Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8785 del 13/04/2010

Cassazione civile sez. I, 13/04/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 13/04/2010), n.8785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.P.A., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa

dall’avv. Marra Alfonso Luigi giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli, in data 11

gennaio 2007, nella causa iscritta al n. 1230/06 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27 gennaio 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, dott. GOLIA Aurelio che nulla ha osservato.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

Ritenuto che:

1. D.P.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 11 gennaio 2007, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore della menzionata ricorrente della somma di Euro 3866,00, a titolo di indennizzo per il superamento in primo grado del termine di ragionevole durata di un processo, instaurato davanti al Tar Campania per chiedere il riconoscimento di qualifica funzionale, promosso con ricorso dell’11 dicembre 1998 e non ancora definito alla data di presentazione del ricorso per equa riparazione;

1.1. la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha resistito con controricorso;

Osserva:

2. la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda nella misura di Euro 3866,00, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di quattro anni e dieci mesi al termine ragionevole e liquidato l’indennizzo nella misura di Euro 800,00 per anno di ritardo, in considerazione del carattere collettivo del ricorso e della mancata presentazione dell’istanza di prelievo;

3. la ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo tredici motivi di ricorso, con i quali lamenta:

3.1. la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (primo motivo); l’inosservanza, ancora sulla base di carente motivazione, dei parametri Europei in ordine alla quantificazione per anno del danno non patrimoniale (secondo e terzo motivo); il mancato riconoscimento, con vizio di motivazione e in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, del bonus di Euro 2.000,00, trattandosi di controversia in materia di lavoro (quarto, quinto e sesto motivo);

3.2. l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, senza specifica motivazione, con erronea applicazione delle tariffe professionali vigenti riguardanti i procedimenti di volontaria giurisdizione, anzichè i giudizi ordinari dinanzi alla Corte d’appello, senza tener conto dei parametri CEDU e dei criteri seguiti dalla Corte di cassazione e disattendendo i minimi tariffari e la nota spese depositata, (motivi da sette a tredici);

4. I motivi di cui al punto 3.1., esaminati congiuntamente, appaiono manifestamente infondati, in quanto, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 nella liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice nazionale, pur non potendo ignorare i criteri applicati in casi simili dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ha pur sempre facoltà di apportare, motivatamente e non irragionevolmente, le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, le quali, peraltro, non possono fondare la decisione di liquidare somme che non siano in relazione ragionevole con quella – tra i 1000 e i 1500 Euro -accordata dalla predetta Corte negli affari consimili (Cass. 2006/24356; 2007/2254); nella specie, la Corte di appello si è attenuta a tali principi, facendo riferimento ai parametri CEDU e derogandovi ragionevolmente, avuto riguardo alla natura collettiva del ricorso e della mancata presentazione dell’istanza di prelievo; deve altresì tenersi conto che non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

4.1 appare invece manifestamente fondata la censura di cui al punto 3.2. in ordine all’erronea applicazione della tariffa relativa alla volontaria giurisdizione, anzichè di quella attinente al contenzioso (Cass. 2008/25352), mentre possono ritenersi manifestamente infondate le ulteriori censure in quanto parte ricorrente non ha specificamente e analiticamente indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, le voci e gli importi richiesti e a lei spettanti (Cass. 2005/21325; 2006/9082), nè ha dimostrato specificamente l’attribuzione di importi inferiori ai minimi inderogabili (Cass. 2007/5318), ma si è limitata alla generica denuncia dell’inosservanza delle tariffe professionali vigenti, nonchè delle voci e degli importi indicati nella nota spese, fermo restando che in tema di spese processuali possono essere denunciate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali (Cass. 1999/4347; 2000/4818; 2001/1485) e che nei giudizi di equa riparazione la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla Corte di appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, senza tener conto degli onorari liquidati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cass. 2008/23397);

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilevi formulati ai punti 4. e 4.1. si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione, con riferimento alla manifesta infondatezza delle censure svolte nel primo, quarto, quinto e sesto motivo, rilevando peraltro anche la fondatezza delle doglianze sollevate con il secondo e il terzo motivo in ordine alla quantificazione del danno non patrimoniale, atteso che la determinazione dell’indennizzo nella misura di Euro 3.866,00, pari ad Euro 800,00 per anno di ritardo, avuto riguardo alla determinazione nella specie del periodo di superamento del termine ragionevole di durata del processo, sembra configurarsi irragionevolmente in misura inferiore a quella che risulterebbe dall’applicazione dei parametri stabiliti dalla CED, pur tenuto conto delle motivazioni espresse dal giudice di merito, nonchè l’assorbimento delle censure in ordine alla liquidazione delle spese processuali, dovendosi comunque procedere ad una nuova liquidazione delle stesse in seguito all’accoglimento dei motivi di doglianza sull’ammontare dell’indennizzo;

ritenuto pertanto che, in base alle considerazioni che precedono, devono essere accolti il secondo e il terzo motivo di ricorso, mentre vanno respinti il primo, quarto, quinto e sesto motivo, assorbiti gli altri, e che il decreto impugnato deve essere annullato in ordine alle censure accolte;

B1) considerato che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1; che in particolare, determinato, secondo il non censurato accertamento del giudice del merito, in quattro anni e dieci mesi il periodo di durata non ragionevole, e che il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; che, secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; ritenuto che tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno; che nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente l’indennizzo complessivo di Euro 4.083,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannata la soccombente Presidenza del Consiglio dei Ministri;

B2) considerato altresì che le spese del giudizio di merito e di quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), compensate per la metà quelle del giudizio di cassazione in considerazione dell’accoglimento solo parziale del ricorso, con distrazione in favore del difensore della ricorrente, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte respinge il primo, il quarto, il quinto e il sesto motivo.

Accoglie il secondo e il terzo motivo, assorbiti gli altri. Cassa il decreto impugnato in ordine alle censure accolte e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 4.083,00, oltre agli interessi legali dalla domanda. Condanna inoltre la Presidenza soccombente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 873,00, di cui Euro 378,00 per diritti ed Euro 50,00 per spese, oltre a spese generali e accessori di legge, e delle spese del giudizio di cassazione, compensate per la metà, che si liquidano per l’intero in Euro in Euro 525,00, di cui Euro 425,00 per onorari, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore della ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2010

 

 

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