Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8787 del 30/03/2021
Cassazione civile sez. lav., 30/03/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 30/03/2021), n.8787
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 693/2020 proposto da:
F.Y., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e
difeso dall’avvocato MARIA BASSAN;
– ricorrente –
MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL
RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA – SEZIONE
DI PADOVA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e
difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici
domicilia ope legis in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso il decreto n. 9592/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato
il 11/11/2019 R.G.N. 5982/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
24/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.
Fatto
RILEVATO
Che:
1. con decreto n. 9592/2019 il Tribunale di Venezia ha respinto il ricorso proposto da F.Y., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento di rigetto da parte della competente Commissione territoriale della domanda di protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria;
1.1. dal decreto impugnato emerge che il F. ha motivato l’allontanamento dal paese di origine con il fatto di essere stato ingiustamente accusato di furto nel posto di lavoro (in realtà si era limitato a consegnare la merce alla persona indicata nei documenti in suo possesso, persona che però era risultata non essere la proprietaria) e di temere, in caso di rientro, di essere arrestato;
1.2. il giudice di merito ha ritenuto non censurabile il mancato approfondimento istruttorio da parte della Commissione territoriale ed escluso la irragionevole valutazione delle dichiarazioni rese dal richiedente che aveva offerto una versione poco credibile dei fatti alla base dell’allontanamento e non aveva compiuto alcun ragionevole sforzo per circostanziare la domanda di protezione, come prescritto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5;
1.3. il Tribunale ha, in particolare, escluso ab origine, alla stregua della vicenda narrata, la configurabilità del fondato timore di persecuzione personale e diretta a causa della razza, religione, della nazionalità, dell’appartenenza a un gruppo sociale, ovvero per le opinioni politiche professate; ha escluso, inoltre, i presupposti per la protezione sussidiaria posto che, quanto alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), mancava la stessa prospettazione da parte del ricorrente del rischio, in caso di rientro, di condanna a morte di sottoposizione all’esecuzione della pena di morte, o di subire trattamenti inumani e degradanti; la vicenda narrata (l’essere stato accusato per avere consegnato la merce alla persona indicata nel documento in suo possesso che però non sarebbe stata il vero proprietario) non era credibile così come non era credibile che pur essendo in contatto con la famiglia di origine, in sede amministrativa il richiedente non era riuscito a offrire idonea documentazione del mandato di arresto e del complessivo racconto effettuato; quanto all’ipotesi sub c) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, le fonti consultate descrivevano una situazione di complessiva ripresa del paese di origine dopo il periodo di sanguinosa crisi politico militare degli anni 2000/2011; pur persistendo fattori di criticità le situazioni di tensioni sfociavano in scontri isolati che escludevano una situazione di conflitto armato strutturato;
1.4. non sussistevano i presupposti per la protezione umanitaria in quanto la non credibilità e la genericità del racconto del ricorrente costituivano motivi sufficienti per negare la protezione. In ogni caso, la vicenda non dimostrava profili di vulnerabilità sotto il profilo dell’impedimento all’esercizio di diritti umani inalienabili; il ricorrente aveva in patria un’occupazione lavorativa e riferimenti familiari e non aveva dimostrato l’integrazione sociale e lavorativa in Italia, non essendo a tal fine sufficiente la partecipazione a corsi di italiano e la documentazione di un contratto di lavoro di brevissima durata; peraltro, nemmeno una compiuta integrazione lavorativa in Italia, nelle more della definizione delle procedure relative alla delibazione della domanda di protezione, poteva di per sè valere in mancanza di un rischio specifico per il rimpatrio; analogamente, le vicende vissute in Libia, oggetto di dichiarazioni generiche da parte del richiedente, in assenza di conseguenze attuali sulla salute e sulla persona, potevano venire in rilievo;
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso F.Y. sulla base di L.D. sulla base di due motivi;
3. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
Diritto
CONSIDERATO
Che:
