Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8787 del 12/05/2020

Cassazione civile sez. II, 12/05/2020, (ud. 27/01/2020, dep. 12/05/2020), n.8787

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 455/2018 R.G. proposto da:

T.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Gallo per

procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliato in Roma

presso lo studio dell’Avv. Tommaso Trulli alla via Fasana n. 21;

– ricorrente –

contro

CONSOB – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa,

rappresentata e difesa dagli Avv.ti Salvatore Providenti e Paolo

Palmisano per procura a margine del controricorso, elettivamente

domiciliata in Roma presso il loro studio alla via G.B. Martini n.

3;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia, n. 22,

depositata il 26 maggio 2017.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Enrico Carbone

nell’udienza pubblica del 27 gennaio 2020;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi l’Avv. Michele Basile, per delega dell’Avv. Alessandro Gallo, e

l’Avv. Paolo Palmisano.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con Delib. 5 ottobre 2016, n. 19753, CONSOB ha inflitto a Stefano T. la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 80.000,00 a norma del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 190, comma 1, per aver egli, nel corso dell’anno 2013, esercitato professionalmente verso il pubblico un servizio di gestione-portafogli in difetto di autorizzazione, e quindi in violazione dell’art. 18, comma 1, TUF.

Il T. ha impugnato la Delibera col motivo – tra gli altri – che l’abrogazione della previsione sanzionatoria, operata dal D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 5, avrebbe dovuto produrre effetto retroattivo in favor rei.

Per la cassazione della sentenza di rigetto dell’opposizione, pronunciata dalla Corte d’appello di Venezia, il T. ricorre sulla base di unico motivo, che reitera la deduzione dell’effetto retroattivo dell’abrogazione, correlata alla natura sostanzialmente penale della sanzione irrogata.

CONSOB resiste mediante controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo del ricorso per cassazione denuncia violazione degli artt. 49 e 52 CDFUE, in subordine art. 117 Cost., comma 1 e art. 7 CEDU, per non aver la Corte d’appello riconosciuto la natura sostanzialmente penale della sanzione inflitta e, con essa, la favorevole retroattività della sopravvenuta abrogazione.

2. Sulla base delle indicazioni fornite da CEDU 4 marzo 2014, Grande Stevens, questa Corte ha già ripetutamente affermato che le sanzioni amministrative previste dall’art. 190 TUF non hanno natura sostanzialmente penale, in ragione della loro tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a differenza di quelle previste dall’art. 187-ter TUF per gli illeciti di manipolazione del mercato (Cass. 5 aprile 2017, n. 8855; Cass. 7 aprile 2017, n. 9126; Cass. 24 settembre 2019, n. 23814; Cass. 26 settembre 2019, n. 24082; in senso analogo, riguardo alle sanzioni ex art. 193 TUF, Cass. 3 gennaio 2019, n. 5).

3. Sostiene l’odierno ricorrente che, ai fini dell’applicazione del principio nulla poena sine lege di cui all’art. 7 CEDU, non sia necessaria la gravità della sanzione, rivestendo natura sostanzialmente penale anche una sanzione amministrativa non severa, purchè rivolta alla generalità dei consociati con funzione deterrente.

3.1. Il ricorrente affida la sua tesi a CEDU21 febbraio 1984, Ozturk, decisione che tuttavia non ha il senso da lui prospettato, essa limitandosi ad illustrare come la depenalizzazione di un illecito minore non sia sufficiente ad escludere che la sanzione conservi natura sostanzialmente penale, ove questa sia attestata dai c.d. Engel criteria.

4. Come rammenta sempre l’arresto Grande Stevens, i tre criteri di identificazione della materia penale delineati da CEDU 8 giugno 1976, Engel – criteri costantemente utilizzati anche in sede unionale (CGUE 5 giugno 2012, Bonda; CGUE 26 febbraio 2013, Akerberg Fransson; CGUE 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate; CGUE 20 marzo 2018, Menci) -, cioè la qualificazione formale di diritto interno, la natura intrinseca dell’illecito e il grado di severità della sanzione, operano in modo tendenzialmente alternativo, che diviene cumulativo qualora l’analisi separata si riveli insufficiente.

