale importo l’equivalente di Euro 2.082.359,00 poi consegnato a tal B.G..

Investito dell’opposizione dell’ingiunto, il Tribunale di Modena, pur confermando la sussistenza degli illeciti, riduceva le sanzioni dal 10% all’10% dell’importo trasferito, e quindi alla rispettiva misura di Euro 20.804,48 ed Euro 21.582,48.

La Corte d’appello di Bologna respingeva il gravame principale del P. e, in parziale accoglimento dell’incidentale del Ministero, rideterminava le sanzioni al 5% dell’importo trasferito, e quindi alla rispettiva misura di Euro 104.117,95 ed Euro 107.912,05.

Il P. ricorre per cassazione sulla base di sei motivi.

Il Ministero resiste mediante controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione del L. n. 197 del 1991, art. 1, comma 1 (recte, D.L. n. 143 del 1991, conv. L. n. 197 del 1991), L. n. 689 del 1981, art. 6, il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 2697,2700 c.c., il terzo violazione degli artt. 1140,1141 c.c..

I tre motivi devono essere esaminati unitariamente per connessione logica, essi convergendo nello stigmatizzare la ricostruzione della fattispecie come operata dal giudice d’appello, alla quale si oppone l’assunto che il P. si sia limitato a raccogliere la busta con la valuta su incarico del B., nel luogo da questi indicato, per poi consegnarla nelle di lui mani, senza mai divenirne possessore.

1.1. I primi tre motivi sono infondati.

Il divieto di trasferimento di denaro contante senza tramite di intermediari abilitati, sancito dal D.L. n. 143 del 1991, art. 1, comma 1, conv. L. n. 197 del 1991 (oggi D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 49, comma 1), riguarda il passaggio di denaro “a qualsiasi titolo tra soggetti diversi”, sicchè, ai fini della sussistenza dell’illecito, è sufficiente la semplice traditio, irrilevante la finale disponibilità della somma e la liceità del negozio sottostante alla consegna (Cass. 23 gennaio 2017, n. 1645).

Sulla scorta delle audizioni e testimonianze, il giudice d’appello ha stabilito che il P., dirigente di banca, consapevolmente si interpose nella movimentazione extrabancaria dei won, al fine della conversione in Euro, così violando il divieto di legge.

Insindacabile in punto di fatto, tale ricostruzione non manifesta alcun errore di diritto, poichè, come già veduto, e contrariamente agli assunti di ricorso, la norma sanzionatoria non richiede che il soggetto sia in qualche momento divenuto possessore della somma, essendo sufficiente che egli “a qualsiasi titolo” sia stato partecipe della traditio, quest’ultima integrando, nella prospettiva del contrasto al riciclaggio, un illecito di pericolo.

2. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione della L. n. 689 del 1981, art. 3, per non aver il giudice d’appello riconosciuto la buona fede esimente.

2.1. Il quarto motivo è infondato.

La buona fede rileva come esimente da responsabilità per illecito amministrativo solo qualora sussistano elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e solo qualora risulti che il trasgressore abbia fatto tutto il possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso (Cass. 28 aprile 2006, n. 9862; Cass. 11 giugno 2007, n. 13610; Cass. 31 luglio 2018, n. 20219).

In altri termini, l’errore sulla liceità del fatto scusa solo quando sia stato determinato da elementi positivi estranei all’autore dell’infrazione, tali da rendere quest’ultima inevitabile con l’uso dell’ordinaria diligenza (Cass. 8 maggio 2006, n. 10477; Cass. 12 luglio 2010, n. 16320; Cass. 2 ottobre 2015, n. 19759; Cass. 17 dicembre 2019, n. 33441).

L’onere della prova circa la sussistenza degli elementi positivi che riscontrano la buona fede grava sull’opponente, e la relativa valutazione costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, se motivato (Cass. 30 ottobre 2009, n. 23019).

Nel proprio insindacabile apprezzamento di fatto, il giudice d’appello ha riferito al P. una consapevolezza piena circa la presenza del denaro nella busta, finanche un certo “attivismo” nell’operazione di conversione della valuta, non senza aver evidenziato la qualità di bancario dell’odierno ricorrente; quest’ultimo, per canto suo, non ha dedotto specifici elementi positivi tali da far apparire inevitabile la sua condotta di pericolo.

3. Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, per non aver il giudice d’appello accolto l’eccezione di tardività della contestazione.

3.1. Il quinto motivo è inammissibile.

Agli effetti della tempestività della contestazione dell’illecito amministrativo, il dies a quo non coincide col momento di acquisizione del fatto nella sua materialità, dovendosi considerare anche il tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti circa gli elementi – oggettivi e soggettivi – dell’infrazione, spettando al giudice di merito determinare il tempo ragionevolmente necessario a tal fine, in considerazione del grado di difficoltà del caso concreto, con giudizio insindacabile in sede di legittimità, se motivato (per la normativa antiriciclaggio, Cass. 18 aprile 2007, n. 9311; Cass. 29 ottobre 2019, n. 27702; in genere, Cass. 13 dicembre 2011, n. 26734; Cass. 3 settembre 2014, n. 18574).

Il giudice d’appello ha ritenuto congrua l’attività di accertamento nei confronti del P., segnatamente in rapporto alle necessarie audizioni dei soggetti coinvolti, imposte dalla complessità della movimentazione di valuta estera, e questo giudizio, tipicamente fattuale, non è censurabile in sede di legittimità.

4. Il sesto motivo di ricorso denuncia violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 11 e 18, per aver il giudice d’appello ingiustamente rideterminato in peius la misura delle sanzioni.

4.1. Il sesto motivo è inammissibile.

L’opposizione a ordinanza-ingiunzione non è un’impugnazione dell’atto, ma introduce una cognizione piena sul fondamento della pretesa sanzionatoria, sicchè il giudice di merito ha il potere-dovere di esaminare l’intero rapporto, compresa la determinazione dell’entità della sanzione, secondo i criteri stabiliti dalla L. n. 689 del 1981, art. 11, con apprezzamento discrezionale, insindacabile in sede di legittimità, se motivato e immune da errori giuridici (Cass. 2 aprile 2015, n. 6778).

Nella specie, il D.L. n. 143 del 1991, art. 5, comma 1, conv. L. n. 197 del 1991, pro tempore vigente, prevedeva una sanzione compresa tra l’1% ed il 40% dell’importo trasferito.

A fronte di decreti dirigenziali che avevano irrogato la sanzione al 10%, e dopo l’abbattimento al minimo edittale dell’1% stabilito dal Tribunale, la Corte d’appello si è posta sulla mediana del 5%, applicata all’importo trasferito come dimostrato dal compendio probatorio.

Giustificata in senso peggiorativo dalla qualità di bancario del P., ma con l’espresso temperamento dovuto all’assenza di precedenti individuali, la rideterminazione mediana del giudice d’appello è frutto di una valutazione squisitamente discrezionale, motivata in fatto e corretta in diritto, qui non ulteriormente sindacabile.

5. Il ricorso deve essere respinto, con le conseguenze di legge in ordine al regolamento delle spese processuali e al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2020

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