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce error in procedendo per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per carenza di motivazione in merito alla valutazione di credibilità del ricorrente; tale valutazione era stata resa in termini generici e sorretta da argomentazioni del tutto pretestuose che avevano omesso di considerare che il richiedente, in sede giudiziale, aveva dichiarato di non confermare le dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione territoriale in quanto frutto di incomprensioni con il traduttore che non conosceva la sua lingua; le ulteriori discrepanze del racconto rilevate dal Tribunale erano prive di rilievo perchè attinenti a profili secondari;
2. con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ovvero in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h bis, per omessa valutazione della situazione del Paese di origine ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria; si duole in particolare della mancata considerazione della situazione di vulnerabilità derivante dalla persecuzione privata posta in essere dal datore di lavoro, della impossibilità di potersi avvalere della protezione dello Stato, nonchè dal rischio di subire una detenzione in condizioni inumane ed in questa prospettiva si duole che non fosse stata approfondita la condizione delle carceri nella Costa d’Avorio;
3. il primo motivo di ricorso è infondato;
3.1. è noto che la motivazione meramente apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico-giuridico alla base del decisum. E’ stato, in particolare, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 22232/2016), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017) oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. n. 20112/2009). Tali carenze, che l’odierna parte ricorrente assume sulla base di considerazioni del tutto generiche ed assertive, non sono riscontrabili nel provvedimento in esame del quale sono agevolmente ricostruibili da un punto di vista logico e giuridico le ragioni che hanno condotto al rigetto del ricorso, ragioni riassumibili, in sintesi, nel difetto di credibilità del narrato, nel mancato assolvimento degli oneri di cooperazione istruttoria da parte del richiedente e nella inconfigurabilità alla luce dello stesso racconto del richiedente di elementi astrattamente idonei ad integrare le condizioni per la protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria, e nella insussistenza, attestata dalle fonti consultate, di una situazione di violenza generalizzata o di situazioni idonee a pregiudicare l’esercizio di diritti umani fondamentali;
3.2. in particolare, a differenza di quanto assume l’odierno ricorrente, la valutazione di non credibilità del narrato non è affidata a formule di stile ma sorretta, in conformità del parametro di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, sia da considerazioni relative al contenuto intrinseco del racconto fatto in quanto connotato da genericità e da implausibilità delle circostanze riferite sia dall’assenza di ragionevole sforzo per documentare l’asserito procedimento per furto, sia dalla inidoneità della documentazione prodotta, priva di data certa e di incerta provenienza, a sorreggere comunque tale racconto; in tale contesto risulta priva di decisività l’affermazione proveniente dalla parte medesima in ordine alla difficoltà di comprensione con l’interprete insorta nell’audizione davanti alla Commissione territoriale;
4. il secondo motivo di ricorso è da respingere;
4.1. non è vero, come assume parte ricorrente, che è mancata la valutazione relativa a paese di origine del richiedente in quanto il giudice di merito ha espressamente fatto riferimento a quanto emergente dalle fonti consultate che ha puntualmente richiamate (v. in particolare, decreto, pag. 13 e sg.); il relativo contenuto quale ricostruito dal decreto impugnato e le conclusioni dallo stesso attinte, non sono validamente contrastate, o comunque arricchite, dai riferimenti alla situazione delle carceri ivoriane tratti dai richiamati aggiornamenti alle raccomandazione dell’UNHCR, per la dirimente considerazione che i relativi brani non sono tradotti in lingua italiana (v. ricorso per cassazione, pag. 9 e 10) come prescritto ai sensi dell’art. 122 c.p.c. e dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. n. 2331/2019) dovendosi evidenziare, quale concorrente profilo di inammissibilità del motivo, riferita alla deduzione relativa alla situazione inumana delle carceri ivoriane, il fatto che il ricorrente, in violazione del disposto dell’art. 366, comma 1, nn. 3 e 6, non chiarito se, in che termini ed in quale atto del giudizio di merito aveva formulato la relativa allegazione;
4.2. le critiche alla verifica dei presupposti della tutela umanitaria riferite al grado di integrazione in Italia del richiedente la protezione sono inammissibili in quanto si limitano a chiedere una rivisitazione nel merito delle emergenze in atti e, quindi, a sollecitare un sindacato precluso al giudice di legittimità (Cass. n. 24679/2013, n. 2197/2011, n. 20455/2006, n. 7846/2006, n. 2357/2004);
5. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;
6. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2021