4.1. Per effetto delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 164 del 2007, art. 16, comma 5, D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 190, comma 1, all’epoca dei fatti di causa, comminava una sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 2.500,00 fino ad Euro 250.000,00, con un massimo edittale, quindi, non tanto elevato da contraddire in termini sostanziali la qualificazione amministrativa della misura patrimoniale, anche perchè non accompagnata da interdizioni della persona o da confisca dei beni.

4.2. La Corte d’appello di Venezia ha giustamente valorizzato questi aspetti normativi del trattamento sanzionatorio, evidenziandone le profonde differenze quanti-qualitative rispetto al trattamento degli illeciti di manipolazione del mercato, sia in ordine al massimo edittale della sanzione amministrativa pecuniaria, sia in ordine alla previsione di sanzioni accessorie personali e reali.

4.3. L’argomento di ricorso secondo il quale la gravità della sanzione amministrativa pecuniaria andrebbe valutata col parametro del reddito medio nazionale è del tutto improprio, atteso che l’illecito finanziario professionale è idoneo a produrre ingenti ritorni specifici.

5. Il ricorrente sollecita rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE sull’applicazione dell’art. 49 CDFUE; in subordine, eccepisce l’illegittimità del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1 e art. 7 CEDU.

5.1. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia presuppone il dubbio interpretativo su una norma unionale, sicchè ad esso non occorre farsi luogo quando l’interpretazione sia autoevidente o il senso della norma sia già stato chiarito da pronunce della Corte (Cass. 16 giugno 2017, n. 15041), non sussistendo un diritto della parte richiedente all’automatico rinvio pregiudiziale, ma essendo sufficiente che l’organo di ultima istanza manifesti le ragioni di rigetto della questione pregiudiziale (Cass. 7 giugno 2018, n. 14828).

5.2. Nella specie, l’uniforme giurisprudenza della Corte di Giustizia in ordine ai criteri di identificazione della materia penale (supra, p. 4) fa apparire superfluo l’invocato rinvio pregiudiziale.

5.3. La questione di legittimità del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, per violazione dell’art. 117 Cost., oltre che dell’art. 3 Cost., ove esso esclude l’applicazione retroattiva della legge più favorevole con riferimento alle sanzioni amministrative ex art. 190 TUF, è già stata dichiarata manifestamente infondata da questa Corte, alla luce della giurisprudenza della CEDU sui limiti di operatività del favor rei in materia extrapenale (Cass. 24 settembre 2019, n. 23814).

5.4. Tale declaratoria occorre ribadire, in adesione alle indicazioni della giurisprudenza costituzionale sull’infondatezza di una prospettiva di estensione automatica della retroattività della lex mitior ad ogni sanzione amministrativa, ove pure questa non evidenzi – come qui non evidenzia – natura sostanzialmente penale secondo i c.d. criteri Engel (Corte Cost. 20 luglio 2016, n. 193).

5.5. La necessità di un’analisi differenziata per singola fattispecie sanzionatoria ha trovato conferma nei riguardi dell’art. 187-bis TUF, il quale sanziona l’abuso di informazioni privilegiate con un apparato punitivo che, per l’entità del massimo edittale e la confisca del profitto, risulta analogo a quello della manipolazione del mercato ex art. 187-ter, sicchè, anche per questa fattispecie, è stata riconosciuta la natura sostanzialmente penale (CGUE 20 marzo 2018, Di Puma), e infine l’irretroattività in mitius è stata dichiarata costituzionalmente illegittima per l’una fattispecie nonchè, in via consequenziale, per l’altra (Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63).

5.6. Relativo ad una fattispecie illecita il cui trattamento sanzionatorio è incomparabilmente più tenue di quello dell’abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato, l’odierno ricorso tende ad un’inammissibile generalizzazione del favor rei in ambito sanzionatorio amministrativo.

6. Il ricorso deve essere respinto, con le conseguenze di legge in ordine al regolamento delle spese processuali e al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2020

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